Aborto in Polonia: La vittoria del nuovo premier Donald Tusk segna davvero l’inizio di una nuova era?
Donald Tusk, il nuovo primo ministro polacco, ha promesso di liberalizzare l’interruzione di gravidanza a livello legislativo nel suo Paese, le cui le leggi sull’aborto sono tra le più restrittive in Europa. Il suo è un progetto in netto contrasto con la politica antiabortista del governo precedente . Tuttavia, anche se dimostra pubblicamente di impegnarsi sulla questione, la campagna elettorale che ha condotto per arrivare alla vittoria conferma che la libertà riproduttiva in Polonia è ancora una questione che viene strumentalizzata dai politici. L’acqua calda scorre su una pancia incinta, sotto le piastrelle viola e beige della doccia. Un gatto arancione si muove lentamente verso la lettiera. Nel 2023, solo un paio di mesi dopo un aborto, la doula Wiktoria Szymczak si è trasferita a Cracovia da Varsavia. Stava aiutando una donna sconosciuta a interrompere una gravidanza nel bagno del suo appartamento. Soltanto quella mattina, Szymczak aveva ricevuto una telefonata da una cliente che aveva bisogno di più aiuto del previsto e che chiameremo Agata per proteggere la sua privacy. In un primo momento, Szymczak le aveva spiegato come procedere, ricorrendo a uno dei pochi metodi legali rimasti per abortire in Polonia. È ancora legale infatti ordinare online delle pillole abortive attraverso un rivenditore con sede estera (Szymczak consiglia organizzazioni mediche non profit come ). Agata è quindi andata su internet e ha comprato le pillole per interrompere la gravidanza. Ma «ha fatto male i conti», ricorda Szymczak. La gravidanza era più avanzata di quanto pensasse e avrebbe avuto bisogno di più farmaci per interromperla. «In qualità di doula che si occupa di assistere le donne che hanno scelto di abortire, ovviamente ho delle pillole in casa», dice. Ma Szymczak è da poco anche avvocato, e mette in pratica tutte le sue conoscenze del panorama legale polacco nel suo attivismo. Quindi, da doula che collabora con altre attiviste per il diritto all’aborto, ha imposto una regola ferrea a se stessa e alle altre persone del suo team: non si possono mai dare le proprie pillole abortive a un cliente in Polonia. «Ti limiti a stringere loro la mano o ad aiutarle mentre ordinano le loro». Dare le proprie pillole a qualcun altro, significa mettere in circolazione in Polonia farmaci non registrati, ed è severamente vietato dalla legge. «Sono io ad assicurarmi sempre che nessuno faccia cose stupide che potrebbero farli arrestare», dice. Agata aveva già preso mifepristone e misoprostolo, ma aveva bisogno di una quantità maggiore del secondo. Per ottenerne altre pillole ci sarebbero voluti almeno altri due giorni. Al telefono, Agata era a pezzi, agitata e «molto scossa emotivamente». Szymczak non voleva farla aspettare oltre. L’aborto di Agata doveva necessariamente avere luogo nell’appartamento di Szymczak, che si trovava in un angolo tranquillo di Cracovia, vicino al capolinea del tram. Szymczak ha chiamato un’amica per chiederle conferma del dosaggio corretto, dicendole di tenere a portata di mano il numero di telefono del loro avvocato. Szymczak non conosceva Agata, se non tramite qualche conversazione che avevano avuto online. Inoltre, il fidanzato di Agata era diventato sempre più controllante, il che significava che Szymczak non sapeva come avrebbe reagito alla notizia dell’aborto. Avrebbe chiamato la polizia? «Non preoccuparti», ha scherzato l’amica di Szymczak. «Faremo delle magliette personalizzate per la tua udienza, come abbiamo fatto per quella di Justyna». Nel marzo 2023, Justyna Wydrzyńska, un’attivista per i diritti all’aborto di Varsavia, è stata condannata a otto mesi di servizi sociali per aver aiutato una donna incinta a procurarsi la pillola abortiva. La mattina seguente, Szymczak e il suo compagno hanno preparato la colazione ad Agata e l’hanno accompagnata a casa. «Per tutto il tempo continuavo a pensare che mi avrebbero arrestata o che sarei potuta andare in prigione», racconta ora Szymczak. E non avrebbe tutti i torti. In Polonia, la legge che ha condannato Justyna Wydrzyńska meno di un anno fa è ancora in vigore. Nel Paese vige un divieto