Tame Impala, “Currents” (2015)

Tame Impala, “Currents” (2015)

Gatti neri? Malocchio? Libagioni di sale? Magari una bella apocalisse mattutina? Io sono fiera di annunciare che non ho ceduto alla tentazione di spaventare mia nonna aprendo ombrelli in casa o mostrandole fotografie dei cerchi nel grano. Sono stata, inoltre, tanto matura e provvista di carità cristiana da evitare di fare partire la musica rituale dell’ISIS durante la sua siesta pomeridiana, nonostante siano settimane che mi dice che sono ingrassata. Il Regno dei Cieli mi attende: speriamo che mia nonna si sbagli e che io riesca a passare dai Cancelli Celesti senza schiacciare San Pietro. , tanto gioioso da scacciare la mala sorte: è finalmente uscito l’ultimo (capo)lavoro dei , la band australiana guidata da Kevin Parker che prende il nome da una specie di Che dire dei Tame Impala? Che sono un gruppo incredibile. Che riescono a unire in un connubio perfetto musica elettronica di ispirazione anni Ottanta e sontuose armonie psichedeliche , senza mai risultare banali o meno istintivamente orecchiabili. Che possono vantare un sound incredibile, psichedelico, originale, coinvolgente, addirittura scenografico. Il titolo dell’ultima fatica della band australiana è che in inglese significa “correnti”, inteso come “flussi, corsi d’acqua e d’aria”, non manca di ricordare anche l’aggettivo “current”, in vigore, attuale: corrente, appunto. Una sorta di memento, di omaggio allo , che non si ferma per nessuno e che alla fine ci porterà via. (Okay, forse mi sono lasciata contagiare anch’io dall’isteria collettiva del venerdì 17. Ma solo un pochettino). Fino a questo ultimo, splendido album, si può tranquillamente dire che le canzoni dei Tame Impala siano degli ultimi capitoli di un romanzo che ci appassiona: un’esperienza individuale. Piacevole, certo, , tuttavia, presenta alcune caratteristiche completamente nuove: si tratta di un tipo di musica che si può ballare, un continuo flusso di energia libera, vorticosa, trascinante, perfetta per un rave in spiaggia, o per una nottata passata a guidare. e di compagnia, ponendo la solitudine come una sorta di medicina per l’anima in un mondo costretto alla mondovisione e alla continua, forzata connessione, e colossale di persone invisibili, non è l’agorafobia il concetto focale di i sentimenti sono un susseguirsi di martellate al cuore e al cervello: Se non è possibile non identificarsi e non soffrire per le struggenti parole d’amore, ad un livello più profondo, o quantomeno Se avete voglia di raggiungere livelli olimpici di onanismo intellettuale, potete qui cogliere un riferimento secondo me chiaro all’ dedica pagine infuocate di critica accurata e meticolosa a quella che definisce “ di D.H. Lawrence”. Uomini e donne sono separati da un abisso, binari separati, logiche opposte, incomunicabilità totale. Se capita di “non essere sempre orgogliosi di ciò che si sceglie”, il bivio non si pone, e nemmeno la possibilità di tornare indietro: la natura umana esiste come regola, . Ecco perché, sostanzialmente, siamo fregati: quando ci innamoriamo, se ci innamoriamo davvero, non siamo più in grado di accettare l’altro/a come insieme delle proprie generalità di genere, vogliamo disperatamente Farsi attraversare dal grande fiume della vita, fatto di distanze, incomprensioni e ansie è qualcosa di inaccettabile per chi perde la testa. Non è un caso che la canzone si intitoli , tasto dolente reso palese anche dal lessico sessuale femminile, tradizionalmente passivo: il fiore della verginità “viene colto”, la donna “viene presa”… Insomma, il solito fallico protagonismo maschile. Sai che novità.