Molti potrebbero riassumere in questa intervista di Russia Today a Steven Seagal la tanto temuta (e osannata) storia d’amore tra Vladimir Putin e Donald Trump e quelle che saranno le future relazioni USA-Russia. Il manifesto di uno dei più noti accecati sulla via di Mosca si potrebbe sposare perfettamente con la grande ammirazione del futuro inquilino della Casa Bianca nei confronti dell’ex spia del Kgb. Facendo così però si cadrebbe nel mare di commenti troppo generalisti fatti sia durante la campagna elettorale, sia quelle successive al successo elettorale del Tycoon newyorkese. Al di là del ruolo degli hacker russi svolto durante le presidenziali, e del mutuo rispetto e comunanza di idee dei nostri, quella tra Trump e Putin sarà veramente una luna di miele destinata a durare anni e a cambiare gli scenari della politica internazionale?
La visione abbastanza sconclusionata e contraddittoria che Trump ha mostrato ogni volta che venivano toccati i temi della futura politica estera degli USA e le sue profonde lacune in materia fanno sì che si possa dubitare anche sull’infrangibilità di una futura intesa tra i due colossi mondiali. Eppure, il nuovo corso verso il Cremlino è stato l’unico punto dove il neo-presidente ha sembrato mostrare idee chiare e precise: il rispetto e la stima che un “bad boy” come Putin gli ha mostrato hanno permesso a Trump di considerarsi il paladino di una restaurazione della grandezza a stelle e strisce, tracciando un solco netto con l’era Obama, al contrario considerato da Putin come un debole.
Al di là delle fantasticherie, e di alcuni ritratti che hanno dipinto Trump come nient’altro che una marionetta nelle mani del Capo del Cremlino, quali potrebbero essere i punti di forza e i punti deboli che condizioneranno il futuro delle relazioni diplomatiche tra i due stati? Trump potrebbe partire proprio dalla dottrina del “Reset” obamiana del 2008 nell’instaurazione del nuovo corso, usandola però per cancellare qualsiasi traccia del suo predecessore. Il concetto presidenziale di Reset significherebbe il disimpegno definitivo degli USA sia in Europa che dal loro ruolo guida all’interno della NATO, lasciando l’Ucraina al suo destino e campo libero a Putin non solo nel Donbass, ma anche nell’idea di ricreare uno spazio d’influenza russo nello spazio post-sovietico che minaccerebbe gli stati baltici e paesi complessi e vulnerabili come la Moldavia e la Georgia. Reset significherebbe l’intesa tra Washington e Mosca sulla lotta allo Stato Islamico in Siria, la quale condurrebbe di fatto all’accettazione del potere di Bashar Al-Assad sulle macerie del suo paese. Reset significherebbe la fine delle sanzioni internazionali a Mosca e la legittimazione internazionale di Putin a leader globale, un suo ritorno nel club dei grandi, dopo essere stato trattato da paria. L’assomigliare di più alla sceneggiatura di un film d’azione che a quella di una linea guida di politica estera ci ricorda sempre che la situazione è sempre un po più complessa e che non è detto che, come già affermato in un articolo di Pierre Haski pubblicato su Internazionale, queste ipotesi possano tramutarsi in azioni concrete.

La relazione tra Trump e Putin potrebbe non essere così decifrabile, non solo perché sembra impensabile che il capo di stato della più grande potenza globale (Cina permettendo) possa concedere carta bianca all’ambizioso leader di una possibile potenza rivale, ma anche per la mancanza di una linea guida effettiva riguardo quella che sarà la prossima politica estera statunitense. Rivolgendo lo sguardo al contesto internazionale, è innegabile come alcuni punti potrebbero rappresentare dei punti di contrasto tra i due attori: come reagiranno i russi ad un deterioramento della condotta statunitense nei confronti di Cina e Iran, due attori che al momento il Cremlino considera come importanti partners strategici? La stessa composizione della futura amministrazione Trump sembra rivelare molte ambiguità, con un futuro Segretario di Stato, Rex Tillerson, considerato un compagno di merende di Putin, e un futuro Segretario alla Difesa, James Mattis, che invece considera Putin come una minaccia alla stabilità mondiale.
La scena internazionale ospiterà due leader estremamente ambiziosi e spregiudicati, disinteressati alla concezione di democrazia e del politicamente corretto, e questo potrebbe rappresentare un punto di frizione, reso ancora più minaccioso da una eventuale corsa al riarmo nucleare come sembra aver dichiarato il nuovo presidente. Il neo-isolazionismo che Trump vuole portare avanti non potrà durare nel lungo periodo, sia per la complessità del mondo globalizzato sia per il ruolo e la storia che gli USA hanno costruito e consolidato a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. L’isolazionismo quasi di stampo ottocentesco cadrà non appena gli interessi a stelle e strisce saranno minacciati, e in molte zone calde del globo i motti “Make America Great Again!” e “Make Russia Great Again!” potrebbero entrare in rotta di collisione. In questo momento ogni organizzazione sovranazionale è in crisi, favorendo la reintroduzione di politiche realiste e di un ordine multipolare dove ogni Stato cerca di guadagnare più potere possibile. Le lune di miele, alla fine, non durano per sempre.
Mattia Temporin
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