quasi totale di aborto, fatta eccezione per gravidanze causate da stupro o incesto oppure che mettono la donna in pericolo di vita. Wiktoria Szymczak racconta di aver visto donne a cui è stato negato l’aborto in ospedale, nonostante la loro situazione fosse conforme ai requisiti di legge. Ma una legge che prevede «l’obiezione di coscienza sull’aborto» implica che i medici non sono obbligati a praticare o a consigliare alle pazienti un’interruzione di gravidanza se ciò è in contrasto con le loro idee religiose. Altri medici temono spesso un’ interpretazione rigida del codice penale che potrebbe sanzionarli qualora decidessero troppo frettolosamente di agire per tutelare una paziente da una gravidanza a rischio. Szymczak condivide la sua storia perché è stanca di stare ferma ad aspettare che un giorno qualcosa cambi. «[Agata] è stata fortunata. E io sono stata fortunata», dice. «Fortunata perché avevo [le pillole] in quel momento e… fortunata perché ero disposta a farlo». Non vuole più che sia la fortuna a decidere il futuro. «Le donne in Polonia meritano di andare da un medico, dire che non vogliono continuare la gravidanza e ricevere tutte le pillole di cui hanno bisogno. Se pensiamo agli altri Paesi europei, lì per qualche motivo è normale che le donne vengano trattate come esseri umani». Da oltre 30 anni, in Polonia vige il divieto quasi assoluto di aborto con pochissime eccezioni, lasciando che persone come Szymczak si occupino della questione. Sotto il partito di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS), che ha governato in Polonia dal 2015 al 2023, tali restrizioni sono state ulteriormente irrigidite sia sulla carta che nella pratica. Nel 2021, il tribunale ha vietato l’aborto in caso di gravi anomalie o malformazioni del feto. Un caso mediatico vede coinvolta una donna che, dopo aver avuto un aborto spontaneo si è trovata davanti i procuratori della Corte costituzionale che hanno setacciato l’intero sistema fognario per ritrovare il feto. Ma negli ultimi mesi, una serie di cambiamenti fa pensare che questo potrebbe essere l’inizio di una nuova era per i sostenitori del diritto all’aborto in Polonia. Nel suo primo discorso da primo ministro, nel dicembre 2023, Donald Tusk ha promesso «un programma affinché ogni donna polacca possa avvertire un cambiamento nel modo in cui viene gestita la maternità, la protezione della maternità e l’accesso all’aborto legale». E proprio il giorno prima del suo intervento, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) aveva dichiarato che vietare l’interruzione di gravidanza in caso di malformazioni fetali viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare. In risposta alla decisione, Federa (Federation for Women and Family Planning), l’Ong che si batte per i diritti riproduttivi in Polonia, ha dichiarato che si tratta solo di un primo passo verso la liberalizzazione dell’interruzione di gravidanza a livello legislativo: «Non ci fermeremo finché a ogni donna in Polonia non sarà garantito il diritto di decidere della propria vita». Ma il percorso per arrivare fino a questo traguardo non è stato facile e molte femministe dicono che non crederanno alle promesse politiche fino a quando non vedranno dei risultati effettivi. Ciò è dovuto in gran parte a una lunga storia in cui il diritto all’aborto è stato usato come arma politica a spese delle donne e dei loro corpi. La femminista polacca Sławomira Walczewska colloca l’inizio di questo fenomeno nell’ultimo periodo del regime comunista. Walczewska ricorda una famosa conferenza sui diritti umani degli anni Ottanta, durante la quale centinaia di persone provenienti da tutto il mondo si erano riunite in Polonia per partecipare a seminari e convegni sul tema. Ma quando ha partecipato a una discussione sui diritti delle donne e sull’aborto la sala era vuota, in un momento storico in cui il diritto all’aborto aveva già dovuto far fronte a crescenti restrizioni e aveva visto l’opposizione dei primi movimenti pro life. Anche gli stessi relatori decisero di andarsene da un’altra parte. Walczewska rivela di essersi indignata. Durante la cerimonia di chiusura, alla quale parteciparono centinaia di persone, chiamò a raccolta gli organizzatori, pretendendo