Ma Di Canio con la camicia andava bene?

Una delle vicende che più hanno fatto discutere l’Italia del calcio (e non solo) in questa settimana ha coinvolto Paolo Di Canio, ex attaccante della Lazio e del West Ham.

Tutto è cominciato da un promo girato nei giorni scorsi su Sky Sport in cui lo stesso Di Canio lanciava la sua trasmissione sul calcio inglese “House of Football”. L’attillata polo nera a maniche corte di un famoso marchio British metteva in bella mostra i muscoli e i molti tatuaggi del 48enne romano. Tra questi si distingueva malauguratamente la scritta “DUX”, inequivocabile omaggio al duce Benito Mussolini.

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Già in passato Di Canio aveva dimostrato simpatie per il fascismo, per esempio facendo il saluto romano dopo un derby vinto dai biancocelesti per 3 a 1 nel gennaio del 2005. In quell’occasione si era giustificato dicendo che il suo gesto serviva a dimostrare l’appartenenza alla curva della Lazio (i cui ultras sono notoriamente di estrema destra). I sospetti riguardo alle sue posizioni politiche hanno inseguito Di Canio anche al di là della manica. Infatti quando fu assunto nel 2013 come allenatore del Sunderland, squadra del nord dell’Inghilterra, una regione operaia tradizionalmente di sinistra, un giornalista gli chiese espressamente se fosse fascista. Anche in quell’occasione preferì sviare l’argomento, preferendo parlare di calcio.

A causa di questi trascorsi, dopo aver visto lo spot, il web non si è solo indignato contro Di Canio ma anche contro l’emittente di proprietà del tycoon australiano Rupert Murdoch, rea di avergli permesso di esibire in pubblico le sue (mal)celate tendenze fasciste. Per non rovinarsi l’immagine, Sky ha quasi immediatamente scaricato il suo talent, come vengono chiamati gli opinionisti che sono stati giocatori. Con una nota abbastanza stringata Jacques Raynaud, il  vice presidente esecutivo di Sky Sport e Sky Media, ha annunciato la sospensione della collaborazione con Di Canio, ammettendo di aver fatto un “errore” e scusandosi “con tutti quelli di cui abbiamo urtato la sensibilità”. Di Canio, il quale, gliene va dato atto, si era distinto per competenza, passione e spiccate doti da entertainer, non ha commentato la decisione.

Quello che viene da chiedersi è però: finché il suo deprecabile credo politico veniva mascherato da una elegante camicia bianca andava tutto bene?

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I primi a cui bisognerebbe chiederlo sono appunto quelli di Sky.

Sky assume un opinionista competente, si rende conto che è pure televisivamente bravo e ne fa salire la scala gerarchica. Di contro, Sky licenzia un suo dipendente per aver mostrato al pubblico una scritta che costituisce, di fatto, un reato. I due fatti, presi singolarmente, sono entrambi sensati. Ma se il protagonista è lo stesso, si tratta di schizofrenia.

Il colosso televisivo infatti ha prima assunto Di Canio, ponendolo al centro di un progetto sportivo, nuovo volto di punta del calcio inglese, tanto da farlo passare da una parte all’altra della barricata, da opinionista a giornalista. Tanto da affidargli una intera trasmissione, e da metterlo all’interno di uno dei più begli spot degli ultimi tempi. Spot sparito da internet.

Ma alla prima voce contraria, al primo screenshot di wikipedia che cita il reato di apologia del fascismo, e pure al primo “sveglia!!1!!11!” ha cancellato ogni decisione presa sull’ex giocatore negli ultimi anni, cassandolo senza il minimo ripensamento, cancellando dal palinsesto la sua trasmissione e pure facendo sparire la pubblicità che lo ritraeva, nonostante fosse in onda da pochi giorni e fosse costata un impegno notevole per tutti gli altri opinionisti.

