Interventi antropici e cambiamento climatico nella laguna veneziana: l’impatto sulla pesca tradizionale

Il 12 novembre 2019 Venezia si è trovata di fronte a un’acqua alta straordinaria: la marea, a causa di un insieme di quali il forte vento di scirocco lungo il bacino Adriatico, il passaggio di un ciclone di piccole dimensioni che ha provocato venti locali con raffiche di oltre 100 km/h e il livello medio del mare insolitamente elevato, ha raggiunto i 187 cm. Nonostante il record della marea alta sia ancora quello del 4 novembre 1966, quando raggiunse i 194 cm, negli ultimi decenni si sono riscontrati , sia per l’altezza che per la frequenza, che hanno causato numerosi danni e complicazioni. «Una volta si verificava un fenomeno così ogni 30 anni, adesso l’eccezione è diventata la regola. Noi eravamo in piena stagione quando è successo e abbiamo perso tutto», ha raccontato a – granchi verdi della laguna veneta – che fa parte della Per proteggere le aree abitate della laguna di Venezia – che si estende da Torcello, a Nord, fino a Chioggia, a Sud – dopo decenni di ricerche e studi, nel 2021 è stato inaugurato il Modulo Sperimentale Elettromeccanico, , considerato una delle opere di ingegneria idraulica più ambiziose sul territorio italiano. Si tratta di quattro barriere costituite da 78 paratoie mobili tra loro indipendenti in grado di separare temporaneamente la laguna dal mare, e di difendere Venezia dall’alta marea. Le barriere, collocate alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, possono infatti proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a 3 metri e da un innalzamento del livello medio del mare fino a 60 centimetri nei prossimi 100 anni. Che fosse un progetto ambizioso è chiaro a tutti, ma Domenico per esempio, pur premettendo che non è un ingegnere, sa che vi erano dei progetti alternativi, come quello che avrebbe richiesto tecnologie standard nell’ingegneria navale e avrebbe comportato un minor impatto ambientale. Per realizzare il progetto Mo.S.E ci sono voluti 50 anni: il primo concorso bandito dal Consiglio Nazionale delle Ricerche ( che si vide una proposta progettuale vera e propria. Il 12 luglio dello stesso anno il ), e il 17 novembre 1989 venne approvato il progetto preliminare La realizzazione del Mo.S.E ha tuttavia trascurato l’opinione dei locali, soprattutto dei pescatori, una categoria tipica dell’economia lagunare con un lungo passato di tecniche tradizionali. I pescatori conoscono precisamente la geografia della laguna, che è costituita da un reticolo di canali con ramificazioni secondarie, chiamate Domenico Rossi, pescatore di moeche – granchi verdi della laguna veneta – che fa parte della cooperativa San Marco di Burano. Foto di Beatrice Foti/The Bottom Up I lavori più grossi sono iniziati solo intorno al 2000 e nello stesso periodo, ha raccontato Domenico, hanno cominciato a verificarsi i cambiamenti morfologici più estremi. Seppur gli interventi antropici sulla laguna di Venezia non siano una novità – come la che già dal 1500 aveva permesso di spostare le foci dei fiumi al di fuori della laguna per limitare l’apporto di sedimenti – Domenico ha affermato che «con la costruzione del Mo.S.E c’è stato un cambiamento radicale, soprattutto a livello morfologico». Quest’opera di ingegneria, spiega ancora il pescatore, «se entra in funzione salva le isole della laguna, ma bisogna considerare gli effetti a lungo termine», l’impatto sull’ambiente e sulla pesca. La creazione del Mo.S.E ha infatti contribuito a sconvolgere il già fragile ecosistema della laguna e ha limitato la capacità di investimento in lavori di mantenimento che una volta erano più frequenti e utili alla conservazione degli equilibri lagunari. Moltissimi dei fondi destinati alla città e alle isole sono stati dirottati sul Mo.S.E. I finanziamenti stabiliti dalla del 1973, inizialmente destinati a una serie di migliorie tra cui il rinnovamento delle fognature e l’escavo dei