In guerra e in viaggio per l’acqua

In guerra e in viaggio per l’acqua

promossa da Gvc onlus per raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scarsità di questo bene fondamentale per la sopravvivenza. Infatti, dalla possibilità di accedere all’acqua dipendono la salute, l’alimentazione, l’istruzione, lo sviluppo . Proprio per questa ragione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha voluto rafforzare il diritto previsto dall’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani con diverse risoluzioni, come con la ai fini del  pieno godimento della vita e di tutti gli altri diritti fondamentali. 665 milioni di persone nel mondo non possono godere di questo diritto e 2 milioni di persone sono costrette a dedicare la loro intera giornata tra lunghe camminate per raggiungere le sorgenti, lente code e secchi pesanti a provvedere all’approvvigionamento idrico per sé e la propria famiglia. Le conseguenze, anche pensando al futuro, sono chiare: l’OCSE stima che nel 2050 saranno e cresceranno in maniera esponenziale i rischi connessi ad un cattivo stato di igiene. Si ipotizza che che, già oggi, è la terza causa di morte mondiale per i bambini con meno di cinque anni. La silenziosa “crisi dell’acqua” è uno dei rischi globali dal potenziale impatto più grave: infatti, secondo il World Economic Forum, il problema è aggravato dall’alta probabilità che lo scenario si realizzi, incrementando  i Proprio le migrazioni condizionate dal cambiamento climatico e, in particolare, dalla negazione del diritto all’acqua sono fenomeni già in atto. Nonostante lo status giuridico dei cosiddetti “ per queste ragioni. Si tratta di spostamenti tendenzialmente temporanei e all’interno dello stesso paese di residenza, tuttavia un peggioramento delle condizioni climatiche in aree sempre più vaste probabilmente spingerà le persone a spostarsi più lontano. Certo le ragioni ambientali non sono gli unici push factors che condizionano la scelta della migrazione, ma, come viene sottolineato da Giorgio Cancelliere e Margherita Romanelli nella pubblicazione il loro peso è destinato ad aumentare in caso di “eventi meteorologici estremi, legati al cambiamento climatico” L’interrelazione tra i fattori che condizionano la migrazione va, inoltre, messa in relazione con le e del paese nel quale, per esempio, l’accesso all’acqua non è garantito. Se pensiamo, per esempio, al appare chiaro che l’incapacità delle autorità locali di garantire il godimento dei diritti fondamentali ha un impatto decisivo sulle scelte individuali e familiari di chi ci vive, in questo caso, nei campi profughi. Inoltre, la scarsità di risorse naturali, compresa l’acqua, si può concretizzare anche in un In questo modo, aumenta lo spreco e si indebolisce ulteriormente le he, spesso, vivono di agricoltura, settore nel quale “il 95% delle attività sono considerate lavori fortemente dipendenti dalle risorse idriche” ( In che modo, però, l’acqua si trasforma in un driver della migrazione? Il problema non è solo la scarsità fisica, ma anche l ‘incapacità di rendere accessibile l’acqua, l’azione concreta per ridurre gli sprechi, l’assenza di investimenti per impiegare in maniera efficace quanto c’è a disposizione. stima che la scarsità d’acqua in concomitanza con il cambiamento climatico e la crescita demografica andrà ad impattare in maniera negativa su alcune aree specifiche già esposte a stress idrico come il . Inoltre, gli analisti hanno rilevato che ad un calo del 1% delle precipitazioni nelle città dell’Africa sub-sahariana corrisponde un aumento dello 0,59% del tasso di urbanizzazione. Le persone, dunque, rispondono primariamente ai problemi idrici spostandosi all’interno del loro paese, provando a dove, però, la disponibilità di acqua non contaminata calerà ulteriormente da qui al 2050. Le difficili condizioni di vita nei grandi certi urbanizzati e il sovraffollamento potrebbero trasformarsi a loro volta in push factors della migrazione che, a questo punto, sarà necessariamente rivolta all’esterno. Infatti, spostarsi ha dei costi, umani, sociali ed economici, ingenti. Le persone che non hanno la capacità di migrare restano, dunque, letteralmente in un contesto dove si riducono i mezzi di sussistenza, cresce la disoccupazione, aumenta il prezzo dei beni di prima necessità, cresce la competizione per le risorse e la densità demografica. L’effetto, sempre secondo quanto analizzato da Cancelliere e Romanelli, è un surriscaldamento del clima sociale, l’aumento delle violenze fino all’esplosione, in determinate circostanze, di conflittualità vere e proprie. Il paradosso, come ha sottolineato la ricercatrice del FEEM Cristina Cattaneo intervenuta al convegno lo scorso 31 marzo a Bologna, è che non solo non esistono prove del fatto che la migrazione climatica porti ad un aumento dei conflitti nei paesi di destinazione, ma è proprio il mancato movimento ad aumentare il rischio di conflitto nei paesi d’origine. “La migrazione, commenta la ricercatrice, rappresenta una valvola di sfogo, è proprio costringere un popolo a non muoversi una potenziale causa di conflitto. Dobbiamo quindi sfare la paura di potenziali masse di migranti ambientali.” sono le conseguente di un conflitto localizzato geograficamente ad innescare un circolo vizioso per cui crescono gli stress idrici, le vulnerabilità climatiche e le carenze dal punto di vista della tutela dei diritti umani producendo una situazione di crisi tale per cui anche chi non potrebbe permetterselo, scappa. È questo, in parte dove la guerra civile scoppiata nel 2011 si è innescata su un contesto di grave criticità ambientale. Infatti, la che ha investito il paese tra il 2006 e il 2011 ha contribuito ad uno s – la sola capitale, Damasco, è passata da 9 a 14 milioni di abitanti in pochi anni. Questo, insieme ad altri fattori politico-istituzionali, ha contribuito ad esacerbare alcuni conflitti sociali che sono poi sfociati nella guerra civile. A farne le spese, e non è una novità, sono sempre le persone più vulnerabili che oggi faticano a sopravvivere vessati dalle armi e dall’assenza di acqua e cibo. Amir come molti dei bambini della sua generazione non ha mai frequentato un’aula scolastica. La guerra, infatti, ha distrutto o danneggiato una , quindi non possono accogliere i bambini in un ambiente sicuro e protetto. Lo stesso vale, e non soltanto per l’educazione, nei campi profughi in Libano, nelle campagne di Haiti, nelle aree rurali del Burundi, tutti paesi dove GVC onlus è attiva proprio per garantire l’accesso all’acqua e un’opportunità di vita e sviluppo direttamente sul territorio. La strategia per controllare le conseguenze della “crisi dell’acqua” in termini di conflitti e di migrazioni, infatti, passa necessariamente attraverso di organizzazioni non governative, istituzioni internazionali e governi, fondata sulla consapevolezza che senza acqua non c’è scuola, non c’è casa, non c’è salute, non c’è cibo. Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)