Riesci ad immaginare un mondo senz’acqua?
Loro lo vivono ogni giorno.
“Loro”, in questo caso, sono Amir, Huda, Karim, Saye, Rose, protagonisti della campagna “Goccia a goccia” promossa da Gvc onlus per raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scarsità di questo bene fondamentale per la sopravvivenza. Infatti, dalla possibilità di accedere all’acqua dipendono la salute, l’alimentazione, l’istruzione, lo sviluppo. Proprio per questa ragione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha voluto rafforzare il diritto previsto dall’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani con diverse risoluzioni, come con la 64/292 del 2010 e la 70/169 del 2015, ponendo l’accento sull’essenzialità dell’acqua potabile per uso personale e domestico ai fini del pieno godimento della vita e di tutti gli altri diritti fondamentali.
Eppure 665 milioni di persone nel mondo non possono godere di questo diritto e 2 milioni di persone sono costrette a dedicare la loro intera giornata tra lunghe camminate per raggiungere le sorgenti, lente code e secchi pesanti a provvedere all’approvvigionamento idrico per sé e la propria famiglia.
Le conseguenze, anche pensando al futuro, sono chiare: l’OCSE stima che nel 2050 saranno 4 miliardi le persone che non avranno adeguato accesso all’acqua e cresceranno in maniera esponenziale i rischi connessi ad un cattivo stato di igiene. Si ipotizza che 2,4 miliardi di persone soffriranno di diarrea che, già oggi, è la terza causa di morte mondiale per i bambini con meno di cinque anni. La silenziosa “crisi dell’acqua” è uno dei rischi globali dal potenziale impatto più grave: infatti, secondo il World Economic Forum, il problema è aggravato dall’alta probabilità che lo scenario si realizzi, incrementando i flussi di migrazioni forzate e la diffusione di conflitti.
Proprio le migrazioni condizionate dal cambiamento climatico e, in particolare, dalla negazione del diritto all’acqua sono fenomeni già in atto. Nonostante lo status giuridico dei cosiddetti “rifugiati ambientali” non sia stato ancora determinato in maniera inequivocabile, il Centro Internazionale di Monitoraggio sugli Sfollati ha dichiarato che nel 2015 sono state 19,2 milioni le persone costrette a lasciare le proprie case per queste ragioni. Si tratta di spostamenti tendenzialmente temporanei e all’interno dello stesso paese di residenza, tuttavia un peggioramento delle condizioni climatiche in aree sempre più vaste probabilmente spingerà le persone a spostarsi più lontano. Certo le ragioni ambientali non sono gli unici push factors che condizionano la scelta della migrazione, ma, come viene sottolineato da Giorgio Cancelliere e Margherita Romanelli nella pubblicazione Le Mani sull’Acqua, il loro peso è destinato ad aumentare in caso di “eventi meteorologici estremi, legati al cambiamento climatico”.
L’interrelazione tra i fattori che condizionano la migrazione va, inoltre, messa in relazione con le condizioni politiche, sociali ed economiche del paese nel quale, per esempio, l’accesso all’acqua non è garantito. Se pensiamo, per esempio, al Libano o alla Giordania appare chiaro che l’incapacità delle autorità locali di garantire il godimento dei diritti fondamentali ha un impatto decisivo sulle scelte individuali e familiari di chi ci vive, in questo caso, nei campi profughi. Inoltre, la scarsità di risorse naturali, compresa l’acqua, si può concretizzare anche in un conflitto per il controllo di quanto c’è a disposizione. In questo modo, aumenta lo spreco e si indeboliscono ulteriormente le fasce più povere della popolazione che, spesso, vivono di agricoltura, settore nel quale “il 95% delle attività sono considerate lavori fortemente dipendenti dalle risorse idriche” (UN-Water report 2016).
