Abusi sulle donne - Pixabay - thebottomup.it
La Spagna offre una lezione importante nel campo giuridico delle imputazioni per violenza sessuale. Uno switch esemplare.
Nel cuore del dibattito contemporaneo sulla violenza sessuale si impone una verità rivoluzionaria. Ossia l’unico discrimine tra un atto lecito e uno criminoso è il consenso.
Amnesty International, con la sua campagna “Il sesso senza consenso è stupro”, richiama l’Italia a un dovere etico e giuridico: riconoscere la volontà della persona come principio inviolabile dell’intimità.
Eppure, l’articolo 609-bis del codice penale ancora lega la definizione di stupro alla “violenza o minaccia”, relegando il consenso a elemento secondario. Questa impostazione, ereditata da una cultura patriarcale che tende a dubitare delle vittime, genera un paradosso giuridico.
Esiste chi non ha potuto dire “no”, chi è rimasto paralizzato dal terrore o dalla vergogna, e che tuttavia non ha pieno riconoscimento davanti alla legge. Amnesty chiede dunque un’evoluzione normativa e morale. Bisogna spostare lo sguardo dalla coercizione al consenso, dall’atto compiuto alla volontà negata.
La Spagna, nel 2022 ha introdotto una riforma epocale con la legge “Solo sí es sí” (“Solo sì è sì”). Con essa, il legislatore iberico ha eliminato il requisito della coercizione fisica per qualificare lo stupro. In questo modo si chiarisce che ogni rapporto sessuale privo di consenso esplicito costituisce violenza.
L’origine di questa svolta affonda nelle proteste popolari seguite al caso della Manada. In questo caso un gruppo di uomini fu inizialmente condannato per “abuso” e non per “stupro”, poiché la vittima non aveva opposto resistenza. La società spagnola rispose con indignazione. La nuova legge ha così trasformato un concetto giuridico obsoleto. Ora non è più la vittima a dover provare la violenza subita, ma chi agisce a dover dimostrare il consenso ricevuto. Una rivoluzione non solo normativa, ma antropologica.
L’Italia, pur avendo ratificato la Convenzione di Istanbul, continua a esitare di fronte a una riforma che altri paesi europei hanno già intrapreso. Restare ancorati al concetto di costrizione significa ignorare la complessità emotiva e psicologica della violenza sessuale.
Riformare la legge è dunque un atto di civiltà, ma anche di responsabilità collettiva. Serve un mutamento profondo nel linguaggio, nell’educazione affettiva, nella cultura giuridica e mediatica. Bisogna smantellare stereotipi che ancora colpevolizzano la vittima, insinuando dubbi sul suo comportamento o sul suo silenzio. La lezione spagnola dimostra che la giustizia può farsi custode della dignità umana quando pone la libertà al centro del desiderio.
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