Nella Russia di Vladimir Putin non c’è spazio per le mezze misure: o sei con lui oppure contro di lui. Era così all’inizio, lo è ancora di più adesso che il progetto di una rinnovata Grande Russia è in marcia e sembra irreversibile. Nel tentativo di portare a termine questo piano, ogni ostacolo deve essere rimosso. Ogni opposizione silenziata. Ogni minima contestazione repressa. Anche con la violenza, se ce ne fosse bisogno.
È successo nel 2011, all’alba della più imponente mobilitazione di massa da quando Putin è al potere. A quella marea umana, il Governo oppose reparti antisommossa, manganelli, arresti e detenzioni arbitrarie. Doveva essere l’inizio, invece fu la fine del Movimento Ploščad Bolotnaja, dal nome della piazza che si trova a pochi metri dal Cremlino.

Allora come oggi, coloro che contestano Putin sanno bene che non è facile minarne lo strapotere. All’ondata di protesta del 2011 presero parte tutte le anime dell’opposizione. Dai progressisti ai liberali fino alla sinistra filocomunista, passando per i nazionalisti e moltissimi cittadini comuni che non si riconoscevano in un movimento politico. Il prezzo pagato fu molto alto, segnale inequivocabile che la macchina repressiva non tollera alcuna manifestazione di dissenso pubblico, un dissenso che, per la prima volta, giungeva dal basso, da un popolo che solo pochi anni prima osannava il suo leader come l’ultimo Zar.
Lo scorso 26 marzo, a sei anni da quei giorni di storiche proteste, quegli stessi uomini e donne sono tornati ad occupare le vie e le piazze della capitale russa e di altre 100 città. Gridavano a perdifiato tutta la loro rabbia per il dilagare della corruzione che continua, irrimediabilmente, a favorire pochi, mentre tutti gli altri fanno i conti con una qualità della vita sempre più bassa, con pensioni da fame e con l’inarrestabile calo del potere d’acquisto dei salari. Secondo Transparency International, infatti, la Federazione russa è il 131esimo paese sui 176 presi in esame rispetto al livello di corruzione.
Tra loro c’era anche Aleksej Naval’nyj, giovane avvocato ucraino esperto di questioni internazionali. Soprattutto, però, Naval’nyj è da tutti riconosciuto come il leader indiscusso di un’opposizione che, nonostante i tentativi di metterla a tacere, continua a dimostrarsi una spina nel fianco per la classe dirigente russa. “Probabilmente Naval’nyj è un populista. Di certo però non è un demagogo“, mi dice Marco Perduca già Senatore Radicale e membro della III Commissione permanente affari esteri ed emigrazione. Il suo più grande merito, a quanto pare, è quello di aver saputo risvegliare i russi dal torpore grazie ad un carisma fuori dal comune. “Autoctono, preparato, telegenico, con un sostegno reale in Russia e senza amici a Washington, come Kasparov“, aggiunge.
Una sorta di Beppe Grillo della steppa, “abile nel mobilitare i suoi sostenitori e nel convocare manifestazioni attraverso il suo blog, continua l’ex senatore Perduca, Fin dall’inizio si è scagliato contro la corruzione e a favore della trasparenza e della accountability. A differenza di Grillo, però, lui la politica la fa direttamente e quando si è candidato come Sindaco di Mosca ha ottenuto un “pericolosissimo” 27%. Si spiegherebbe così, quindi, il timore che Putin ha nei suoi confronti.“

Per capire il peso politico di quest’uomo, è stato sufficiente vedere come i manifestanti si sono immolati pur di strapparlo dalle grinfie della polizia. Scudi umani a difesa dell’ultimo baluardo della libertà di critica. Merce rara, di questi tempi, in Russia. Questa volta, l’autorità di Putin è stata “clemente” con l’avvenente avvocato ucraino. Poche ore di fermo, poi di nuovo in “libertà”. Qualche anno fa gli era andata, decisamente, peggio. In fondo, però, Naval’nyj lo scorso 26 marzo ha attaccato “solo” Medvedev per le grandi ricchezze accumulate nel tempo, non direttamente Vladimir Putin.
Le accuse di Naval’nyj hanno riacceso le polveri del malcontento, di un’insofferenza a lungo covata, esplosa d’improvviso. Capace di coinvolgere, incredibilmente, vecchie e nuove generazioni. Padri e figli, uniti dalla lotta alla corruzione: “Un problema endemico in Russia, secondo Marco Perduca, abilmente utilizzato per mobilitare anche i giovani, ignari delle dinamiche corrotte figlie dell’URSS e che, adesso, chiedono di essere presi in considerazione per ciò che sanno fare e non più per le loro amicizie altolocate. La corruzione, in altre parole, è molto più semplice da spiegare all’opinione pubblica.“