che la prossima conferenza prendesse sul serio i problemi delle donne. «Non ero nessuno in questo ambiente pieno di grandi attivisti», racconta. Alcuni di loro erano persino finiti in prigione per anni a causa delle loro idee, motivo in più per essere stimati tra gli attivisti pro-democrazia; in confronto lei si sentiva tremare. Walczewska ricorda l’applauso del pubblico. Ricorda anche lo sguardo del presidente. «Era un attivista rispettabile, non avrebbe mai ammesso di essere misogino. Sarebbe stato come ammettere di avere idee retrograde», dice. Ma il suo volto ribolliva di rabbia. «Se delle così belle persone non volevano sentir parlare di diritti delle donne, che speranza c’era per tutte le altre persone apertamente misogine?» Secondo Walczewska, in Polonia è sempre la stessa storia: i diritti delle donne sono utili fino a quando non servono più. Nel 1989, solo Grażyna Staniszewska, una tra le tante donne che avevano collaborato a giornali anticomunisti e preso parte ad attività politiche, sedeva agli Accordi della Tavola rotonda a Varsavia per discutere delle riforme democratiche del Paese. sempre la stessa storia: i diritti delle donne sono utili fino a quando non servono più. Sempre nel 1989, sotto l’ultimo governo comunista, è stato presentato alla legislatura un progetto di legge che rendeva l’aborto illegale. Tuttavia, i politici avevano concordato che non avrebbero discusso la questione dell’aborto fino a dopo le nuove elezioni. La storica Sylwia Kuźma spiega che la storiografia polacca dell’epoca è d’accordo nel considerare tale proposta di legge come un tentativo da parte dei partiti comunisti di «provocare liti all’interno dell’opposizione», proprio quando le istituzioni democratiche stavano muovendo i primi passi. Infatti, il rifiuto di affrontare la questione è stata la risposta di un governo democratico prudente che si è rifiutato di abboccare all’amo dei comunisti. Tuttavia, un’altra interpretazione di questa decisione è che la questione è stata accantonata in nome di qualcosa che è stato ritenuto più importante, quando in realtà quella questione avrebbe riguardato metà della popolazione. Maria Janion, un’importante critica letteraria polacca, femminista e membro del movimento Solidarność, aveva contribuito in modo determinante all’insediamento del nuovo governo ed era tra le persone che sostenevano che il dibattito sull’aborto dovesse essere accantonato e rinviato ad un secondo momento. Nel prestigioso quotidiano polacco la donna ha ricordato il successivo senso di tradimento che ha provato: «Sostenevo che Solidarność dovesse prima lottare per la libertà e l’indipendenza dell’intera società e che poi, insieme, ci saremmo potuti occupare delle questioni femminili. Qualche anno dopo, Solidarność si è occupato delle questioni femminili e sappiamo esattamente cosa è successo e in che modo». Nel 1992, sotto il nuovo governo democratico, le donne sono scese in piazza per protestare contro il progetto di legge che sanciva l’illegalità dell’aborto. Hanno raccolto oltre un milione di firme per chiedere al Sejm, la Camera bassa del Parlamento polacco, di indire un referendum. Le donne sapevano che l’opinione pubblica era dalla loro parte e probabilmente lo sapevano anche i leader politici, perché il referendum non si è mai tenuto. Al contrario, i legislatori si sono ingraziati la Chiesa cattolica introducendo un divieto meno rigido, che consentiva l’aborto solo in alcuni casi eccezionali. Questi comportamenti andavano oltre quelle che erano le linee di partito. Mesi dopo aver reso nuovamente illegale l’aborto nel 1993, i partiti che avevano introdotto la legge persero il potere politico e il partito progressista post-comunista Alleanza della Sinistra Democratica ottenne il controllo. Per anni, questo partito non ha fatto nulla riguardo alla questione dell’aborto. Poi nel 1997, poco prima delle nuove elezioni, gli esponenti del partito iniziarono a parlare di un ritorno del diritto all’aborto, ricorda Walczewska. «‘Votate per noi’… Era chiaro che fosse soltanto una strategia di manipolazione dell’opinione pubblica». Non ha funzionato. Al suo posto fu votata Azione Elettorale Solidarność, una coalizione a cui avevano aderito