“When you go robot”: Red Hot Chili Peppers, The Getaway (2016)
, stanco della routine inevitabilmente parte di un super gruppo rock, è di nuovo uscito dai tanto quanto lo era John quando entrò nella band, nel 1988, eppure già prima di unirsi ai Peppers come secondo chitarrista ed eventuale tastierista nella seconda parte del tour per supportare Stadium Arcadium, nel 2007, aveva una signora carriera alle spalle: oltre ad essere un collaboratore frequente dello stesso Frusciante (l’ultima volta su del 2009), aveva fatto parte della band in studio e dal vivo per il secondo album dei Josh Klinghoffer, che in questo momento non ci vede molto bene , cantante primo, un po’ tutto il resto il secondo: e proprio Danger Mouse, ovvero , è il secondo nuovo personaggio nella storia dei Red Hot Chili Peppers. Dopo la prova abbastanza convincente ma per nulla rischiosa di del 1991, e probabilmente lo stesso Josh suggerisce Danger Mouse, che oltre ad essere metà dei Gnarls Barkley ha un curriculum impressionante alle spalle: ha prodotto, tra le altre cose, di Norah Jones (che ha anche scritto insieme a lei), alcune tracce di Per questo quando i Red Hot hanno annunciato chi sarebbe stato il produttore sono andato nel dramma: poteva essere una bomba assoluta o una ciofeca imbarazzante. non è una bomba assoluta, ma si avvicina molto di più a questa definizione che a quella di “ciofeca imbarazzante”: soprattutto, per la prima volta da (e di qualcun altro che vedremo più avanti): il primo, oltre al lavoro con Gnarls Barkley e Frusciante, è anche alla guida di un piccolo gruppo di indie rock non particolarmente innovativo ma decisamente interessante chiamato , e ascoltandoli non si può non notare come certi elementi siano stati inseriti con successo nel sound dei Peppers. Inoltre, come già menzionato, ha quasi vent’anni meno dei suoi compagni (Flea e Kiedis sono del ’62, Smith è del ’61, mentre Klinghoffer è del ’79), e inevitabilmente i modelli sono diversi. nella band ha certamente fatto bene. Va poi ricordato che, diversamente da Frusciante, che era un chitarrista che ogni tanto suonava anche altra roba, : oltre alla chitarra suona anche le tastiere, la batteria e il basso, e questo spiega il cambiamento cominciato su e qui compiuto, con lo spostamento del centro dalla chitarra alla combinazione chitarra/tastiere. è molto asettica, e nel contesto Red Hot è una completa novità: principalmente perché ormai dal 1999 (con questo, unito ad arrangiamenti bombastici di Frusciante, ha portato a una certa bulimia sonora. di Thom Yorke), che qui troviamo al mix. I Red Hot Chili Peppers si sono essenzialmente (co-scritta con Burton), che, va detto, non è uno dei pezzi migliori dell’album, ma ci fa capire bene cosa ci aspetta: batteria asciutta e sincopata, atmosfere limpide e trame sonore leggere. Segue quello che è oggettivamente dei Red Hot Chili Peppers dai tempi di “Give It Away”, (co-scritta con Burton), con un ritornello che per la prima volta da un po’ non è composto solo da vocali o dalla parola “California” in qualche variante e un giro di basso e pianoforte notevole. (co-scritta con Burton) a me ricorda un po’ “Dance, Dance, Dance” su , e lascia abbastanza il tempo che prova, mentre il primo pezzo rilassato “The Longest Wave” mi fa davvero sentire come se stessi guidando verso la spiaggia con la mia tavola da surf. “Goodbye Angels” è un pezzo piuttosto divertente, una specie di crescendo indie, e la successiva (se la gioca con “Dark Necessities”). Ed è stata scritta nientepopodimeno che in collaborazione con sua maestà e il suo fidato paroliere Bernie Taupin, il che ovviamente implica che potrebbe non essere del tutto merito dei Red Hot se è così figa, ma insomma, con quel ritmo si perdona tutto. è un bel brano, ritmato e divertente, e Kiedis rasenta il nonsense, come un po’ dappertutto su questo disco (non che su quelli prima non lo facesse: ma “do the avocado” su “We Turn Red” devo ancora capirlo). “Feasting on the Flowers” (co-scritta con Burton) è tutto quello che vi aspettereste dal titolo, sognante rock psichedelico con trame intessute dalle tastiere del produttore. è quel rockettone che ci si aspetta in un brano dedicato a tale città, “This Ticonderoga” (una parola mohicana per definire l’incrocio tra due fiumi, probabilmente un riferimento alla recente fine di una relazione di Kiedis, tema dominante dell’album) devo ancora capirla: ha l’alternanza veloce/lento resa popolare dai Pixies prima e dai Nirvana poi, ma non si capisce bene se qui funziona. “Encore” è, chitarristicamente, la cosa più simile a Frusciante che troverete qui, ma la tastiera lontana che avvolge la canzone è molto diversa dai sintetizzatori casinisti di John (che andavano benissimo – per carità). degli anni migliori, non fosse altro che perché è guidato dal pianoforte (di Flea, per l’occasione – il bassista ha imparato a suonarlo nel periodo successivo a Stadium Arcadium), mentre Klinghoffer qui suona il basso. Ci sono anche un’orchestra e un coro. Per dire. Il disco si conclude con l’enorme “Dreams of a Samurai”, probabilmente la cosa più prog che i Red Hot abbiano mai fatto , e dentro ci succede di tutto: il testo riesce anche a non essere ridicolo come il titolo farebbe presagire! per i Red Hot Chili Peppers (a proposito, se volete leggere la storia completa potete fare un salto sulla mia pagina Facebook , digitare #GoodTimeBoys nella barra delle ricerche e divertirvi): un po’ sì, lo ammetto, ma quando si è trattato di scegliere tra recensire e questo, non ho avuto dubbi. Tanto per cominciare, il disco dei Radiohead è , e trovo interessante che nessuno l’abbia ancora menzionato. Yorke e soci ci hanno venduto un po’ abbellite per l’occasione – e con questo non voglio dire che siano di bassa qualità: sono pur sempre b-side dei Radiohead, e il disco è davvero figo, ma non cambia la sua natura di collezione di b-side che aggiungono veramente poco a quanto già detto, su dischi migliori, dai Radiohead. I Red Hot Chili Peppers, che millantano una reinvenzione a ogni album post-Californication, questa volta si sono reinventati davvero Che la reinvenzione piaccia o meno ai fan di questo o quel periodo della band, è un dato di fatto. soprattutto per chi dei Red Hot Chili Peppers fan non è , dato che li trasporta finalmente negli anni ’10 del pop.
