Cos’è la Scienza delle Droghe? Intervista a Christopher Timmermann

A una settimana di distanza dalla discussione in Parlamento della proposta di legge N. 3235 sulla legalizzazione della cannabis (coltivazione, lavorazione e vendita), la redazione di The Bottom Up ha deciso di affrontare uno speciale dedicato al mondo delle droghe. Non solo sul tema della legalizzazione delle droghe leggere, ma un vero e proprio progetto che mira a sensibilizzare maggiormente il lettore a un tema complesso e controverso. La droga è un argomento che la nostra società ha deciso di vivere come tabù, nonostante le ricerche condotte sull’efficacia di alcune sostanze nel trattamento di disturbi psicologici e nel campo medico abbiano restituito risultati interessantissimi; allo stesso modo, l’utilizzo di alcune materie prime, bandite per le loro proprietà psicotiche, potrebbero contribuire a una nuova forma di mercato e alla creazione di nuovi posti di lavoro.

#TBUtalksaboutDRUGS

In questo primo capitolo dello speciale #TBUtalksaboutDRUGS abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Christopher Timmermann, dottorando presso l’Imperial College London e studioso degli effetti delle droghe psichedeliche sul cervello umano. Abbiamo cercato di capire più a fondo cosa sia la Scienza delle Droghe, la cui formulazione si deve allo studioso Giorgio Samorini, il quale identificò nel medico italiano Paolo Mantegazza (1831-1910) uno dei padri fondatori. Si tratta, secondo la formulazione di Samorini, di una materia interdisciplinare il cui oggetto di indagine va ricercato nel “fenomeno-droga”, secondo lo studioso ben distinto dal problema-droga, seppur ad esso collegato.

Innanzitutto, Christopher, potresti raccontarci cosa studi in particolare e cosa ti ha spinto a farlo?

Ho iniziato a fare un dottorato di ricerca in Neuropsicofarmacologia ad Imperial College London un anno e mezzo fa, con l’intenzione di unirmi a un team che conduce indagini sugli effetti delle droghe psichedeliche sul cervello e il loro uso in contesti terapeutici. La mia ricerca si basa specificamente sugli effetti del DMT (N,N-dimetiltriptammina, una sostanza capace di evocare allucinazioni visive altamente vivide e di breve durata) sul cervello.

La motivazione principale per iniziare questo percorso deriva dall’interesse specifico di avere un accesso alle basi neurologiche della coscienza. Le sostanze psichedeliche, essendo capaci di generare un cambiamento qualitativo della coscienza, possono anche mostrare come emerge lo stato di coscienza “quotidiano”, e il potenziale terapeutico che l’uso degli psichedelici ha nel trattamento di diverse condizioni di disagio psicologico.

Lo studio delle droghe, l’etnobotanica e l’etnomicologia fanno parte di una grande disciplina chiamata Scienza delle droghe. Potresti aiutarci a conoscere meglio questa disciplina? Quando è nata e in che modo si è evoluta nel tardo Novecento?

La scienza delle droghe è molto ampia, quindi proverò a riferirmi allo studio delle droghe psichedeliche, che sono quelle che studiamo con più attenzione nel nostro gruppo specifico di ricerca ad Imperial College.

L’etnobotanica e l’etnomicologia sono discipline relativamente nuove che studiano la relazione fra le persone e le piante o i funghi. A metà dell’Ottocento, il botanico Richard Spruce identificò una delle piante principali usata per la preparazione dell’Ayahuasca (un tè che contiene alcaloidi come il DMT). Un secolo dopo, Evan Richard Schultes, una figura centrale nell’etnobotanica, riuscì a descrivere l’uso dell’Ayahuasca e di altre piante da parte degli indigeni nell’Amazzonia in pubblicazioni scientifiche. Schultes, insieme a Richard Wasson e Albert Hoffman, sono centrali nello sviluppo dell’etnomicologia, e hanno una stretta relazione con la ricerca di sostanze psichedeliche: Hoffman, il quale sintetizzò la psilocibina (il componente psicoattivo dei funghi psichedelici) per la prima volta, è più noto per aver sintetizzato qualche anno prima l’LSD. Con la sintesi dell’LSD, la visibilità di queste sostanze in Occidente è aumentata e il loro utilizzo si è allargato fino a entrare in contesti terapeutici e nello studio della coscienza; i risultati scientifici ottenuti negli anni ’50 e ’60 furono molto interessanti. Tuttavia, a causa di un clima politico e sociale complesso, qualche anno dopo molte di queste sostanze divennero illegali, e la ricerca sugli esseri umani fu resa praticamente impossibile. Gradualmente, nelle ultime decadi, le indagini su queste sostanze sono riprese e molti studi attuali provano a testare i risultati promettenti ottenuti in passato con metodi di ricerca più affidabili; altri studi (come il lavoro che stiamo facendo ad Imperial College) sfruttano tecniche neuroscientifiche avanzate con lo scopo di comprendere meglio l’azione di queste sostanze sul cervello.

