Tuxedomoon live a Vergato

Vergato, per una sera, come Copenhagen, Bruxelles, Londra e Stoccolma. Supermercati aperti alla notte? Ragazze bionde sovrappeso scalze alle 4 di mattina? Una dieta ricca di grassi? Niente di tutto ciò (oddio, sul cibo se ne può parlare), semplicemente Vergato, città del primo Appennino bolognese, è stata capitale della new wave in quanto toccata dal tour mondiale dei Tuxedomoon.

In due parole, un gruppo di californiani un poco matti ma serissimi (per quanto aprissero ai mattissimi Devo, tra fine ’70 e primi ’80) che alle vigne e al sole hanno preferito ormai decenni fa il freddo prima dell’Olanda e di Bruxelles poi, acquisendo nella formazione anche membri scovati in loco.

Il nome significa letteralmente “luna in smoking”, ma più che per serate eleganti la musica dei Tuxedomoon si adatta a nottate oscure colme di tensione e mistero. L’atmosfera creata da Steven Brown e soci è ricchissima di suggestioni diverse e che non è facile decodificare a un primo impatto. La formazione consta di bassista, trombettista (corno francese e armonica come armi secondarie), chitarrista-violinista-cantante e sassofonista-pianista-cantante, il tutto condito da drum machine in base. Il suono, complessivamente, è quello di quel glorioso e oscuro periodo, niente da dire. La perizia è alta, pur con qualche sbavatura a livello di corde vocali; anche se per quanto riguarda il bassista che non sono riuscito a capire se colpisse delle note in posizioni molto inusuali per creare un effetto straniante oppure se fosse fatto come un copertone (come sosteneva il mio vicino di posto) e dunque sbagliasse. In un caso o nell’altro, complessivamente il suo stile m’è piaciuto. Tornando al complesso, qualcosa suona inevitabilmente datato, ma se consideriamo i 36 anni d’età dell’album, bisogna riconoscere che esiste un motivo – oltre alla ben nota retromania mondiale, malattia degli anni ’10 – se il tour ha fatto sold out in tutta Europa – Vergato compresa.

tuxedomoon

Le teste in sala sono principalmente brizzolate e lo stile nel vestiario è quello new wave di ormai quarant’anni fa, ma la carichella è sensibile. Lo stesso vale per i Tuxedomoon che, nonostante l’età media sul palco veleggi allegramente sui sessanta, eseguono per intero il loro primo album capolavoro “Half-Mute” (1980) senza (troppe) sbavature, dimostrando perizia, foga e concentrazione invidiabili. Tutto questo a discapito della recentissima dipartita di Bruce Geduldig, il cineasta che da sempre era stato parte integrante dello show con i suoi visuals, deceduto il giorno del suo 63esimo compleanno quest’anno e rimpiazzato dall’austriaco David Haneke (non indimenticabili, onestamente). In ogni caso, né gli esecutori, né l’album dimostrano i rispettivi anni; la platea gradisce, sommergendo gli artisti di applausi.

Un’ultima considerazione sulla bellissima fauna che ha riempito il Cinema Nuovo, molto sinteticamente.

  • non vedevo così tante dark ladies (e darkettoni in generale) dai tempi del mio primo e ultimo concerto dei Baustelle (anno 2009, circa). È stato bello vedere una comunità riunita.
  • forse l’unico vergatese presente, un signorone in t-shirt bianca, ha detto la cosa più giusta della serata quando, con voce tonante tra un pezzo e l’altro, ha apposto un bestemmione come sigillo alla sentenza che “durante i concerti bisogna stare zitti”. Nessuno si è sentito di replicare.
  • credevo fosse una cosa degli hipster, ma i miei vicini di posto, coppia moderatamente dark sui 35-40, hanno infettato col loro cinismo tutta quanta l’esibizione, facendosi domandare perché mai avessero voluto sbattersi fino alla ridente Vergato pagando 20€ + d.p. e hanno dispensato applausi col contagocce. Per un commento, rivedere il punto sopra.

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