Dancing with the GrooGrux King: Dave Matthews Band live a Milano

Dancing with the GrooGrux King: Dave Matthews Band live a Milano

Ci sono band che hanno una storia strana. I Dave Matthews Band (e non “la Dave Matthews Band”, poi vi spiego perché), per gli amici, sono una di queste: lui (Dave Matthews, leader, cantante e chitarrista) è nato in Sudafrica, ma, dopo vari trasferimenti (Westchester nello stato di New York, Cambridge in Inghilterra, di nuovo a New York dove, nel 1977, suo padre è morto di cancro ai polmoni, un’esperienza che è l’ispirazione di molti testi di Matthews, poi di nuovo in Sudafrica, da dove se ne è andato per evitare la leva, essendo un quacchero, e quindi un pacifista), nel 1986, dopo un breve periodo di lavoro per IBM a New York, si stabilisce a Lì, Dave inizia a frequentare la scena musicale, e incontra per la prima volta (che ritroveremo più avanti), con il quale inizia a suonare dal vivo, e, con musicisti locali, forma la prima versione della band: la prima performance, nel 1991 al di Charlottesville, contribuirà alla scelta del nome. Infatti, sebbene sia Dave a scrivere i testi e la musica della maggior parte dei pezzi, la band non è al suo servizio. Il fatto che sia lui a dar loro il nome dipende dalla loro indecisione nel trovarne uno migliore: Boyd Tinsley (all’epoca non ancora nella formazione ufficiale, come vedremo) aveva detto al gestore di scrivere semplicemente “Dave Matthews” sulla scaletta, e il gestore in questione ci ha aggiunto un “band” davanti (e quindi ecco perché “i” e non “la”). La prima formazione della band comprendeva Dave (voce e chitarra acustica), La formazione ha avuto relativamente pochi cambi: Griesar ha lasciato nel 1993, mentre Moore è morto nel 2008, venendo sostituito da alle tastiere, rimanendo fino al 2008, quando il vecchio amico (e saltuario collaboratore) Tim Reynolds si è aggiunto, alla chitarra elettrica; nel 2005 ha aumentato la sezione fiati, fino ad allora composta dal solo LeRoi Moore, con la sua tromba (e cori). Attualmente, la formazione è Matthews, Beauford, Lessard, Tinsley, Ross, Reynolds e Coffin (giusto per ricapitolare, casomai vi fosse sfuggito qualcosa). , nel 1993: è un momento particolare, perché il grunge è al suo apice, e vanno di moda i chitarroni distorti e le batterie fracassone, mentre i DMB hanno chitarre acustiche, batteria jazzata (anche se potente e articolata), sassofoni, violino e melodie africane. , uccisa dal marito in un omicidio-suicidio: molte canzoni scritte da Dave parlano di lei. Dopo la sua morte, Dave e la sorella minore Jane si prenderanno cura dei suoi figli. L’esperienza, inoltre, cambierà (prevedibilmente) la vita di Dave, portandolo ad abbandonare la religione nella quale era cresciuto. è un successone, e consente alla band di iniziare una carriera folgorante: il successivo , è l’ultimo prima della morte di LeRoi Moore, ed è dedicato a lui: pubblicato nel 2009, ha portato alla band le prime due nomination ai Grammy dal 2003, per miglior disco rock e per disco dell’anno (fatto inusuale, per una band tutto sommato di nicchia come i DMB). L’ultimo disco in studio dei DMB è del 2012 e si intitola , il che li porta a essere costantemente in tour: il 2015 non ha fatto eccezione, e dopo un tour estivo delle Americhe sono approdati in Europa a ottobre, e hanno suonato per quattro sere in Italia. Il vostro (io) si è recato alla data di Milano e vi racconterà com’è andata. , il pubblico era numeroso ma la serata non era da tutto esaurito (prevedibile, in realtà: le quattro date italiane fanno presumere che la band, non avendo in Europa il diluvio di fan che ha in America, abbia preferito puntare su tante date con partecipazione medio-alta rispetto a una data sola con partecipazione enorme, o forse vogliono solo molto bene ai propri fan europei e hanno deciso di farci molto felici): io ho cominciato facendo quasi incazzare la signorina del merchandising, chiedendole di poter vedere i dischi disponibili per l’acquisto e sequestrandoli per una decina di minuti in preda a un’indecisione fantozziana, per poi tirare essenzialmente a caso, prendendo (nome della serie di dischi dal vivo della band, ispirato al locale dove si sono esibiti la prima volta, che però vuole anche dire “Tracce”, Tracks), (dei Rage Against the Machine: spero di non doverlo spiegare a troppi di voi, come spero che pochi di voi abbiano pensato “ah, quello che suona con Springsteen” di pensare ai Rage Against the Machine). Poi, altri 5 minuti per decidere la taglia della maglietta (una L, alla fine, dato che le taglie erano europee e non americane), con la signorina che ormai aveva il mio omicidio già pianificato, e ho potuto sedermi sui sedili del forum, costruiti da qualcuno che evidentemente non conosce persone più alte di un metro e dieci. Risultato, con le ginocchia in gola “eh, se non hai busto e culo non è colpa mia” ) per quelle sane tre ore e mezza, dato che una volta seduto era impossibile rialzarsi senza far alzare tutti gli altri nella fila di sedie. , e il posto a sedere non sarebbe stato il massimo, ma il parterre in piedi costava una fortuna, quindi mi sono adattato. I ragazzi sono saliti sul palco alle 20:15 e hanno asfaltato tutto e tutti fino alle 23:15, con una breve pausa prima dei bis. Diversamente dalle date del tour estivo americano, si sono concentrati molto sui pezzi “famosi”, pur non risparmiando in pezzi nuovi o più oscuri e noti solo ai fan duri e puri. che dovrebbero far parte del nuovo disco (che uscirà non si sa quando), la dolce “Death on the High Seas” (con Dave al pianoforte), “Black and Blue Bird” e la splendida e spettrale , eseguita per la prima volta integralmente (le volte precedenti ne avevano suonato solo una strofa e il ritornello) come introduzione alla trascinante “Why I Am” (da ), uno dei punti più alti del concerto, anche se di bassi non ce ne sono stati, a dirla tutta. Se siete dei neofiti potrei dirvi qualunque cosa e mi guardereste strano, dato che i DMB non hanno avuto neanche una hit “enorme” in Europa, un pezzo universalmente conosciuto, per cui mi limiterò a dirvi quali, secondo me, sono stati i momenti migliori dello show. Un bel momento è stata l’esecuzione, per me abbastanza inaspettata, di uno dei miei pezzi preferiti, e di come diamo molto spesso troppe cose per scontate. L’esecuzione di “Jimi Thing” (da ), caposaldo dei concerti dei DMB, è stata semplicemente devastante, con Boyd che macellava i nostri cervelli con un assolo al fulmicotone e la chiusura con Dave che, mentre suonavano, ha presentato la piovra dietro ai tamburi come “ ), e anche qui tutta la band è stata devastante, soprattutto Carter e Boyd, che hanno picchiato come fabbri (letteralmente, nel caso del batterista) per lasciare spazio ai due bis: “The Space Between” (da del 2001) e, quando meno me l’aspettavo, la conclusiva “Grey Street” (da (non casualmente un’influenza per i DMB, che ogni tanto dal vivo eseguono la sua “Sledgehammer”). E quindi sono impazzito, ho probabilmente turbato l’udito dei miei vicini di posto quasi scoppiando in lacrime all’attacco e cantando praticamente tutto il pezzo.