partiti liberali e conservatori. Ventisei anni dopo, Walczewska vede delle analogie tra il passato e la situazione attuale. La coalizione fu sciolta nel 2001. Dalle sue ceneri nacquero presto i due principali partiti rivali: il partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), notoriamente contrario al diritto all’aborto, e il partito centrista Piattaforma Civica (Po). Dal 2015 al 2023, Diritto e Giustizia (PiS) è stato al potere in Polonia ed è diventato famoso per i suoi continui . Nel 2023, si è formata una coalizione piuttosto varia di partiti e ha raccolto abbastanza voti da estromettere Diritto e Giustizia (Pis) dal potere. Questa vittoria è stata ottenuta anche grazie alle promesse del nuovo primo ministro Donald Tusk che, per la prima volta dalla caduta del comunismo, dice di voler abolire le restrizioni sui diritti riproduttivi e rendere legale in Polonia l’aborto fino alla dodicesima settimana. Tusk sapeva quale sarebbe stato l’effetto che avrebbero avuto le sue parole. Dopo che Diritto e Giustizia (Pis) aveva vietato legalmente l’aborto anche in caso di malformazione fetale, costringendo le donne nel secondo trimestre di gravidanza a lasciare il Paese per ottenere assistenza sanitaria, nel 2020 si era scatenato in Polonia lo (letteralmente “sciopero delle donne”), con tanto di proteste e cortei di migliaia di persone. Era chiaro che il tema dell’aborto avrebbe mobilitato molti elettori. Durante la campagna elettorale per le elezioni del 2023, Tusk aveva invitato le donne a votare per il suo partito, Piattaforma Civica (Po), facendo riferimento alla questione dell’aborto. Tuttavia, nel novembre dello scorso anno, quando Tusk ha firmato l’accordo per governare insieme ai partiti più centristi e di sinistra in una nuova coalizione democratica, il diritto all’aborto non figurava all’intenro del loro primo mandato condiviso. La giornalista Anna Kowalczyk non è sorpresa: «I diritti delle donne sono sempre stati trattati in modo strumentale e sono i primi ad essere sacrificati quando bisogna sacrificare qualcosa». I politicanti insisteranno sul fatto che la coalizione era fragile e che il partito di Tusk non ha ottenuto abbastanza voti per chiedere una svolta a favore dell’aborto una volta entrato in carica. Ha dovuto stipulare accordi con partiti più conservatori, orientati verso l’agricoltura e l’economia, per evitare che il partito nazionalista Diritto e Giustizia (Pis) prendesse di nuovo il controllo. Ma uno sguardo alle precedenti campagne elettorali di Tusk rivela una storia molto più lunga di disinteresse per la voce delle donne. In occasione di un incontro decisivo per la conquista del voto delle donne, è stata indicata una sola oratrice, la più giovane candidata di Piattaforma Civica (Po), della quale, per di più, Tusk ha sbagliato a pronunciare il nome. E mentre la Coalizione Civica (Ko), che comprende partiti minori che si sono candidati con Piattaforma Civica (Po), permette visibilmente ai suoi membri di avere opinioni diverse sui diritti all’aborto, comprese opinioni antiabortiste, una femminista è stata espulsa dalla coalizione per aver detto che, a suo parere, l’aborto dovrebbe essere consentito su richiesta. La propaganda si è concentrata sulla diffusione sui social media di video di Donald Tusk che ammicca e si sdraia su un divano, in versione nonno premuroso o sex symbol dai capelli grigi. Le donne erano elettrici, oggetto delle campagne elettorali, ma non soggetti politici degni di essere coinvolti in modo rispettoso. Le donne erano elettrici, oggetto delle campagne elettorali, ma non soggetti politici degni di essere coinvolti in modo rispettoso Per poter capire la posizione della Polonia sul diritto all’aborto oggi, occorre comprendere l’influenza che ha avuto in materia la storia comunista del paese anche sulle epoche più liberali della storia polacca. Nel 1932, la Polonia divenne il secondo Paese, dopo l’Unione Sovietica, a legalizzare l’aborto in casi estremi, ovvero per tutelare la salute della donna o in caso di stupro. Dopo la morte di Stalin, che ha permesso ai Paesi del blocco socialista di abbandonare le sue politiche pronataliste più radicali, il Paese ha esteso l’accesso all’aborto legale anche a chiunque