In che modo, però, l’acqua si trasforma in un driver della migrazione? Il problema non è solo la scarsità fisica, ma anche l‘incapacità di rendere accessibile l’acqua, l’azione concreta per ridurre gli sprechi, l’assenza di investimenti per impiegare in maniera efficace quanto c’è a disposizione. La Banca Mondiale stima che la scarsità d’acqua in concomitanza con il cambiamento climatico e la crescita demografica andrà ad impattare in maniera negativa su alcune aree specifiche già esposte a stress idrico come il Medio Oriente, il Sahel, l’Africa Centrale, l’Asia Centrale e Orientale. Inoltre, gli analisti hanno rilevato che ad un calo del 1% delle precipitazioni nelle città dell’Africa sub-sahariana corrisponde un aumento dello 0,59% del tasso di urbanizzazione. Le persone, dunque, rispondono primariamente ai problemi idrici spostandosi all’interno del loro paese, provando a stabilirsi nelle grandi città dove, però, la disponibilità di acqua non contaminata calerà ulteriormente da qui al 2050. Le difficili condizioni di vita nei grandi certi urbanizzati e il sovraffollamento potrebbero trasformarsi a loro volta in push factors della migrazione che, a questo punto, sarà necessariamente rivolta all’esterno.
Non per tutti, però, la migrazione è una possibilità. Infatti, spostarsi ha dei costi, umani, sociali ed economici, ingenti. Le persone che non hanno la capacità di migrare restano, dunque, letteralmente intrappolate in un contesto dove si riducono i mezzi di sussistenza, cresce la disoccupazione, aumenta il prezzo dei beni di prima necessità, cresce la competizione per le risorse e la densità demografica. L’effetto, sempre secondo quanto analizzato da Cancelliere e Romanelli, è un surriscaldamento del clima sociale, l’aumento delle violenze fino all’esplosione, in determinate circostanze, di conflittualità vere e proprie. Il paradosso, come ha sottolineato la ricercatrice del FEEM Cristina Cattaneo intervenuta al convegno “Migrazioni ambientali e conflitti per il controllo dell’acqua” lo scorso 31 marzo a Bologna, è che non solo non esistono prove del fatto che la migrazione climatica porti ad un aumento dei conflitti nei paesi di destinazione, ma è proprio il mancato movimento ad aumentare il rischio di conflitto nei paesi d’origine. “La migrazione, commenta la ricercatrice, rappresenta una valvola di sfogo, è proprio costringere un popolo a non muoversi una potenziale causa di conflitto. Dobbiamo quindi sfare la paura di potenziali masse di migranti ambientali.”
Semmai sono le conseguente di un conflitto localizzato geograficamente ad innescare un circolo vizioso per cui crescono gli stress idrici, le vulnerabilità climatiche e le carenze dal punto di vista della tutela dei diritti umani producendo una situazione di crisi tale per cui anche chi non potrebbe permetterselo, scappa. È questo, in parte, il caso della Siria dove la guerra civile scoppiata nel 2011 si è innescata su un contesto di grave criticità ambientale. Infatti, la siccità che ha investito il paese tra il 2006 e il 2011 ha contribuito ad uno spostamento di milioni di persone dalle campagne alle città – la sola capitale, Damasco, è passata da 9 a 14 milioni di abitanti in pochi anni. Questo, insieme ad altri fattori politico-istituzionali, ha contribuito ad esacerbare alcuni conflitti sociali che sono poi sfociati nella guerra civile. A farne le spese, e non è una novità, sono sempre le persone più vulnerabili che oggi faticano a sopravvivere vessati dalle armi e dall’assenza di acqua e cibo.
Amir come molti dei bambini della sua generazione non ha mai frequentato un’aula scolastica. La guerra, infatti, ha distrutto o danneggiato una scuola su quattro in tutta la Siria, nelle altre tre non c’è acqua, quindi non possono accogliere i bambini in un ambiente sicuro e protetto. Lo stesso vale, e non soltanto per l’educazione, nei campi profughi in Libano, nelle campagne di Haiti, nelle aree rurali del Burundi, tutti paesi dove GVC onlus è attiva proprio per garantire l’accesso all’acqua e un’opportunità di vita e sviluppo direttamente sul territorio. La strategia per controllare le conseguenze della “crisi dell’acqua” in termini di conflitti e di migrazioni, infatti, passa necessariamente attraverso un’azione congiunta di organizzazioni non governative, istituzioni internazionali e governi, fondata sulla consapevolezza che senza acqua non c’è scuola, non c’è casa, non c’è salute, non c’è cibo. Senza acqua, non c’è vita.
Angela Caporale
[Tutte le immagini sono di proprietà di GVC onlus]
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