Un fulmine a ciel sereno. Questo 4 marzo resterà nella storia, almeno recente, come un punto di non ritorno, per la portata quanto mai sconvolgente degli esiti dell’ultima tornata elettorale.
Se la cartina meterologica dell’Italia in questi giorni ha mostrato una dilagante bassa pressione atmosferica, quella politica non è da meno e mostra un Paese soggetto a una forte perturbazione a 5 Stelle proveniente da Sud, pronta allo scontro con l’anticiclone nordico del centrodestra.
Ricapitoliamo. I due grandi vincitori delle elezioni, come ormai è noto, sono senz’altro il Movimento 5 Stelle di Di Maio e la Lega di Salvini, il cui exploit si affianca al lento declino di Forza Italia e del PD. Ma, al di là delle percentuali già di per sé significative, è doveroso porre attenzione anche e soprattutto alla geografia del voto.
Scenari post-voto: un’Italia fratturata
Complice il sistema elettorale sfornato dalla precedente legislatura, un Giano Bifronte con una testa rivolta a nord, emulando un proporzionale alla tedesca, e l’altra verso Palermo, verso casa di colui che ora siede al Quirinale e ha dato il nome al maggioritario più famoso in Italia, ciò che salta subito agli occhi, anche sbadati, di chi si fermi a guardare l’Italia dal satellite politico e non da quello geografico è una frattura netta: il Sud è una marea gialla, il Nord un’onda blu con pochissime punte di rosso.

No, purtroppo non è un quadro di Cezanne di fine Ottocento, ma è un segno lampante dell’esistenza di due Italie, con grandi e varie diversità e con Roma a giocare il ruolo di spartiacque.
I dati parlano chiaro. Più si va verso Sud, più Di Maio ha raccolto consensi. Si va dal 35% delle Marche, ai 45% di Puglia e Campania, fino al quasi 50% della Sicilia. Muovendosi verso settentrione, invece, è il centrodestra a registrare lo stesso andamento, a Roma e dintorni Salvini e co. prendono il 33%, in Lombardia e Veneto la metà dei consensi totali.
Di fronte alla definitiva crisi della cosiddetta politica tradizionale, il Paese ha dato fiducia in misura comparabile a due diverse idee di Paese, incarnate dai maggiori movimenti anti sistema sulla piazza.
In una fase ancora incerta circa il futuro governo della nazione, però, nessuno dei leader ha voluto mettere questo aspetto in evidenza. Ciascuno sente di poter rappresentare tutto un paese intero.
Che rappresentatività?
Salvini ha dichiarato di essere pronto a polarizzare attorno a sé un possibile consenso, purché si mantenga nello spirito del programma di centrodestra; Di Maio, a suo tempo, si era espresso in termini simili; il Quirinale mantiene un rispettoso silenzio in attesa di tracciare la road map.
Ci sono, d’altro canto, diversi aspetti che andrebbero analizzati per comprendere a pieno cosa sta accadendo nel nostro amato Belpaese.
Un voto di protesta?
È, in primis, evidente che si è trattato di un voto di forte protesta, ma le ragioni di tale protesta non potrebbero essere le più diverse. Come riportato sul Corriere, un sondaggio del dossier Eurispes mostra come in testa alle preoccupazioni dell’italiano medio (soprattutto meridionale) ci siano mafia, corruzione e incompetenza politica, il che, dopo le famose fritture di pesce promesse da De Luca, dovrebbe segnare un campanello d’allarme. Risulta difficile pensare che un voto leghista possa intercettare direttamente un italiano così orientato, visto che la destra, Lega inclusa, è già dal 1994 una forza politica attiva, più volte al Governo nazionale e locale e, ahimè, spesso coinvolta in inchieste di corruzione (la Lombardia, nonostante Formigoni, è saldamente di colore blu).
Reddito di cittadinanza VS flat tax
In secondo luogo, non vanno dimenticate le risposte che le varie forze politiche danno al malcontento comune. I grillini propongono una ricetta dal sapore keynesiano, ovvero con lo Stato al centro di tutto, il cui compito è salvaguardare gli ultimi e i deboli ridistribuendo la ricchezza comune. Cosa altro può essere il reddito di cittadinanza se non una misura di giustizia economico-sociale? A questo si oppone la flat tax che va in tutt’altra direzione: una defiscalizzazione massiccia per tutti, fatta affinché l’impresa, in particolare quella privata, possa reindirizzare il surplus di capitali decurtati dalle tasse nella produzione di forza lavoro. Due ricette con lo stesso obiettivo, rimettere soldi nelle tasche di tutti, ma mai così concettualmente opposte. E riprendendo la cartina di cui sopra, uno vede che se il Nord vuole meno Stato, il Sud ne vuole di più, visto il malgoverno territoriale.
Una questione di lavoro
Terzo punto chiave è il contesto socio-economico in cui è immerso l’elettorato, alquanto constrastante tra Nord e Sud. Gli indicatori economici ci parlano di un’economia in ripresa, ma questo processo da Roma in giù è ben più lento e complesso. “Al Sud per un giovane su due il lavoro è un miraggio” ha affermato Berlusconi in TV nel remake del contratto con gli Italiani del 2001. Il Jobs Act ha favorito le grandi imprese del centro nord, ben più inserite nel dinamico mercato odierno, lasciando la vecchia e stantia economia meridionale al suo destino. E quando anche i risparmi di famiglia cominciano a scarseggiare, allora la pazienza ha il suo fine e la rabbia si tinge a cinque stelle.
Dal territorio al Parlamento
Ultimo aspetto da non sottovalutare è il ruolo chiave svolto delle liste elettorali. Il pasticcio PD nelle assegnazioni dei collegi non ha pagato, trombando tanti big costretti a raccogliere consensi nel posto sbagliato e al momento sbagliato. Ha premiato i Cinque Stelle la scelta di un’investitura dal basso, di candidare gente strettamente legata al territorio e protagonista della società civile. E se è vero che il “Paese legale” è sempre stato avulso dal “Paese Reale”, si capisce bene come al Sud Di Maio sia stato accolto come una speranza di considerazione e di rinnovamento. Diverso è laddove vi era già una rappresentanza locale consolidata, come in Lombardia e dintorni, dove una pletora di sindaci leghisti da anni si dimostra ben capace di amministrare senza sconvolgere la vita economica della regione.
In definitiva, il quadro che emerge dai risultati elettorali è uno specchio profondo del sentore del Paese e ci mette davanti a uno stato diviso in due tronconi. Se si vuole formare una maggioranza stabile non si può non tenere conto di questo, si devono mettere assieme in qualche modo questi due mondi così diversi, eppure così vogliosi di rimettersi assieme. A Mattarella l’arduo compito di scalare questo Everest.
Michele Notarincola