Eccoci giunti alla fine di questo appuntamento speciale. Come redazione ci tenevamo a fare un buon lavoro, ad informare al meglio delle nostre possibilità, senza veicolare le intenzioni di nessuno, semplicemente proponendo una chiave di lettura critica e non scontata. Speriamo di esserci riusciti. Come individui, invece, la nostra priorità era capirci qualcosa. Non è stato facile, nonostante il tempo dedicato, farsi una idea chiara di quelli che saranno gli effetti di questo referendum, né di quanto tempo dovremo aspettare per rendercene conto. Certo è che domenica si vota e che non potevamo farci trovare impreparati.
Nelle settimane precedenti al referendum, in redazione molto si è discusso, circa la linea da seguire, le conseguenze, le parti in causa. Non nascondiamo che alcuni dei messaggi lanciati da entrambi gli schieramenti si sono rivelati piuttosto faziosi e ciò ha contribuito a rendere interessante la discussione. Il risultato è stata la consapevolezza che l’esito del referendum sarà, molto probabilmente, irrisorio da un punto di vista pratico, vale a dire, cambierà poco nella nostra quotidianità. E forse è proprio questo il punto: se la decisione non si traduce in atto, possiamo considerarla presa? Possiamo presentarci alle urne e votare in un modo che poco si confà al nostro stile di vita? Questo voto darà, almeno nel lungo periodo, uno slancio collettivo verso il raggiungimento di una indipendenza dalle fonti climalteranti? Certo, il contenuto simbolico del referendum non va trascurato, ma il passaggio alle fonti rinnovabili è più rapido solo se il consumo di energia diminuisce. Purtroppo, non c’è referendum che tenga: la dipendenza dalle fossili aumenta se non miglioriamo le nostre abitudini.
Come redazione ci tenevamo soprattutto ad informare, ad aiutare a formare un’opinione e, per questo, abbiamo realizzato questa settimana tematica #TBUtalksaboutTRIVELLE. Il risultato speriamo stato qualitativamente soddisfacente e magari anche esaustivo. Noi vogliamo credere che lo sia stato.
Desiderando riassumere questa esperienza giornalistica, per noi così importante, anche dato l’impegno riposto, cominciamo con il riportare il quesito che domenica 17 aprile gli italiani che si recheranno alle urne troveranno scritto sulla scheda:
Volete voi che sia abrogato l’art.6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art.1 della legge 28 dicembre 2015, n.208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, limitatamente alle parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Concretamente, abbiamo provato a spiegarne il significato e gli effetti, nel modo più chiaro e dettagliato per noi possibile. L’articolo a firma Andrea Cattini è stato, in questo senso, propedeutico alla realizzazione della settimana e necessario al fine di informare il lettore meno preparato o meno consapevole.
Chiarito il quesito e ciò su cui verte, è stata nostra premura illustrare le posizioni in campo, dando spazio, in primo luogo, ai due fronti contrapposti. Abbiamo chiesto, con un’intervista di Roberto Tubaldi, a Stefano Petrella, attivista di Trivelle Zero/Marche, le ragioni del posizionamento a favore del Sì al referendum. Abbiamo discusso con Stefano anche del ruolo delle regioni, promotrici del referendum e, apparentemente, assenti ingiustificate nella fase di divulgazione e distribuzione di materiale informativo. Ad eccezione dei soli Zaia e Emiliano, presidenti rispettivamente di Regione Veneto e Regione Puglia (i quali hanno pubblicamente esortato i cittadini al voto in occasione di Vinitaly), le altre giunte non hanno forse fatto abbastanza per promuovere una consultazione fissata proprio per loro stessa iniziativa. Probabilmente, il fatto che la stragrande maggioranza delle regioni promotrici del referendum siano a guida PD non ne ha favorito un atteggiamento propositivo. Il PD, infatti, nella persona del segretario e Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, sostiene apertamente l’astensione. Posizione a nostro avviso legittima, vista la struttura attuale dell’istituto referendario che prevede il quorom. Forse, più discutibile è la scarsa informazione ai cittadini che da essa ne è derivata.
È stato poi il turno del comitato per il No, questa volta intervistato da Niky Venza. Il Centro di Ricerche RIE (Ricerche Industriali e Energetiche) ha esposto le proprie ragioni e preoccupazioni in vista del referendum. Abbiamo chiesto loro di commentare le obiezioni di chi sostiene che l’attività di estrazione degli idrocarburi, nonché quella di ricerca, danneggi attività caratteristiche delle regioni colpite, quali turismo e pesca, giungendo alla conclusione che, cito “se si possono aumentare le attività “caratteristiche” […] è giusto e doveroso farlo. Che questo debba comportare la penalizzazione o chiusura di altre attività andrebbe verificato attentamente e non sulla base di quello che troppo semplicisticamente vengono spacciate per ovvietà.”.
È stata poi la volta di Andrea Boraschi, responsabile per la campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, intervistato da Luca Sandrini. Le domande sono state dirette verso l’approfondimento di temi controversi, quali la possibilità di vedere estratte le risorse entro le nostre 12 miglia dalla Croazia (che invece ha presentato una moratoria per l’estrazione di idrocarburi nell’adriatico). Abbiamo inoltre discusso su quanto fosse economico o meno ridurre l’estrazione di una risorsa largamente utilizzata in Italia (il gas in particolare). Secondo l’interlocutore, la produzione persa verrà assorbita dal trend negativo dei consumi della materia prima o da incentivi minimi alle rinnovabili.
Ultimo capitolo di questo speciale è stato l’articolo di Andrea Zoboli sulla funzione del referendum e sul ruolo che lo strumento si sta ritagliando nel Vecchio Continente. Con Gianfranco Baldini, docente dell’Università di Bologna, la discussione si è concentrata sul ruolo delle regioni in Italia (è il primo referendum nella storia d’Italia ad esser stato promosso dalle regioni, ndr) e in Europa. Nei prossimi mesi la Gran Bretagna voterà per una eventuale uscita dall’Unione Europea (la Brexit) e di nuovo in Italia quest’autunno si voterà per la conferma delle modifiche alla Costituzione volute dal Ddl Boschi, votato il 13 aprile scorso alla Camera. Il referendum è ancora uno strumento democratico?
Abbiamo sempre cercato, nelle interviste, di stimolare l’interlocutore a ragionare sulle obiezioni poste alle loro argomentazioni, piuttosto che garantire loro una piattaforma comoda di divulgazione propagandistica. Ci abbiamo provato, insomma, pur con tutti i nostri limiti. Abbiamo provato a fare informazione seriamente. Nel nostro piccolo, riteniamo di aver reso un servizio pubblico, aiutando ad aumentare la consapevolezza nei lettori e a formare un’opinione libera da condizionamenti. Non sappiamo come andrà né, tanto meno, sappiamo come dovrebbe andare, siamo certi però che è un dovere di tutti informarsi e informare al meglio delle proprie possibilità.
Domenica 17 aprile si vota. Sì, No e astensione devono essere scelte consapevoli.
Consapevatelo!
La redazione del The Bottonomics