Come è la situazione dei fondi a livello internazionale per le ricerche in questo campo? Quale paese sta meglio affrontando il sempre presente problema delle droghe garantendo alla ricerca fondi necessari per produrre studi indipendenti e accurati?

In questo momento, per quanto ne sono a conoscenza, studi su sostanze psichedeliche vengono svolti in Inghilterra, Svizzera, Repubblica Ceca, Brasile e Spagna. In generale non c’è un grande interesse da parte degli enti statali nello studio di queste sostanze. Di solito i fondi per la ricerca vengono da fondazioni come la Beckley Foundation, MAPS (Multidisciplinary Association of Psychedelic Studies) e il Heftter Institute. È importante anche considerare che ci sono casi dove enti del governo hanno contribuito in diversi studi. Un buon esempio di studio fatto con fondi pubblici è uno studio pubblicato di recente, dove si è testato l’uso di psilocibina su volontari che soffrono di depressione a Imperial College, i cui risultati sono stati promettenti. Sebbene il contributo economico di queste fondazioni e l’uso di fondi pubblici siano centrali per lo svolgimento di questi studi, i soldi per portare avanti la ricerca scarseggiano ed è sempre più comune vedere campagne di crowdfunding per riuscire a coprirne i costi.

C Timmermann Photo crp

Recentemente ho assistito alla presentazione di un libro scritto da un operatore presso un SERT di Bologna, il quale ha fatto un interessante intervento sulle dipendenze da oppioidi, in particolare modo sulla dipendenza da eroina. Durante l’intervento ho colto che la ricerca sulle droghe e sui loro effetti è tutt’altro che un aspetto secondario della disciplina psicologica. Cosa ne pensi? Credi che sia dedicato abbastanza spazio a questa tematica negli ambienti di ricerca internazionali?

I meccanismi che stanno alla base della dipendenza da droghe (come gli oppioidi) sono di elevata complessità e, secondo me, bisogna avere uno sguardo attento a diverse discipline se vogliamo capire accuratamente questo fenomeno. Nello studio delle dipendenze da droghe si possono identificare diversi livelli di analisi: il livello sociale, psicologico, neuronale molecolare, e anche genetico. I meccanismi che portano alla dipendenza non sono ancora chiari e la situazione diviene ancora più complessa se si analizza la dipendenza da diverse sostanze e da diverse situazioni (come il gioco d’azzardo) che possono condividere alcuni meccanismi di base. Nel campo delle neuroscienze di solito si fa riferimento a un disturbo associato ai meccanismi di ricompensa cerebrale, ma senza dubbio è un fenomeno complesso, composto di più aspetti e, secondo me, deve essere analizzato tenendo conto di questo livello di complessità.

Dal punto di vista della ricerca nelle neuroscienze, c’è un buon livello di indagine e interesse nella comprensione di questo fenomeno, ma siamo ancora lontani dal capire i diversi aspetti della dipendenza e come questi variano da persona a persona.

droghe psichedeliche

Durante la tua carriera accademica hai avuto anche la possibilità di studiare in Italia: credi che ci siano differenze tra come viene affrontata la ricerca in Scienza delle droghe rispetto al resto del mondo, per esempio al Regno Unito dove lavori oggi?

