“Lion”, la lunga strada verso casa
“. Ma lui è troppo piccolo per sapere la giusta pronuncia del suo nome. Così come è troppo piccolo per ricordarsi correttamente il nome di casa sua: , e dopo essere riuscito a scappar via dai pericoli più crudeli, finisce in un . Un luogo che, per quanto povero, si rivela essere la sua salvezza: è da qui che viene da una coppia australiana. Ed è da qui che la sua vita ricomincia. Saroo cresce, va all’università e si innamora. Sembrerebbe che la sua vita sia ricominciata, ma non è così. Non può essere così perché il . Ed è da qui, e dai suoi pochi ricordi di casa (quella vera), che comincia la sua . Infatti, nella prima parte del film, il regista decide di lasciare la recitazione in lingua originale . Si tratti di lingue profondamente diverse da quelle europee, e risulta perciò forte il . Tanto da lasciare lo spettatore quasi disorientato non appena ritorna l’italiano. Una scelta registica che vuole evidenziare quanto le differenze tra la società occidentale e quella indiana. nel ruolo del “Saroo cresciuto”, che molti ricorderanno soprattutto per la parte in in Sue Brierley, la madre adottiva. Ma soprattutto scopriamo un eccezionale , bambino indiano di otto anni al suo esordio. Il film , quasi a farci sentire l’afosità del sole. Ci trasmettono sempre chiasso, . Un luogo dove anche le farfalle ti accarezzano la pelle. Una casa che rappresenta l’amore fraterno e l’amore tra madre e figlio. Ma è anche la storia dell’ di chi, i figli, decide di sceglierli, adottandoli. Un film che forse arriva a far comprendere il dolore di stare al mondo senza la propria famiglia, e la gioia di ritrovare un luogo da chiamare “casa”, nonostante tutto. Si esce dalla sala con un senso di . È una storia che tocca temi difficili ai quali forse prestiamo troppa poca attenzione: l’ . Una regia che delicatamente ci fa pensare agli orrori più terribili, quali , soprattutto quando è oscuro, ma allo stesso tempo ammette che non è possibile rinunciarci, perché le nostre radici sono importanti. Ed è questo il messaggio di Saroo e del suo viaggio, un che fugge da mostri umani sino a trovare un posto in cui riposare e crescere, per poi riprendere la sua e tornare nella sua India, da sua madre. Insomma, Garth Davis fa un’entrata spettacolare nella scena del cinema, ricordandoci una lezione che abbiamo imparato nei banchi di scuola: camminare sempre verso ciò che è degno di essere domandato non è avventura, ma ritorno in patria. Regalando così, in fondo, anche la promessa di una speranza.
