Davide Lippi - Wikipedia - thebottomup.it
Davide Lippi parla della sua eredità paterna e del modo in cui si è costruito il proprio mondo. Capire il peso di un cognome importante.
Tutti i figli cercano di superare i propri padri e di crearsi un’identità. Tuttavia, essere il figlio di Marcello Lippi non è un’impresa semplice. La fama paterna, intrisa di trionfi e leggende calcistiche, rappresenta un fardello contemporaneamente prestigioso e vincolante.
Davide Lippi ha raccontato alla Gazzetta dello Sport con grande lucidità, come ogni sua mossa sia stata osservata attraverso la lente del cognome che porta.
La fondazione dell’agenzia Reset Group, insieme a Carlo Diana, testimonia il desiderio di affermarsi come professionista autonomo, capace di destreggiarsi tra trasferimenti e valorizzazione dell’immagine di atleti di diverse discipline.
«Comincio il mio primo calciomercato e per tutti sono il figlio di Lippi, non Davide l’agente». Eppure, la sua determinazione e il rigore con cui ha affrontato le sfide hanno lentamente scolpito un’identità sua, fondata sul talento personale e sulla capacità di governare il mondo del calcio contemporaneo.
Al centro della narrazione dell’uomo emerge l’attenzione paterna verso la dimensione etica e familiare. Davide ricorda come Marcello, pur immerso in incarichi di rilevanza internazionale, abbia sempre anteposto il benessere dei propri cari. Un gesto simbolico, come recarsi sulla tomba del nonno prima di accettare la sfida della Juventus, rivela la solidità della famiglia che ha radici e valori morali.
Persino la rinuncia a proseguire nella carica di commissario tecnico della nazionale, nonostante il memorabile trionfo del Mondiale 2006, testimonia una scelta ponderata. Marcello non ha fatto elucubrazioni professionali e di business, ma si è fatto accompagnare dalla volontà di proteggere Davide dalle inevitabili pressioni e strumentalizzazioni del calcio. Ne emerge una situazione in cui l’amore paterno e la responsabilità etica si intrecciano, delineando un modello di vita in cui il successo non può prescindere dalla coscienza morale e dalla famiglia.
L’etica e il rispetto delle regole costituiscono un fil rouge nell’esperienza professionale di Davide. Egli racconta: «Mi dice (il padre): “Davide, non prenderò mai un tuo giocatore in un mio club”». In un contesto in cui trattative milionarie e opportunità ambiziose possono facilmente corrompere la condotta, i Lippi dimostrano che il successo può conciliarsi con la rettitudine.
Per questa famiglia la reputazione e l’integrità non sono vacuità, ma pilastri imprescindibili, elementi fondanti di un approccio al calcio che trascende il risultato e si radica in principi morali granitici.
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