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West Climbing Bank: arrampicata sportiva contro l’occupazione

Spesso le storie di cambiamento che colpiscono di più sono quelle che fioriscono ben lontano dalla grandi imprese, dove i politici e le star del cinema non si avventurano, sotto il radar dell’intrattenimento di massa. Tra queste piccole storie di grandi cambiamenti, ci aveva colpito quella di un gruppo di ragazzi che arrampicano su roccia, in viaggio in Palestina. Li avevamo messi tra i nostri eroi dei diritti umani del 2017, loro e tutti gli altri appassionati di arrampicata che, negli anni, hanno portato questo sport nei campi profughi della Cisgiordania, creando una piccola comunità di scalatori che cerca di riappropriarsi delle montagne in una terra occupata.

Il gruppo di viaggiatori-scalatori di cui stiamo parlando è di Milano e fa parte di una palestra autogestita chiamata Acciaierie, all’interno del centro sociale ZAM. “Creare una palestra con ingresso a offerta libera, in cui chiunque possa entrare, significa già avere un’idea politica dell’arrampicata, spiega Elia, uno dei partecipanti al progetto.” Per questo l’idea di partire per la Palestina non è apparsa affatto strampalata, è stata solo una delle tante espressioni di un principio di fondo: che l’alpinismo vada a braccetto con ideali radicali, di libertà e di comunità.

L’idea di un progetto di arrampicata in Palestina è nato quando, durante una gara organizzata ad Acciaierie, i ragazzi della palestra hanno conosciuto un attivista del centro culturale Laylac, sorto dentro al campo profughi Dheisheh, a sud di Betlemme. Lui gli ha raccontato come un paio di volontari francesi avessero cominciato a insegnare l’arrampicata sportiva ai giovani di Dheisheh, portandoli in falesia a passare del tempo al di fuori dell’ambiente oppressivo del campo. Da quell’incontro è nata l’idea di fare una raccolta di materiali da inviare al centro culturale Laylac per sostenere il loro progetto di arrampicata: attrezzatura per scalare, scarpette tecniche, imbraghi, corde. In breve, gli scalatori di Acciaierie si sono accorti che avevano voglia di fare di più. E così è nato il progetto West Climbing Bank, con l’obbiettivo di sostenere e promuovere l’arrampicata sportiva in Palestina come uno strumento in più nella lotta contro l’avanzata dell’occupazione israeliana, affinché “le montagne e le valli che appartengono alla comunità palestinese possano diventare un presidio sportivo-culturale, sociale-politico”.

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Elia ci racconta di come sia stato deciso di fare un primo viaggio di perlustrazione per conoscere l’ambiente, parlare con gli attivisti di Laylac e con le persone delle comunità che vivono lì intorno. Gli scalatori di Acciaierie hanno passato alcune settimane viaggiando tra Gerico e Nablus, da Gerusalemme a Betlemme. Alla fine hanno arrampicato soltanto due giorni, ma hanno fatto tanti incontri e hanno steso il progetto futuro: approntare delle vie da arrampicata sportiva in una falesia vicina a Betlemme, in modo che gli attivisti e i giovani del campo di Dheisheh possano utilizzarle liberamente negli anni a venire. “È stato fondamentale fare una ricognizione sul campo, prima di partire con il progetto vero e proprio, commenta Elia, perché molte cose erano diverse da come ce le eravamo immaginate. Un esempio è la diversa concezione dello spazio che c’è in Palestina: la falesia di Betlemme è la più facile da raggiungere da Dheisheh non tanto perché sia la più vicina, ma perché non ci sono da attraversare i check point. Muoversi in un territorio occupato significa tenere in considerazione regole e difficoltà inimmaginabili da chi non ne ha fatto esperienza”.

L’impatto con la realtà della Palestina occupata è stato forte, quei due giorni di arrampicata sono serviti ai climbers di Acciaierie anche per riprendere fiato e mettere da parte per un attimo la violenza alla quale avevano assistito quando l’esercito israeliano ha fatto irruzione nel campo per compiere degli arresti. “Io non mi ero mai confrontato con la morte, dice Elia, a Dheisheh ho visto i soldati sparare ad un ragazzino di dodici anni”. E se quella giornata in falesia ha potuto, almeno in parte, alleviare la tensione dei visitatori milanesi, fornire distensione è un’altra funzione che l’arrampicata sportiva potrebbe svolgere per gli giovani di Dheisheh. Chi scala lo sa, come ci si sente dopo una giornata in falesia: muscoli pesanti e testa leggera, il peso della vita che si fa un poco più lieve.

palestina betlemme

Arrampicare significa distensione e aggregazione, spiega Elia, due cose che il governo israeliano scoraggia con forza, preferendo di gran lunga che la comunità palestinese resti divisa, sfibrata e senza speranza. “Le occasioni di aggregazione per i giovani dentro i campi profughi sono poche”  spiega Elia “spesso è difficile trovare qualcosa di stimolante da fare, cosa che è ancora più triste considerato che la popolazione palestinese è estremamente giovane, i ragazzi sotto i 20 anni sono moltissimi”. Nel suo piccolo, dedicarsi ad uno sport come l’arrampicata significa spendere del tempo all’esterno, a riappropriarsi del proprio territorio, a fare fatica sulla roccia mentre il branco di compagni ti guarda e ti consiglia.

Aggregazione, distensione, presidio del territorio e un’accresciuta coscienza ecologica, dovuta ad un nuovo modo di vedere e di amare la natura del proprio paese, questo è tutto quello che West Climbing Bank spera di aiutare a sviluppare in Cisgiordania attraverso il piccolo strumento dell’arrampicata. Ma c’è anche altro. “Quando si parla della Palestina, è importante quello che viene fatto laggiù” dice Elia “ma è molto importante anche quello che si porta indietro, a casa”. Per sperare di cambiare, un giorno, la situazione nei territori occupati, è molto importante che si sviluppi consapevolezza nel resto del mondo di quanto l’occupazione sia intollerabile. “Chi viaggia in Palestina ha anche il compito di tornare e raccontare. Di farsi testimonianza. Per questo con West Climbing Bank abbiamo scritto un diario di bordo e stiamo andando in giro a presentare il nostro progetto e il nostro viaggio, a parlare di quello che abbiamo visto e fatto”.

Perché è fondamentale dire che, da decenni, un potere statale come quello di Israele sta facendo guerra agli uomini, alle donne e ai bambini della Palestina. Che un’adolescente viene sbattuta in carcere per aver schiaffeggiato un soldato. Che dei bambini vengono uccisi dall’esercito con proiettili di gomma o con lacrimogeni sparati ad altezza uomo. Che i coloni occupano le case, i campi e le città dei palestinesi contro tutti gli accordi internazionali. Che le persone sono costrette a vivere come profughi, dentro a campi trasformati in città, dentro ai confini del loro stesso stato. Forse l’arrampicata, oltre che una buona ricetta per i giovani del Centro Laylac, può essere anche un piccolo tassello di questo percorso di consapevolezza, un’escamotage per attirare l‘attenzione del mondo su cose ben più importanti dell’ultima gara mondiale e ben più drammatiche di una brutta caduta.

Angela Tognolini

Tutte le immagini sono gentilmente fornite da: http://www.westclimbingbank.com/

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