«Scaduto il contratto, hanno aumentato l’affitto a 650 euro». La storia delle okupas di Madrid

«Scaduto il contratto, hanno aumentato l’affitto a 650 euro». La storia delle okupas di Madrid

«A maggio del 2012 il comune di Madrid mi assegna una casa popolare» ha raccontato a Vanesa, donna di 44 anni con una figlia di 8 e uno di 18 «Ero contenta perché finalmente ero indipendente, ma l’illusione era dietro l’angolo». L’ingresso della Spagna nell’Eurozona e la relativa prosperità economica occidentale nel periodo 2000-2007 avevano permesso all’economia spagnola di espandersi. Era il settore immobiliare a spingere la crescita economica, sostenuto dal settore bancario, che offriva mutui a condizioni molto favorevoli. La crisi finanziaria statunitense del 2008 rese evidenti le , in un circolo vizioso alimentato dal crollo del valore dei bilanci delle banche, pieni di mutui a case che improvvisamente avevano perso quasi del valore. A perderci non erano solo le banche private: con la crisi economica diminuiva il gettito fiscale e, per i servizi essenziali, gli enti pubblici avevano bisogno di soldi. In questo contesto, nell’ottobre del 2013 la Regione di Madrid ha – un consorzio formato dal fondo d’investimento americano Goldman Sachs e dal fondo d’investimento spagnolo Azora. Di queste case, erano destinate alla popolazione di fascia di reddito bassa «compresa la casa in cui vivevo, a mia insaputa e di tutte le altre famiglie». in cui la Regione di Madrid e Encasa Cibeles sottolineano che, nonostante il passaggio di proprietà, le condizioni presenti nel contratto stipulato precedentemente rimangono inalterate. Una promessa non mantenuta: poco tempo dopo Encasa Cibeles toglie la riduzione dell’affitto al rinnovo del contratto. «Nessuno di noi poteva permettersi l’affitto concordato di 409 euro senza la riduzione, a cui avevamo diritto – ha raccontato Vanesa – con uno stipendio mensile medio di 800 euro a famiglia». Con l’aumento degli affitti, le famiglie che non potevano pagare hanno subìto lo sfratto senza dare loro un’alternativa. «Nella primavera del 2015, è arrivato un assistente sociale a comunicarci lo sfratto. Avevo una paura terribile dell’arrivo della polizia da un momento all’altro. Viste le circostanze, ad agosto di quell’anno ce ne siamo andati perché non volevo che mio figlio, che allora aveva 10 anni, e mia figlia appena nata vivessero sulla loro pelle uno sgombero forzoso». Nel 2015 Vanesa ha trovato una sistemazione assieme al suo compagno in una casa privata a Tetuan, un quartiere a nord est della città, ma una volta finita la relazione si trova da sola ad affrontare spese superiori alle sue possibilità. «Mi arrangiavo come potevo, ma le spese per me erano insostenibili perché con l’affitto di 550 euro e con le bollette onerose, non potevo dare da mangiare ai miei figli». Agli immobili pubblici venduti ai fondi d’investimento si è aggiunta un’altra eredità lasciata dalla bolla immobiliare: l’enorme parco di abitazioni vuote, tra i 2 e i 4 milioni in tutta la Spagna. – le“okupas” in Spagna sono coloro che occupano le case senza alcun permesso legale – in una casa vuota di proprietà di una banca, ma non ci riesce perché dietro la porta c’è un’altra porta sottile e d’acciaio – la porta “antiokupas”. Per sfondarla avrebbe dovuto pagare mille euro a una persona raccomandata da un suo amico. «Non avendo i soldi, ho rinunciato. Io e i miei figli ci siamo ritrovati per strada». La storia di okupa di Vanesa non è l’unica. Kiko, un uomo di 36 anni, fino al 2008 viveva con la famiglia in un appartamento privato in Villaverde Alto, un quartiere periferico di Madrid. «Pagavamo 450 euro di affitto fino al 2010», spiega Kiko. «Scaduto il contratto, il proprietario ha aumentato l’affitto a 650 euro. Insostenibile per noi visto che mio padre aveva perso il lavoro». Da quel momento in poi comincia la sua storia di okupa: «una persona mi ha offerto la chiave di un appartamento vuoto nel quartiere di Vallecas. Questo appartamento era pubblico, ma noi eravamo in una situazione difficile perché non sapevamo se fossimo in una situazione legale o meno». viene venduto un blocco di palazzine pubbliche al fondo Blackstone, compresa quella di Kiko. «È arrivata la polizia, che ha identificato mia madre e le ha chiesto il motivo per cui vivevamo lì», ha raccontato Kiko. «Mia madre ha detto la verità, ovvero non sapevamo dove andare se non per strada». Più tardi alla madre di Kiko è arrivata la denuncia per usurpazione e viene avviato un procedimento giudiziale di sfratto. «Nel gennaio 2018 siamo riusciti a presentare il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per paralizzare lo sfratto», ha aggiunto Kiko. «La Corte europea ha accolto il nostro ricorso, ma il giudice del tribunale spagnolo lo ha comunque autorizzato. È stato un periodo terribile. Senza una casa giravamo tra ospedale, alberghi e alloggi in casa famiglia. Tuttora non abbiamo ancora una sistemazione». La storia di Asuncion non è molto diversa. Dopo aver passato una vita in una baraccopoli nel quartiere Orcasitas, senza servizi, le è stato assegnato