canali, sono stati concentrati su un progetto che, ancora prima di essere terminato, ha già bisogno di una costosa manutenzione: il progetto di Il Mo.S.E. è stato creato con l’idea che nel 2100 il livello del mare potrebbe essersi alzato di 1 metro, dunque le paratoie servirebbero a separare l’acqua della laguna dal mare aperto, evitando che Venezia venga sommersa. Ma la questione è: a che costo? Domenico infatti è preoccupato che, se il Mo.S.E dovesse entrare in funzione sempre più frequentemente, la laguna diventerebbe una palude, non riceverebbe più correnti, né ricambio di acqua carica di nutrienti. Secondo uno del 2013 sul tema, «con un innalzamento del livello del mare di 50 centimetri, la laguna rimarrebbe chiusa per 187 giorni all’anno» esaurendo l’ossigeno e modificando l’habitat dei pesci e di molte specie di uccelli tipici della laguna. del progetto Mo.S.E risultava infatti negativa e scettica non solo riguardo al degrado morfologico, ma anche riguardo ai danni e all’inquinamento dovuti ai lavori di realizzazione. Il progetto Mo.S.E tuttavia è solo uno dei numerosi interventi antropici che hanno contribuito a modificare la morfologia della laguna. La costruzione della inaugurata nel 1969, aveva portato a delle forti variazioni nelle correnti e nell’afflusso di acqua. Detta “canale dei petroli”, la bocca di porto di Malamocco è un canale artificiale profondo 15 metri costruito per permettere la navigazione di grandi navi petroliere verso Marghera. Se la costruzione di canali e bocche di porto ha contribuito a modificare le correnti, il cambiamento climatico e l’inquinamento dei mari sono altri fattori importanti che alterano l’ecosistema lagunare. Domenico, per esempio, ricorda che ancora negli anni ‘70, durante le basse maree più estreme, dalla laguna sud si poteva ammirare il , una sorta di prato di alghe che sembrava arrivare fino ai colli Euganei. «Adesso non si vede più nulla». Inoltre «le alghe marroni sulle rive dei canali sono proliferate 15 anni fa circa, prima avevamo la lattuga di mare» racconta Domenico. Gli interventi antropici hanno avuto impatti differenti in diverse zone della laguna. A seguito della costruzione del canale dei petroli, i pescatori del bacino meridionale hanno dovuto abbandonare la pesca a che consisteva in un grande recinto di reti in cui i pesci, con l’alta marea serale, potevano disperdersi per nutrirsi. Il canale dei petroli è attraversato da navi di 50mila tonnellate e lo spostamento della massa d’acqua causato da queste ultime rischiava di lasciare le piccole barche dei pescatori all’asciutto. L’impatto del Mo.S.E sulla pesca tra Pellestrina, nella laguna sud, e Burano-Torcello, nella laguna nord, è molto differente, secondo Domenico «il problema di Pellestrina è un po’ diverso perchè è prospiciente al mare» e quindi è sempre stata abituata a un certo tipo di correnti, di profondità e di fondali. «L’impatto più forte è avvenuto nella laguna nord, che è una laguna chiusa: dove hanno affondato i si è praticamente ristretta l’imboccatura del porto», ha spiegato Domenico. «Quando si restringe un’apertura si crea una specie di imbuto e l’acqua aumenta di velocità». I pescatori si trovano di fronte a zone in cui una volta i fondali erano bassi, mentre adesso c’è molta più acqua, perché la forte corrente «porta via i sedimenti e di conseguenza li deposita altrove». Pescherecci nella laguna di Venezia. Foto di Beatrice Foti/The Bottom Up su aree specifiche in concessione dalla città metropolitana di Venezia, chiudono una porzione di laguna su bassi fondali, un metro circa, e creano uno sbarramento in modo che tutto il pesce ci sbatta contro. Nella parte terminale dello sbarramento vengono posizionate le in veneziano, ovvero imbuti di rete dove si incastra il pesce. Essendo cambiate le correnti e la portata di acqua, «in alcune posizioni dove prima si pescava tranquillamente adesso risulta difficile». Se fino a 50 anni fa la cooperativa San Marco, la