Siamo quindi giunti all’epilogo di questa rubrica interamente dedicata alla nona arte nipponica. Vorrei sottolineare come qui, forse più di sempre, valga il detto last but not least. Takehiko Inoue è infatti il mangaka contemporaneo forse più famoso, nonostante non produca opere destinate al grande pubblico, ma si lanci sempre in lavori che rappresentino una parte di sé e che gli consentano di esprimere la sua maniacale tecnica perfezionistica.
La struttura di questa rubrica non era cementata da principio, ma la scelta della testa e della coda era vincolata: se infatti Jiro Taniguchi – purtroppo scomparso l’11 febbraio scorso – è forse il più occidentale dei fumettisti giapponese nei tratti e nelle tematiche, Takehiko Inoue riporta nella sua opera Vagabond una trasposizione in chiave fumettistica di un’opera magistrale della letteratura nippinoca, Musashi di Eiji Yoshikawa, rivisitandola con alcuni elementi presi dalla narrazione popolare. Sì, dalla narrazione popolare: questo perché l’opera Vagabond è incentrata su un personaggio che ha rappresentato – e rappresenta tuttora – lo spirito nipponico: Musashi Myamoto.
Inoue diventa famoso a livello mondiale grazie allo spokon – ovvero un manga sportivo – Slam Dunk, incentrato sulla storia liceale di una squadra di basket. Si distingue subito dagli altri mangaka per lo stile realistico, sia nella trama che nel tratto, che si evolve esponenzialmente durante il tempo.
Dopo aver venduto 120 milioni di copie nel solo Giappone Takehiko Inoue decide di intraprendere la tortuosa strada di inchiostrare un fumetto basato sull’eroe giapponese per eccellenza, Myamoto Musashi. Questo espediente narrativo gli consente di dedicarsi a una delle sue passioni: l’illustrazione paesaggistica.
Una delle scene del manga. Si noti l’attenzione maniacale ai dettagli, come la definizione delle foglie e dell’occhio. Fonte.
Ma un problema per un gaijin, ovvero per un non giapponese, nell’approccio alla lettura di questo fumetto – così come alla lettura del libro – risiede nella profonda peculiarità della cultura nipponica, originatasi e stratificatasi in secoli di isolazione ed acronia, impressa profondamente nelle pagine del fumetto.
Questo perché Inoue, oltre a voler esprimere tutta la sua abilità tecnica nella realizzazione del fumetto, ha la chiara intenzione di volerlo imprimere della giusta dose di filosofia che se ne confà. Nessuna cultura nella storia del mondo ha infatti mai costruito una così profonda e variegata filosofia della morte e della guerra come quella samuraica giapponese.
Se infatti gli Spartani incentravano la loro vita sulla guerra, non ne hanno mai costruito una struttura ideologica di stampo filosofico-morale. Neppure i Romani, con la loro abilità nell’assorbire le grandi filosofie dei popoli conquistati elaborandole sulla base del mos maiorum, non hanno mai creato questa grande elucubrazione del concetto di morte. Solo in Giappone è stato scritto lo Hagakure kikigaki – letteralmente annotazioni su cose udite all’ombra delle foglie – il libro che esprime la filosofia samuraica della morte e dell’onore. Ma da una cultura che ha partorito gli haiku, quella forma di componimento poetico ermetica dal significato oscuro e sfuggente resa famosa dal sommo Matsuo Bashō, non possiamo mai aspettarci niente di banale ed esplicito.
Erba estiva:
dei sogni di gloria dei grandi guerrieri,
ora, rovine, e null’altro
Matsuo Basho
E la stessa opera Vagabond è tutt’altro che banale e immediata. Al primo sguardo l’opera è il solito fumetto di formazione – come il Signore degli Anelli – dove il protagonista evolve caratterialmente e moralmente in tutto l’arco narrativo, accompagnato da superbe tavole il cui stile realistico arricchisce l’opera donandole anche una profondità stilistica tipica dell’artista.
