Three Movements – Appendice: il debriefing tecnico-musicale

Three Movements – Appendice: il debriefing tecnico-musicale

ad opera del nostro Alessio Venier mi sono reso conto di aver parlato di cose che non conoscevo alla perfezione e che quindi era meglio ribeccarsi un secondo – operazione che tra l’altro sarebbe praticabile per ogni singola pagina scritta su questo blog o concepita nella sua intera vita da Beppe Severgnini. dei beneamati Spacemen 3 di cui vi ho parlato l’ultima volta ha una piccola ma interessante particolarità: , ma qualcosa che sta lì a metà. Più precisamente, se fra un semitono e l’altro intercorrono 100 centesimi, quella versione di alterna un La maggiore e un Re maggiore shiftati (mi sembro Nicole Minetti) di 28/29 centesimi in alto. Come sono arrivato a capire questo? Ho provato a suonarci sopra prima con la chitarra e dopo aver creduto di essere brutalmente scordato io, ho capito che la faccenda era più strana. Allora ho agito tramite una tastiera MIDI (che per definizione serve a controllare un software sul pc col quale generare il suono che più ti piace), in modo da poter gestire tutto in modo scientifico col digitale. A quel punto, ho provato a modificare manualmente l’accordatura del mio strumento digitale, prima per semitoni, ma non cavandone niente; dopodiché sono passato ai , la voce) dei Spacemen 3 erano per l’appunto accordate in quella strana maniera. Fico, no? (virgolette ), bisognerebbe fondare un movimento di musica elettronica (dove cioè gli strumenti non siano accordati ma a tastini digitali) tutto fissato su intervalli strani. Forse esiste già, ma sarebbe comunque un’operazione intellettuale di un qualche rilievo, al pari della fondazione della . Certo, probabilmente per gli Spacemen 3 è andata così: hanno riaccordato gli altri strumenti basandosi sulla voce, che di suo, senza una coscienza tonica nel canto acquisita tramite lo studio, spazia tranquillamente fra frequenze ‘non esatte’. Ma insomma, resta sempre un bomberismo niente male. Il nostro Venier invece mi spiega che questa mia rivoluzionaria, quasi pentastellata idea di rottamare la scala eptatonale occidentale ha avuto precedenti illustri, tipo questo In ogni caso, il concetto è questo, utile anche rispetto alle nostre precedenti domande sull’identità di un oggetto musicale e delle cose tutte: se un brano è uniformemente registrato un quarto di tono sopra non cambia proprio nulla rispetto all’originale. Certo, se inizi a trasportarlo di una quarta o una quinta inizia a cambiare il timbro e questo ti fa accorgere che qualcosa è cambiato, ma a livello di rapporti acustici non cambia assolutamente nulla. Se invece modifico i rapporti armonici interni allora sì che ho qualcosa di nuovo. Se parto sempre dal La 440Hz però non ho semitoni uniformi ma, che so, intervalli di 117 cent (il semitono ne ha 100) allora avrò qualcosa che suonerà completamente “sballato” rispetto all’intonazione a cui siamo abituati, ma : sentiamo “normale” quello a cui siamo abituati da millenni di musica. Questo risulta chiaro non appena introduciamo nella nostra enciclopedia, nel senso psico-gnoseologico (esiste una parola del genere?) della parola, questo piccolo elemento di relativismo culturale, cioè che la divisione in note che avete imparato suonando il piffero alle scuole medie è e non valida universalmente. Un po’ come il discorso della prospettiva geometrica che si faceva un paio di settimane fa. Ad esempio, potreste controllare (per gli altri), dove si parla di quella faccenda che ho sperimentato in prima persona e che qualcuno di più importante di me ha chiamato “le note tra le fessure del pianoforte”.