Ma è sensata questa mossa? E’ davvero giusto che l’indignazione del web, o meglio, l’indignazione di persone che già reputavano Di Canio non degno di essere ascoltato per la sua fede politica, faccia riconsiderare strategie programmatiche ad una televisione da milioni di ascoltatori? No, certamente, ma è successo.

Perchè? L’unica spiegazione logica è che Di Canio a Sky sia stato assunto e licenziato da persone diverse, il primo sottoposto del secondo. Perchè può una persona di un certo grado di responsabilità assumere senza informarsi sul suo nuovo dipendente? Soprattutto nel caso di calciatori, la cui vita è analizzata ora per ora ai raggi x dal solito web, tutti conoscono tutto. Ed il fatto che Di Canio abbia certe simpatie verso la Destra è risaputo.

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Quindi chi lo ha assunto ha accettato questa fede, comprendendo come il parlare di calcio non coincida con il parlare di politica, e pensando  che il fatto che sia di destra, per quanto estrema, non importi a chi guarda il suo programma, ma che venisse seguito solamente per la sua competenza ed il suo modo particolare e molto schietto di raccontare questo sport.

E dev’essere stata la paura di perdere pubblico, più che quella di qualche sanzione, a guidare la mano di chi lo ha cacciato. Il timore anche di ricevere una certa “etichetta”, di essere contaminati dalla “fascistite” di Di Canio, di essere invisi a coloro che si definiscono “di sinistra”, ma che probabilmente non vedono oltre un tatuaggio DUX, pensando che esso cancelli qualsiasi altra cosa.

Sembra improbabile che la stessa persona possa cambiare idea così repentinamente, conoscendo il “punto debole” del suo talent e quindi mettendo in conto una serie di polemiche, che puntualmente si sono verificate. A questo punto quindi le cose sono due. O, come detto, chi lo ha assunto e chi lo ha licenziato sono figure diverse, e quindi Di Canio può essere stato assunto da Sky Italia e licenziato dalla casa madre, oppure chi ha scelto Di Canio ignorava completamente il suo passato, scegliendolo solo in base alla competenza, rinnegando la sua scelta di fronte alle proteste e cancellando l’Errore originale con il licenziamento repentino.

I secondi sono gli italiani o quantomeno la parte di essi dotata di tastiera e connessione internet che finisce per rappresentarli nel rapporto con i media, talvolta in modi davvero poco rispettabili. In questo senso la vicenda Di Canio evidenzia la preoccupante tendenza dell’opinione pubblica del nostro paese a (fare finta di) non accorgersi delle recrudescenze fasciste finché non sono lampanti. Quando invece si nascondono dietro a diciture implicite, si mescolano all’interno di gruppi e partiti socialmente ritenuti accettabili o vengono pronunciate dagli stessi esponenti di queste formazioni va tutto bene.

Così non definiamo i membri di Casapound “fascisti” solo perché non c’è un esplicito richiamo nel nome della loro organizzazione. Così non facciamo troppo caso che la stessa Casapound sostenga il leader della Lega Nord Matteo Salvini. Così fatichiamo immensamente ad etichettare come “fasciste” alcune delle frasi chiaramente discriminatorie pronunciate dallo stesso Salvini nei confronti di chi ha un colore diverso della pelle o pratica un’altra religione.

Tuttavia la vicenda Di Canio mette in luce un’altra tendenza altrettanto sconcertante che contraddistingue il popolo italiano: quella della  scarsa memoria. Pare che in Italia anche se hai rapinato un paio di banche una volta passato un po’ di tempo smetti di essere stato un ladro. Sembra quasi il principio “naturale” dal quale scaturisce l’istituto della prescrizione nel diritto civile.

Così l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non si è macchiato di diversi falsi in bilancio e non ha corrotto l’ex avvocato David Mills per indurlo a falsa testimonianza. È semplicemente passato troppo tempo e ce ne siamo dimenticati. Così c’eravamo dimenticati del saluto romano e dei tatuaggi di Di Canio finché una polo nera non ci ha rischiarato la memoria. E solo allora ci siamo indignati.

Valerio Vignoli e Marco Pasquariello

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