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“We are journalists”

Era il 27 dicembre del 2009 quando la repressione violenta delle forze antisommossa freddava un giovane innocente a Teheran nel giorno dell’Ashoura. Quello stesso giorno Ahmad Jalali Farahani divenne spettatore passivo di questo massacro, incapace di reagire. Come giornalista dell’agenzia di stampa Mehr, responsabile della sezione “società”, Ahmad Jalali Farahani non riportò la notizia del decesso. Come lui, così tutti i suoi colleghi in redazione. “Nessuno di noi ha avuto il coraggio di scriverne, nessuno ha avuto il coraggio”. Questo episodio si ripete nel racconto realizzato dal regista Farahani, voce narrante del documentario We are Journalists, nell’invano tentativo di liberarsi dal peso insostenibile dell’omissione, operando un’ammissione di colpa che gli consenta finalmente di far pace con se stesso. L’intero percorso, realizzato con il documentario We are Journalists, consiste in un forte segnale di riscatto che, come giornalista, Farahani ha voluto compiere per l’intero ordine e per il proprio Paese imbavagliato.

Secondo il rapporto 2015 di Reporters Sans Frontières, l’Iran si colloca oggi al 169 posto su 180 paesi per quanto riguarda la libertà di espressione. Giornalisti, reporters, blogger sono costantemente posti sotto il controllo vigile dell’autorità che va a colpire con la massima crudeltà ogni comportamento “criminale”, comprese le critiche pubblicate su un blog oppure il fedele report di una manifestazione. Farahani parla di giornalismo e del profondo sentimento etico che ne impregna la professionalità per chi, come lui, rischia la vita ogni giorno, ma il giornalismo diventa una lente per raccontare l’Iran, terra di contraddizioni interconnesse, la società civile, il cambiamento, il dissenso politico. We are Journalists è un racconto corale e, contemporaneamente, un percorso personale. Il filo rosso che unisce tutte queste voci e questi volti è certamente il dolore, un dolore che ha accompagnato i quasi dieci anni di riprese e che per il momento non sembra volersi placare. Un dolore che segna tutti i protagonisti del film, comprese le loro famiglie, un dolore che, tuttavia, non assopisce le coscienze. “Vogliono metterci a tacere? Mai. Dovranno rompere le nostre penne!”

Leggi l’intera recensione di Roberta Cristofori e Angela Caporale.

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