Ma approfondendo meglio la lettura, immergendosi nella cultura su cui si basa quest’opera, appropriandosi della storia semi-leggendaria dell’uomo che ne dà il là, si scopre che l’opera non è interamente biografica. Non è il protagonista il personaggio cardine; Musashi è solo il centro di gravità attorno a cui ruotano tutta una serie di character la cui ricchezza filosofico-morale rende la costruzione del personaggio un viaggio all’interno della cultura feudale giapponese.
Acquerello del protagonista Mushasi Myamoto. Fonte qui.
Ad esempio uno dei protagonisti dell’opera è Takuan Soho, un monaco buddhista Zen della scuola Rinzai realmente esistito che con i suoi scritti ha influenzato enormemente la creazione della cultura filosofica del Bushido. La filosofia Zen e la sua relazione con la cosiddetta Via della Spada è trasmessa nella fase iniziale dell’opera attraverso i dialoghi tra i vari personaggi anziani ed il protagonista, per poi evolversi nella fase conclusiva in una contemplazione filosofica tutta in sé del protagonista, costretto dall’evoluzione della sua vita ad una situazione alienante che scuote le basi del suo mondo, inducendolo così – e con lui il lettore – ad una profonda analisi della sua vita, che lo porta verso la discussione del significato stesso della vita.
Ma l’analisi profonda di questo tipo è completamente diversa da quella a cui un lettore occidentale è abituato. Nel Giappone feudale il concetto di vita era subordinato al concetto di morte. Tutta la costruzione dell’etica si basava sul fine del servire – Samurai parrebbe discendere dal verbo saburau, ovvero appunto servire – rendendo il fine ultimo del Bushi – il guerriero – la morte per un bene superiore, incarnato dal Daimyo, il signore feudale.
Spesso gli anarchici occidentali si confondono sul concetto del servire, mettendo sotto la sbagliata prospettiva tutto il mondo filosofico del Bushido, pensando che il vincolo di fedeltà sia rivolto alla persona fisica. In realtà il vincolo è sì rivolto verso la persona, ma appunto non verso la persona fisica, ma verso la figura che essa rappresenta .A dire la verità gli errori di interpretazione occidentali sono ereditati anche da una borghesizzazione del Bushi avvenuta in epoca Tokugawa (1600 – 1868) dove i samurai si trasformarono da guerrieri a burocratici di piccolo e medio livello, e permangono anche in una certa cultura nipponica. Ad ogni modo, l’imperatore era considerato – fino al 1945 – la manifestazione avatarica della divinità creatrice del Giappone, non in quanto persona ma in quanta manifestazione del ruolo di imperatore.
Un contemplativo Musashi. Fonte qua.
Similmente il Bushi aveva un vincolo morale stringente verso alcuni precetti non in quanto essere umano ma in quanto Bushi stesso. E questa folle logica traspare chiaramente dalle pagine di Vagabond, dove un giovane ed entusiasta Musashi affronta volta dopo volta eventi che ne minano il percorso sulla Via della Spada.
Questa continua maturazione del protagonista si trasmette in un continuo evolversi dello spessore filosofico di ogni personaggio, non solo di Mushashi; ogni elemento della trama ha infatti un ruolo ben definito, che consiste nel descrivere lo spettro umano dell’epoca feudale, tra miserie e vette spirituali. Un intero ecosistema sociale totalmente alieno alla contemporaneità occidentale del Giappone moderno. E che rende la lettura di Vagabond una via d’uscita dalla realtà contemporanea così come lo può essere, per altri motivi, un Siddartha di Hermann Hesse o il Kojiki.
Alessandro Bombini
Immagine di copertina: fonte.
**
Uscite della rubrica Gli Dei del Manga
-
Jiro Taniguchi – In una città lontana
-
Osamu Tezuka – La Storia dei Tre Adolf
-
Go Nagai – Devilman
-
Hayao Miyazaki – Si alza il Vento
-
Katsuiro Otomo – Domu, Sogni di Bambini
-
Naoki Urasawa – Pluto
-
* Takehiko Inoue – Vagabond
Un pensiero su “Gli Dei del Manga: Takehiko Inoue – Vagabond”