J.R.R. Tolkien: i romanzi della crisi

, è un genere che di fatto non coltivo, ma una sorta di moralità bibliofila mi ha spinto, parecchio tempo fa, a buttarmi sul (forse troppo) famoso di John Ronald Reuel Tolkien, giustamente considerato il padre di questo genere letterario. Un romanzo decisamente inflazionato, complici le note riduzioni (sì, volevo proprio dire ) cinematografiche che si sono trascinate dietro fanatismi estranei all’opera originaria. Per curiosità mi sono poi avvicinato ad altre opere dello stesso autore, riuscendo così a compormi un quadro discretamente completo del , opere satellite, prequel, appendici, saggi, illustrazioni, atlanti, che danno forma a uno dei più dettagliati e coerenti universi fantastici mai creati. Un’opera monumentale, di cui il denominatore comune sembra essere la costante affermazione del principio dell’eterno rinnovamento del mondo a seguito di periodici sconvolgimenti. Una sorta di riproposizione del principio stoico secondo cui l’universo, a intervalli regolari, conflagra in un fuoco purificatore per uscirne poi rinnovato in un nuovo ciclo temporale. In Tolkien manca la dimensione apocalittica della distruzione (la stessa scansione temporale dei romanzi in differenti “ere” lo suggerisce). L’autore stesso introduce questa idea in una delle sue numerose lettere (pubblicate da Bompiani in un volume intitolato terminano con una visione della fine del mondo, il suo disfarsi e il venir ricreato». lasciato dalla fine della lettura di uno dei libri di Tolkien: spesso sembrano non finire realmente, ma condurci semplicemente a una finestra appannata dalla quale intravediamo il paesaggio esterno senza tuttavia riuscire a distinguerlo bene. Anche il libro che narra gli eventi più recenti (proprio il ) non mette la parola “fine” alla vicenda del mondo, concludendosi con una sorta di , ma intuibile dietro la foschia. In altre parole, i romanzi di Tolkien tendono a concludersi non con un’apocalisse e nemmeno con un proseguimento lineare della storia, bensì con una specie di via di mezzo: la rappresentazione (narrativa, e quindi camuffata metaforicamente) di un cambio radicale nell’ordine delle cose, la rappresentazione di una , rivelandosi quindi passaggio necessario nell’evoluzione e non incidente di percorso da evitare, è presente, tra gli altri, anche negli scritti di Albert Einstein, che ne parla a proposito della Grande Depressione del 1929 (“ La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi”: , il verbo greco che indica, originariamente, l’azione di setacciare il grano per separarne la parte migliore). All’incirca negli stessi anni il nostro Tolkien iniziava ad appuntarsi abbozzi di una lingua inventata, il Quenya, basata sul finlandese con una fonetica vicina al latino e un sistema verbale accostabile al greco antico: il nocciolo originario attorno a cui verrà creato tutto l’universo tolkieniano. Non si può sorvolare sugli estremi temporali della composizione dell’opera centrale della produzione tolkieniana, , e pubblicato nel 1954. Sorge quindi spontaneo l’accostamento tra le vicende letterarie e quelle storiche: forse mai come nell’ultimo conflitto mondiale la lotta tra Bene e Male è stata interpretata più simbolicamente (basti pensare alla propaganda antisemita in Germania, e antinazista negli Stati Uniti). È probabilmente arbitrario il parallelo, pure evidenziato da molti, tra le diverse fazioni in lotta nel e quelle in lotta nella guerra reale (alcuni hanno visto, o creduto di vedere negli “orchi” una rappresentazione ora della società comunista, ora del nazismo e via dicendo), ma è innegabile che le vicende storiche abbiano avuto influenza sui grandi temi trattati da Tolkien. In un’altra lettera l’autore, cercando di definire gli orizzonti spazio-temporali del mondo da lui creato, ammette che la terra in cui sono ambientate le sue opere non si trova su un’altra galassia o su un universo parallelo (non è, infatti, fantascienza), bensì è il nostro stesso pianeta, fotografato, nel , all’incirca quattromila anni prima di Cristo (sebbene in altri scritti descriva la “Terra di Mezzo” come un “differente stadio di immaginazione”, e non come la nostra Terra nel passato ). Se le sue opere narrano eventi della Prima, Seconda e Terza era, con un accenno della Quarta, da un’altra lettera invece si evince chiaramente che . Ora, nella scansione temporale delle opere di Tolkien, il passaggio tra un’era e la successiva è sempre traumatico e dovuto a qualche sconvolgimento cosmico che stravolge il mondo (uno di questi passaggi è addirittura provocato dalla trasformazione della terra da piatta a tonda, una sorta di trasposizione mitica della presa di coscienza della sfericità della Terra realmente verificatasi nell’umanità). La logica conclusione è dunque che la seconda guerra mondiale e, più in generale, il Novecento, costituiscano anch’essi, nella concezione dell’autore, uno di quei periodici sconvolgimenti che, come nell’ . Se si tratti di una pia illusione o di una profezia in attesa di realizzarsi, resta ancora da stabilire.