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Ex sergente maggiore condannato per l’aggressione sessuale a una soldatessa vittima di un ambiente militare misogino

Un atto di violenza brutale nell’esercito, taciuto e minimizzato, che ha condotto una soldatessa al suicidio. Ora è arrivata la condanna.

Il tribunale militare di Bulford, nel Wiltshire, ha condannato a sei mesi di reclusione l’ex sergente maggiore Michael Webber per l’aggressione sessuale commessa contro Jaysley Beck. La ragazza era una soldatessa diciannovenne in servizio nell’esercito britannico.

L’episodio, avvenuto durante un’esercitazione nell’Hampshire nel luglio 2021, non fu gestito con la dovuta serietà. La giovane riferì l’accaduto ai suoi superiori, ma l’episodio non venne segnalato alla polizia militare.

Al contrario, le fu suggerito di accettare una lettera di scuse dall’aggressore, un gesto che parve una forma di insabbiamento, invece di un atto di giustizia.

La ragazza aveva descritto l’aggressione come un momento di terrore. Infatti, Webber le aveva rivolto avances indesiderate, le aveva messo una mano tra le gambe e l’aveva bloccata mentre tentava di baciarla. In seguito a quell’episodio, la giovane era talmente intimorita da scegliere di dormire in macchina per sentirsi al sicuro.

L’omertà delle istituzioni e il peso del silenzio

L’inchiesta condotta dopo il suicidio della soldatessa ha rivelato gravi carenze nella gestione della sua denuncia. Il medico legale Nicholas Rheinberg ha dichiarato che l’episodio avrebbe dovuto essere immediatamente comunicato alle autorità di competenza. In effetti la mancata segnalazione costituiva una chiara violazione delle politiche militari. Tale negligenza, ha affermato, ebbe un ruolo determinante nel deterioramento del benessere psicologico del soldato Beck. Una condotta che ha poi portato la ragazza in una situazione psicologica da spingerla a suicidarsi.

La madre della giovane, Leighann McCready, ha espresso con forza il proprio sdegno. “Jaysley ha seguito le regole, ha denunciato due volte, ma la sua catena di comando l’ha abbandonata”. La famiglia ha dovuto insistere affinché l’aggressione venisse finalmente riconosciuta come un crimine. Hanno aperto il vaso di Pandora su un sistema giudiziario militare che spesso sembra tutelare più l’istituzione che le vittime.

Misoginia tossica e cultura del silenzio dell’esercito

La vicenda ha riacceso il dibattito sulla misoginia tossica ancora radicata nelle forze armate. Nonostante gli impegni pubblici dell’esercito, persistono dinamiche di potere e una cultura del silenzio che scoraggia le denunce di molestie e discriminazioni.

Il caso Beck non è sicuramente un episodio isolato, ma rappresenta il riflesso di una struttura in cui la lealtà gerarchica prevale spesso sulla tutela dei diritti individuali. L’esercito ha successivamente ammesso di dover “fare molto di più” per proteggere e sostenere le proprie soldatesse.

Ilaria Lando

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