Nel Regno Unito faccio ricerca nel dipartimento di Neuropsicofarmacologia, mentre in Italia studiavo nella Facoltà di Psicologia nel Centro di Neuroscienze Cognitive, quindi trovo un po’ difficile fare un paragone assoluto fra i due contesti. In generale il focus dell’Università di Bologna è lo studio dei diversi meccanismi cognitivi e l’attività neuronale associata a questi: per esempio quali sono i correlati neurali della ricompensa nell’essere umano. I risultati di questi esperimenti potevano approfondire i meccanismi di dipendenza, ma l’attenzione si poneva sul meccanismo cognitivo alla base, e non su quello farmacologico.

Dal punto di vista dello studio di droghe psichedeliche, che io sappia non ci sono studi sperimentali in contesti universitari. È importante menzionare che ci sono ricercatori italiani indipendenti che portano avanti importanti indagini sull’uso di queste sostanze, analizzando dati provenienti da altri contesti con il fine di capire meglio i loro effetti e il loro potenziale terapeutico. Altri studiosi italiani nel campo dell’etnobotanica hanno dato contributi importanti a questa disciplina.

Tra i mille interessi di ricerca esistenti al mondo, la Scienza delle droghe sembra essere una disciplina tra le più attaccate alla realtà, una di quelle con il più alto indice di impatto sulla vita delle persone. Conoscere le droghe e i loro effetti aiuta senza dubbio il consumatore a proteggersi, a evitare gli abusi, ma aiuta anche la collettività a capire il fenomeno, a differenziare le sostanze e ad affrontare con maggiore consapevolezza una discussione della massima importanza. Credi che siano stati fatti passi avanti negli ultimi anni in questo senso? Credi che la ricerca aiuterà le persone a smettere di considerare tutte le sostanze come una sola cosa e un unico grande tabù? Cosa si potrebbe ancora migliorare?

Direi che definitivamente siano stati fatti passi avanti nella discussione sulle droghe in generale. La percezione sulla complessità di questo fenomeno è molto più alta ora che in passato e la situazione sembra essere migliore rispetto a un’epoca in cui l’informazione sui benefici e i danni delle droghe non veniva sempre da fonti affidabili. I risultati e i dati dal campo della scienza sono stati fondamentali al fine di raggiungere questo miglioramento, ma anche le iniziative indipendenti (come il sito erowid.org) hanno il merito di aver dato un grande contributo alla crescita della consapevolezza sugli effetti di diverse droghe, sul loro profilo di rischio, e nel garantire al consumatore le informazioni necessarie per poter prendere decisioni in sicurezza. Detto questo, la strada è ancora lunga: poco tempo fa il “Psychoactive Substances Act”, una legge che rende tutte le sostanze psicoattive illegali (tranne un elenco di sostanze definite dallo Stato), è stata approvata nel Regno Unito. La legge è stata portata avanti nonostante l’opinione condivisa nel mondo accademico sia che essa non ha una base scientifica accurata, e contribuisce a considerare erroneamente nocive tutte le sostanze in grado di generare uno stato psicoattivo.

Negli ultimi anni hanno iniziato a circolare numerose “nuove droghe”. Dalle sostanze naturali prima non conosciute in Europa fino a veri e propri farmaci che aiutano la concentrazione (con un boom di utilizzo in particolare tra gli studenti).  Ritieni che queste nuove sostanze siano state recepite dalla ricerca accademica? Voglio dire, credi che la Scienza delle droghe abbia una velocità di reazione adeguata a studiare nuovi fenomeni come questo, o credi che si muova in ritardo? Una persona che si trovasse nella situazione di voler provare una nuova sostanza, sarebbe completamente abbandonata a se stessa o potrebbe invece contare su un mondo accademico che analizza gli effetti della droga in tempi relativamente rapidi?

Se ci fossero i fondi necessari, probabilmente il ritmo della ricerca sarebbe più reattivo alla comparsa delle nuove droghe. Senza dubbio è una sfida per il mondo accademico, ma purtroppo ancora non ci sono le condizioni (principalmente economiche) per avere dati con una velocità compatibile con il proliferare delle nuove sostanze. Fare ricerca è fondamentale, ma anche garantire ai potenziali utilizzatori le informazioni che abbiamo e non abbiamo su queste nuove sostanze. In tal senso è importantissimo che ci siano piattaforme di accesso ai dati veloci e accurate per poter fornire queste informazioni.

Luca Sandrini

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