Rimane il fatto, che “in Russia fare opposizione è molto pericoloso”. Chi ci prova, sfida la sorte e lo fa a suo rischio e pericolo. Di morti sul selciato se contano a decine, ormai: Sergej Magnitskij, “colpevole” di aver messo il naso negli affari dell’oligarchia russa, Anna Politkovskaja o Boris Nemcov. “Se non si viene fatti fuori fisicamente, il carcere è il minimo che ti può capitare“, mi dice ancora Marco Perduca.
La conferma del fragile stato in cui versano le libertà politiche e civili nella Russia di Putin è confermato anche da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. Da quando Vladimir Putin, nel 2000, è stato eletto per la prima volta, spiega, “le tutele alla libertà di riunione, manifestazione ed associazione sono sempre più compromesse.” Secondo l’Ong, “la causa risiede in una serie di norme entrate in vigore in questi anni che rendono difficile e pericolosa l’espressione di critiche o punti di vista che potremmo definire in termini generali non conformi.“
Una norma su tutte: l’emendamento all’articolo 212 del codice penale inserito nel 2014, per disciplinare le manifestazioni pubbliche, subito ribattezzato “Legge anti-corteo”. Si tratta di un provvedimento fortemente voluto dal Governo per scoraggiare, viene da pensare, future ondate di protesta. Da tre anni questa parte, mi dice Riccardo Noury, “le sanzioni per chi viola le legge sono passate da 2.000 rubli (30 euro) a 200.000, con pene detentive fino a 5 anni se le violazioni vengono reiterate. È vietato anche mostrare slogan “non idonei” e, soprattutto, organizzare picchetti individuali o prendere parte a cortei in cui il numero dei partecipanti è superiore a quello preventivamente comunicato.” Niente però, secondo Marco Perduca, rispetto alle intimidazioni o alle uccisioni misteriose a cui i russi si sono abituati.

La detenzione per i dissidenti in Russia è un altro tasto dolente, tanto per usare un eufemismo. Porta il nome della Colonia penale di Segezha, nella regione di Carelia, a 100 km da Mosca. Meglio nota come Colonia penale n.9, sembra sia un luogo inaccessibile dove la macchina repressiva stronca la resistenza fisica e psicologica degli oppositori. Deve essere per questo che non è consentito l’ingresso agli osservatori indipendenti e alle organizzazioni internazionali. “Una sorta di Gulag del Terzo Millennio”, la definisce Marco Perduca. “Dove i casi di violenze e torture, secondo Amnesty International, sarebbero confermati da molte testimonianze“. A farne le spese fu, tra gli altri, anche l’attivista per i diritti umani Ildar Dadin che raccontò l’esperienza in una toccante lettera alla moglie.

Nonostante tutto, però, il consenso di cui gode in Patria Vladimir Putin non sembra affatto intaccato. Provo a chiedere aiuto ancora una volta a Marca Perduca, che deve molte delle sue conoscenze all’esperienza come Segretario della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Secondo la sua opinione, “Putin sfrutterebbe qualsiasi occasione, dalle celebrazioni della sconfitta dei nazisti alle olimpiadi, passando per le visite di dignitari stranieri per proiettare un’immagine di uomo sicuro, di successo, con la reputazione di uno che sa quel che fa e lo fa nell’interesse della nazione e a difesa della gloriosa tradizione russa (e anche sovietica).”
C’è da dire, inoltre, che la rappresentanza parlamentare russa non corrisponde ai movimenti sociali e politici del paese. “Alla Duma, afferma Marco Perduca, non esiste opposizione, mentre nelle piazze questa si manifesta. Contrariamente al massiccio bombardamento mediatico, Putin non è il più amato dei russi, è l’unico che si può amare pubblicamente.“
A parte la Novaya Gazeta, il resto della comunicazione è distratta o del tutto contraria a dare risalto al malcontento popolare. Negli ultimi anni, poi, Putin ha riorganizzato i media, specie la TV, investendo in canali televisivi e agenzie come Russia Today o Sputnik per attaccare i rivali e proiettare l’immagine di un paese unito.
Putin, come tutti i leader dispotici, vede nemici dappertutto ormai. Intellettuali come Sergey Kovalev o Mikhail Khodorkovsky e il figlio Pavel Khodorkovsky. Vladimir Kara-Murz, le Pussy Riot e il collettivo situazionista Femen. Per non parlare delle centinaia, se non migliaia, di semplici civili, arrestati arbitrariamente perché vicini ai movimenti LGBT, anti-militaristi o contrari alla “guerra alla droga“. Il vero nemico, però, sono le Organizzazioni non governativeche operano nel paese, o forse sarebbe meglio dire operavano. Tacciate di essere “agenti stranieri” al soldo delle potenze occidentali, vivono sotto la costante minaccia dei sigilli se disobbediscono alla legge e ricevono finanziamenti internazionali.
Mattia Bagnato
[L’immagine di copertina è tratta da ogusmao.com]