un appartamento pubblico dal comune di Madrid. «Un giorno sono tornata a casa e ho trovato che la serratura della porta era stata cambiata», ha spiegato. «Sono andata a reclamare, ma il comune di Madrid mi ha comunicato che il contratto era scaduto. Io però non ne ero a conoscenza. Mi sono sentita male. Un signore della baraccopoli mi ha aiutato, vendendomi un appartamento vuoto a 600 euro. Per disperazione ho accettato». Asuncion spiega di aver ricevuto un nuovo sfratto dopo due mesi, perché risultava occupante. «Non potevo subire un nuovo sfratto perché sono inferma e non posso lavorare», ha aggiunto. «Ho cercato aiuto e nell’estate del 2014 ho conosciuto PAVPS – il collettivo di Madrid che difende il diritto alla casa – e due attivisti avvocati, che mi hanno aiutato e sono riusciti a bloccare lo sfratto facendo leva sul mio stato di infermità. Dalle carte esaminate dagli avvocati, l’appartamento in cui vivo era pubblico ma nel 2013 era passato al fondo Cerberus con il quale tuttora sto negoziando un affitto. Ciò che desidero è un appartamento pubblico perché non si occupa per piacere, ma per necessità». per ovviare al problema, dopo l’accordo raggiunto dalla coalizione di governo formata dal PSOE (Partito socialista spagnola), Unidas Podemos, il partito indipendentista catalano (ERC) e il partito indipendentista basco (EH Bildu) per definire la legge. Il testo prevede: la limitazione degli aumenti di prezzo degli affitti al 2% nel 2023 e al 3% nel 2024; la facoltà da parte delle comunità autonome di dichiarare “aree stressate” le zone in cui viene superato del 30% il reddito medio delle famiglie della zona per imporre un tetto; di definire “grandi proprietari” le persone che possiedono più di cinque case. – organizzazione che raggruppa i collettivi che difendono il diritto alla casa – ha denunciato a alcune lacune: «la legge è molto timida in quanto non ha gli elementi essenziali che dovrebbero garantire e proteggere il diritto alla casa». Barrio ha spiegato che «manca il diritto soggettivo alla casa», il diritto che ogni essere umano ha di vivere in un alloggio indipendentemente dal suo reddito e dalle sue risorse. «Inoltre, se il diritto all’abitazione adeguata viene violato, si deve poter andare alla pubblica amministrazione e ai tribunali a denunciarlo», ha aggiunto. «Questo il testo non lo contiene». Un secondo problema che la legge non ha risolto è la questione delle competenze in Spagna. Lo Stato è diviso in comunità autonome – la Comunidad autonoma de Madrid, ad esempio –  e la maggior parte degli elementi del sistema di welfare sono trasferiti a queste comunità, come l’articolo 148 della prevede. Ciò comporta che le comunità autonome siano dotate di un proprio impianto normativo in materia e, di conseguenza, questo crea dei cortocircuiti. Nel settembre del 2020, per esempio, il governo catalano ha promulgato la per contenere il prezzo degli affitti in Catalogna. Nel dicembre del 2020 un gruppo parlamentare formato da 50 deputati del Partito popolare ha presentato un ricorso contro questa legge alla Corte costituzionale, che nel l’ha definita parzialmente incostituzionale perché giudicata invasiva della sfera delle competenze dello Stato. «Però nella legge statale c’è scritto che la legge sulla casa è di competenza delle comunità  autonome». Allora, si è domandata Laura «quali sono gli elementi che rientrano nella responsabilità delle comunità autonome e quali sono quelli che rientrano sotto la responsabilità dello Stato?» Una terza questione, secondo Laura Barrio, è il problema degli sfratti sia quelli immediati – che ora fino alla fine dell’anno sono paralizzati dal 11/2020 emerso come misura di sostegno sociale per il Covid – e sia quelli futuri.  Nonostante nella nuova legge sia prevista la proroga del contratto per i soggetti che si trovano in una situazione di vulnerabilità economica e sociale, secondo Laura non basta. «Innanzitutto, nonostante il decreto regio sia in vigore, ci sono stati molti sfratti: questi dipendono dal rispetto di determinate condizioni e dalla volontà del giudice di applicare il decreto. Inoltre la legge non paralizza, non frena o vieta gli sfratti. L’unica cosa che fa è stabilire un sistema di mediazione tra il proprietario dell’immobile e la persona che vive lì. In questo modo non si risolverà nulla fino a quando quelle famiglie non avranno un nuovo posto dove vivere». Protesta davanti alla sede del PSOE. Foto Luca Marinozzi/The Bottom Up Un quarto buco della legge riguarda la mancata regolazione dell’affitto turistico, come quello delle piattaforme Airbnb o Booking, come invece è avvenuto a , con risultati ancora da capire. Il problema degli affitti a breve e della concentrazione della proprietà è un fenomeno comune europeo, come sta investigando il progetto . «Il rischio è quello di trasformare zone residenziali per famiglie a zone funzionali al turismo mordi e fuggi». In conclusione, ha aggiunto, «noi continueremo a lottare per un’abitazione degna e adeguata come l’ Oggi Vanesa, lavorando saltuariamente in nero, è riuscita di nuovo a ottenere un alloggio popolare.