più antica ancora in funzione in Italia, era costituita da 100 pescatori, ora sono rimasti solo in 19, il che è in realtà un bene. La pesca delle moeche infatti funziona così: «c’è un sorteggio che viene fatto ai primi di settembre tra i pescatori della cooperativa, fino da tempi antichi, per affidare ogni anno delle postazioni diverse, perché ci sono delle posizioni che sono più pescose, per dare la possibilità a tutti i pescatori di variare». Essendo infatti solo in 19, oggi le postazioni sono diventate più ampie e permettono di girare la laguna per trovare i luoghi meno turbolenti. Adattarsi al mutamento è necessario, non solo per quanto riguarda le correnti e i fondali, ma anche per quanto riguarda il clima. I fenomeni estremi di acqua alta degli ultimi decenni sono infatti riconducibili a numerose cause, tra cui non meno importante l’innalzamento del livello medio del mare, che secondo l’ (Intergovernmental Panel on Climate Change) è destinato ad aumentare notevolmente a causa del riscaldamento climatico. «È tutto un insieme di cose» dice Domenico, «è già da qualche anno che abbiamo il problema della noce di mare, una specie di piccola medusa, c’è a tonnellate». Queste ultime vanno a intasare le reti e rendono impossibile ritirarle. «Adesso il problema più grave è la presenza del granchio blu e secondo me la causa principale è il cambiamento climatico». è che questa nuova specie di granchio, molto più grossa rispetto a quello autoctono, sia stata portata dagli scarichi di acqua utilizzata come zavorra delle navi cargo provenienti dal Nord Atlantico, che avrebbero riversato in mare l’acqua contenente la nuova specie. Grazie all’assenza di predatori, il granchio blu ha trovato l’habitat ideale per svilupparsi. La presenza del granchio blu ha reso la tecnica antica della pesca di moeche molto più difficile. Durante l’alta stagione, primavera e autunno, Domenico porta il contenuto delle nasse presso la sua rimessa a Torcello e fa una cernita: «può capitare che prendiamo 400/500 kg di granchi, che togliamo che diventerà possono essere 5/10 kg, però dobbiamo visionarli tutti uno a uno». Questi vanno poi inseriti in delle casse che vanno posizionate in acqua corrente in un canale, dove devono attendere 20 giorni circa per diventare , tutto il resto del prodotto viene riversato in acqua per la stagione successiva. Se fino a 10 anni fa si catturavano uno o due granchi blu a stagione, «quest’anno sono esplosi. Quando la stagione è alta si posizionano fino a 50 nasse», Domenico ha affermato che «ultimamente con 4 o 5 nasse ne prendi 50 kg». Inoltre quando questi entrano nelle reti creano una grande confusione e, oltre a impedire ad altre specie di pesci (alterino/seppia) di entrare, provocano dei danni alle reti notevoli e mangiano tutto ciò che incontrano, anche vongole, cozze e uova di seppia. Se al riscaldamento climatico però i pescatori attribuiscono principalmente l’arrivo di specie differenti, il cambiamento di abitudini e talvolta dei cicli riproduttivi, è chiaro che la costruzione di canali e di altre opere di ingegneria contribuisce a creare nuovi habitat per altre specie, alterando profondamente gli equilibri lagunari. L’inquinamento, il cambiamento climatico, e gli interventi antropici sembrano essere fattori determinanti che stanno modificando la pesca nella laguna veneziana, così come la sua morfologia. A tutto questo si aggiunge anche il cambio generazionale tra i pescatori. Domenico, figlio di una lunga generazione di pescatori, ricorda di essere salito in barca per la prima volta con suo padre all’età di 5 anni: «è un mestiere che richiede tanto, non puoi inventarti a 20 anni, mio figlio è andato a scuola fino a 18 anni e questo lavoro non puoi impararlo da grande». Tuttavia non si tratta solo di una cultura che fa fatica ad adattarsi ai “nuovi” ritmi, Domenico infatti ha proibito al figlio di pescare con lui perché «è troppo dura, ci sono troppe incognite, non c’è un futuro».