L’annuncio a sorpresa di Choe Son Hui, responsabile dei rapporti col Nord America del ministero degli esteri nordcoreano, è solo l’ultimo degli innumerevoli colpi di scena inattesi della decennale querelle che coinvolge la penisola più confusa del mondo: la Corea.
Andiamo per gradi: divise politicamente da un parallelo, unite geograficamente dalla morfologia del territorio e ri-divise ulteriormente dalla struttura socioeconomica – e forse dall’anacronistico avanzare del tempo – la situazione in Corea non è mai banale.
Sembra ormai trapassato remoto lo scandalo assurdo che ha coinvolto l’ex Presidente della corea del Sud Park Geun-hye, quando la più importante carica politica del Sud veniva travolta per via della sua relazione tutt’altro che limpida con la guida spirituale Choi Soon-sil. Lo scandalo in questione non è di secondaria importanza, anche se letto così può sembrare una boutade. Tutt’altro: mette allo scoperto una situazione di corruzione dilagante e incompetenza che permea fino in profondità il sistema politico ed economico di una delle economie più avanzate del mondo, non solo dell’asia. Ricordiamo infatti che la Corea del Sud ha una media annuale di crescita del pil del 2.7% e che ha un PIL pro capite di 34.000 $, al livello se non oltre degli stati più ricchi del mondo occidentale.
Questo per il sud non è stato l’unico scandalo: l’erede Samsung, tale Jay Y Lee, è stato arrestato in relazione ad una accusa di corruzione sorta in relazione alle indagini del caso Choi Soon-sil. Lee avrebbe infatti versato dei soldi alla spiritologa, per la difesa sotto le pressanti richieste della ex prima ministra Park. Samsung, oltre ad aver molto probabilmente prodotto o commerciato il vostro smartphone, o una parte dello stesso, è anche la più grande compagnia della Sud Corea nonché una delle più grandi società al mondo, con un monte vendite che sfiora i 50 Miliardi di dollari.
In sostanza la Corea del Sud si è vista scossa dal più grande scandalo della sua storia, con un Impeachment del Presidente della Repubblica – la più alta carica dello stato – e con l’arresto del cado de facto della sua più importante azienda. Ovviamente non sono stati gli unici coinvolti dalla vicenda. Ciò ha alimentato un clima di diffidenza e aperta protesta verso l’establishment, principalmente da parte della generazione dei Millennials, con vere e proprie enormi manifestazioni di piazza.
Ma se il Sud piange, il Nord non ride di certo. Uno dei più efferati regimi comunisti mai esistiti ed ancora in circolazione, diventato sostanzialmente una monarchia assolutistica della famiglia regale Kim, vede il suo sistema economico allo sfascio – anche per le enormi spese relative allo sproporzionato apparato militare. Inoltre l’attuale dittatore, Kim Jong-un, si sta sempre più dimostrando un instabile attore nel precario palco diplomatico dell’estremo oriente, così da bilanciare la situazione folle del Sud. Non a caso, ha fatto fuori anche il fratello Kim Jong-nam, accusato di preparare un golpe con l’intermediazione proprio della ex-presidente del Sud, Park. Ma è dal suo insediamento che si susseguono epurazioni: la monarchia nord koreana è sempre più assolutistica.
E in tutto questo non si interrompono i test missilistici e nucleari del regime di Pyongyang: ciò ovviamente non smorza la costante tensione presente nella penisola.
Ma come se la situazione globale della penisola non fosse sufficientemente peculiare, la piega che hanno preso gli eventi ultimamente sembra ancora più avvincente: il profondo e furente disprezzo per l’establishment nel sud ha portato alla vittoria delle elezioni presidenziali del 9 maggio da parte del candidato del partito di opposizione Moon Jae-in, del Partito democratico di Korea, arrivato nettamente davanti agli altri contendenti, Hung Jun-pyo del Partito Liberale, ovvero l’ex Saenuri Party, il partito della presidentessa impeached, e davanti alla sorpresa Ahn Cheol-soon, del partito del popolo, fondato da appena un anno.

Moon Jae-in sarà sicuramente un protagonista importante delle future vicende dell’estremo oriente: figlio di un rifugiato del Nord, cattolico, ex-procuratore per i diritti civili, è un forte sostenitore del riavvicinamento al Nord: nel suo primo discorso da vincitore ha infatti annunciato l’intenzione di organizzare un incontro storico con i rappresentanti del nord, dichiarandosi disponibile ad andare a Pyongyang se necessario. È un ulteriore colpo di scena nel decennale stallo dinamico coreano, a-là-Sergio Leone, dove ogni attore in gioco sembra sempre pronto ad estrarre la pistola per colpire senza farlo mai realmente.
Sì, ogni attore: la penisola coreana è infatti un centro nevralgico della geopolitica mondiale per svariate ragioni: geografiche, – è infatti confinante con Cina e Russia e vicina al Giappone, avamposto militare degli USA nel pacifico – storiche, – è stata prima regione dell’impero cinese, poi burattino dell’Impero Russo, poi protettorato dell’Impero Giapponese ed infine avamposto militare NATO dopo la guerra del ’50 – ed economiche – dato che la Corea è sempre stata una regione fondamentale per gli scambi commerciali del profondo est.
Il suo ruolo centrale si presta perfettamente alle mire dei neo-imperi globali Cina Russia e USA, così come l’talia nel XV e XVI secolo lo era per Spagna Francia ed Austria. Pyongyang è ritenuta un burattino di Pechino, anche se l’apparente follia decisionista e militarista di Kim Jong-un pare scompigliare le carte in tavola, mentre Seoul sembrava fortemente in mani americane.
Le stesse mani americane di Donald Trump che con la grazia di un elefante in una cristalleria ha aumentato la tensione nella penisola a livelli inusuali per gli ultimi anni, caratterizzando la regione con la strategia Trumpiana della assenza di strategia. Non a caso è riuscito ad indispettire lo storico alleato alla prima uscita. Non è ancora chiara la strategia dell’amministrazione Trump in merito, ma sembra essere una delle priorità del Presidente.
D’altro canto, neppure la Cina pare avere trovato il bandolo della matassa. Se infatti a parole Xi Jinping si professa a favore di una completa denuclearizzazione della penisola koreana, le reiterati azioni compiute dall’alleato di Pyongyang mostrano o una incapacità di controllo e di influenza o una falsa attitudine alla cosa. Ma le recenti escalation paiono più far propendere per la prima, tanto da aprire un vero canale di comunicazione tra Cina ed America, tra Xi e Donald: quanto sei mesi di oval office hanno fatto per cambiare l’attitudine del neo presidente USA è sbalorditivo.

Ma pare sempre più evidente che la geopolitica dell’estremo oriente sia una Mad Man Politics: vuoi per gli attori coinvolti – abbiamo già detto di Kim Jong-un, delle vicissitudini politiche del Sud; non necessita spiegazioni la situazione Trump, e consigliamo al lettore di approfondire la situazione Abe, eclettico presidente di un altro attore fondamentale della questione, il Giappone – vuoi per la criticità della situazione, contestualizzata nel momento storico di incertezza globale e di crisi del commercio, vuoi perché l’Asia, in fondo, non ha mai vissuto una grande stabilità politica.
Ma se solitamente le Mad Man politics finiscono in disastri, questa potrebbe essere incredibilmente l’eccezione che conferma la regola; ed è qui che ci riallacciamo alla notizia di apertura, che è appunto una inaspettata apertura: il Nord chiama; il Sud è pronto. Cina ed USA finalmente convergono. Ma sarà tutto vero?
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Alessandro Bombini