Venerdi 26 agosto 2016, il Consiglio di Stato francese ha deciso che il divieto del cosiddetto “burkini” del comune balneare di Villeneuve Loubet (Alpes Maritimes) è illegittimo. È una decisione cruciale, che riafferma un principio fondamentale su cui si fondano le democrazie occidentali: lo stato di diritto.
Chi scrive è dell’opinione che la discussione sull’estensione dei costumi da bagno vada lasciata alla sensibilità e del gusto di stilisti e di esperti di moda, e che il divieto di vestirsi o di non vestirsi debba essere pronunciato in Arabia Saudita, non in Francia. Ma l’opinione personale del Vostro è irrilevante: l’importanza della decisione, infatti, prescinde dal merito della controversia.
Anzi, se si volesse argomentare solo sul merito, ovvero la proibizione di certi vestiti fatta da alcuni sindaci della Costa Azzurra, la Francia ha dimostrato di essere esattamente come l’Arabia Saudita. Giuridicamente e concettualmente (a parte asimmetrie che non rilevano in questa sede) non c’è differenza fra costringere una persona a vestirsi (Arabia Saudita) o a svestirsi (Francia) : ancorché talvolta giustificabile, è una coercizione in entrambi i casi.
Qualcuno potrebbe pensare che una simile imposizione potrebbe essere fatta solo in posti che ci suonano esotici, come in certi stati discendenti dell’antica Persia, o nei deserti della penisola abitata dai beduini, in cui la rivoluzione sessuale vissuta dai Paesi “occidentali” degli ultimi tre secoli non ha attecchito. Ancora alla fine degli anni 70, in un’intervista resa ad una giornalista italiana per il New York Times, l’imam Khomeini dichiarava che la legge che un uomo possa avere quattro mogli è progressista perchè “una donna ha bisogno di un uomo, quindi cosa ci possiamo fare se ci sono piu donne che uomini?”. Oggi, in Arabia Saudita, le donne di tutte le età devono avere un “tutore”. Se una persona può essere trattata cosi, allora le si può anche imporre un velo, o le si può imporre di non mangiare durante il mese di Ramadan, o, per un altro capriccio, le si può imporre di doversi svestire in spiaggia. Invece no, chi non è libero di vestirsi come vuole, stavolta, è ogni turista che cerca di godersi la costa azzurra. È forse incredibile, ma è successo, di nuovo.
Le democrazie occidentali però hanno un meccanismo, il judicial review, il controllo da parte di un’autorita’ che si vuole terza ed indipendente dal governo e dal parlamento : la magistratura. Chi studia diritto sa che questa “invenzione” si fa risalire a quando, nel 1610, Sir Edward Coke nella Court of Common Pleas scrisse che “il Common law controlla gli atti del Parlamento, e a volte ritiene che siano nulli; perché quando un atto del Parlamento è contratio al Common law e alla ragione, o ripugnante, o impossibile ad attuarsi, il Common law lo controllerà e lo annullerà” In quel caso il conflitto nasceva da un atto del Parlamento, in questo da un atto amministrativo: la differenza fra i due tipi di procedimento e’ tecnica e risale fondamentalmente ad una preferenza personale di Napoleone, ma la sostanza non cambia.
Un tribunale amministrativo francese (quello di Nizza) ha dovuto controllare che l’ordinanza che vieta il burkini fosse compatibile con la legge francese. E, una settimana dopo, il Consiglio di Stato francese ha dovuto ri-controllare, in appello, che il tribunale amministrativo avesse applicato la legge in modo corretto la prima volta. Il tribunale di Nizza aveva approvato il divieto di burkini, il Consiglio di Stato ha invece annullato il divieto. Ma non è la sostanza della decisione che conta (anche se in molti avranno tirato un sospiro di sollievo): è il meccanismo che prevede che un giudice, teoricamente independente, prenda in dovuta considerazione gli interessi di chi ha qualcosa da perdere o da guadagnare da una decisione dell’autorità pubblica. Da questo punto di vista, le due decisioni del tribunale amministrativo, e del Consiglio di Stato, rese in pieno agosto e con procedure d’urgenza, sono una grande affermazione della civiltà francese. Il meccanismo, a prescindere dal risultato, ha funzionato: gli interessi dei “cittadini” sono stati ascoltati, pesati, e presi in dovuta considerazione. Il cittadino non è stato ignorato, ma anzi riconosciuto sovrano.
Quanto scritto fin qui non vuole essere un giudizio di valore sull’intrinseca bontà di un paradigma, ma un’affermazione di relativismo. Ogni posizione ha i suoi difensori: c’è chi apprezza che le donne in Arabia Saudita debbano avere un guardiano, e chi no. Lo Stato di diritto, invece, ha prodotto Auschwitz. Non c’è nessun merito decisivo, né una qualche definitiva superiorità, in un sistema piuttosto che in un altro – per quanto sia comprensible, anche se forse non giustificabile, che chi è cresciuto ed è stato educato in un sistema lo consideri il migliore, il solo, il Vero.
Luigi Lonardo
Un pensiero su “La sentenza che permette il Burkini è un atto di civiltà”