si trovasse in «condizioni di vita difficili», e i decessi legati all’aborto sono crollati in Polonia, passando da 255 casi all’anno a 12. Tuttavia, questo diritto non è mai stato definito ufficialmente un diritto individuale, spiega Agata Ignaciuk, docente di storia della medicina presso l’Università di Granada. Piuttosto, «si trattava di una procedura sanitaria per risolvere un problema»: un problema per la famiglia o per il bene comune. Ignaciuk racconta che all’epoca in altri Paesi le femministe si battevano affinché il diritto all’aborto venisse regolamentato. «In Polonia si diceva più che altro: ‘beh, l’aborto dovrebbe essere legale, ma è un male necessario ed è pericoloso, potenzialmente dannoso e potrebbe portare all’infertilità’. Anche se venisse reso legale e accessibile», spiega. Un sondaggio del 1988 ha rilevato che anche se solo lo 0,6% delle donne approvava moralmente l’aborto, il 37% dichiarava che avrebbe abortito nel caso in cui non avesse desiderato un figlio. Guardando ai dati, Małgorzata Fuszara, sulla rivista , ha osservato che non si deve dare per scontato «che le donne che abortiscono lo approvino moralmente o che non credano di star commettendo peccato». La ricerca di Ignaciuk ha rivelato che gli articoli scientifici e le pubblicazioni mediche raramente si discostavano da «un’inquadratura fissa» dell’aborto come una procedura rischiosa che dovrebbe essere praticata solo seguendo rigide linee guida legali, ecome ultima spiaggia. L’obiettivo dell’aborto legale era prevenire la morte, non garantire autonomia alla donna. Secondo la ricercatrice, questa antica percezione ha reso difficile per i sostenitori dell’aborto difenderne il diritto durante la caduta del comunismo, quando è entrato in vigore il progetto di legge che rendeva l’aborto illegale nella maggior parte dei casi. «Questo ha reso difficile poter concepire l’idea che l’aborto sia un diritto della donna, un diritto umano», afferma .«E renderlo rilevante per l’intera società». La domanda resta: che cosa fare ora? Szymczak, la doula esperta in materia di aborto, afferma che dopo decenni di restrizioni sull’aborto, gli operatori sanitari polacchi vivono ancora nel passato. Nella sua esperienza da doula, sente spesso di donne che si recano in ospedale dopo un aborto spontaneo o dopo aver avuto problemi con un aborto farmacologico. Troppo di frequente, dice, vengono sottoposte a procedure che sembrano delle punizioni e che, quando non sono prescritte da un medico, possono comportare rischi. I cambiamenti dal punto di vista legale dovranno comportare inevitabilmente anche tutto il supporto necessario ai medici, come corsi di aggiornamento su tecniche all’avanguardia e nuove attrezzature. Ma prima che ciò accada, resta da risolvere il problema di come arrivare anche solo fino a questo punto. Nelle grandi città, che sono le sue roccaforti, il primo ministro sta subendo un’enorme pressione sociale affinché metta in atto delle riforme. Il canale YouTube del Sejm conta oggi 650.000 iscritti e molti polacchi seguono da vicino i vari incontri. A gennaio, Tusk ha dichiarato alle principali emittenti televisive del Paese che avrebbe presentato una proposta di legge che legalizza l’aborto nelle prime 12 settimane «con alcune condizioni». I politici più conservatori della sua coalizione hanno invece insistito per un ritorno al cosiddetto compromesso del 1993, o per il referendum voluto dalle femministe trent’anni fa. Szymczak non vuole saperne di queste soluzioni alternative. Afferma che l’opinione pubblica non sempre si riflette in un referendum perché «le persone dalla parte ‘del vincitore’ spesso restano a casa». Inoltre, sostiene, è finito il tempo di raccogliere l’opinione pubblica sulle decisioni individuali di una donna incinta. Per molte, i cambiamenti tecnologici e sociali hanno reso l’aborto ancora più personale di quanto non sia sempre stato. Spesso non si tratta nemmeno più di una «decisione tra una donna e il suo medico», come dicevano le femministe occidentali negli anni Novanta. Ora è possibile, con una connessione a Internet e un indirizzo postale, farlo completamente da soli. Tuttavia, persone come Szymczak non vogliono che le donne si sentano sole nel farlo.
