Egitto, il teatro sociale come atto di resistenza politica

È il 25 gennaio 2011, il giorno della festa della polizia in Egitto. A. D. ha 17 anni ed è sceso in piazza con lo zio a Fayoum, città molto vicina alla capitale per protestare contro la polizia, la persecuzione di attivisti, artisti e di tutti i dissidenti politici. Le proteste nel Paese vengono però represse brutalmente: il regime di è molto forte, molto violento e protestare non è annoverato tra i diritti costituzionali, almeno in pratica. Tre giorni dopo, il 28 gennaio, le stazioni di polizia e le carceri si svuotano: gli agenti smettono di lavorare in segno di protesta e tutti i detenuti vengono liberati. È il caos. Il mese successivo, tutto l’Egitto si riversa per le strade: «Quel giorno è stato il momento in cui decidemmo di andare in piazza e non tornare fino a che Mubarak non si sarebbe dimesso», racconta A.D. a Piazza Tahrir, a Il Cairo, è il centro della rivoluzione, affollata da milioni di persone. «È in mezzo a tutto quelle persone che ho finalmente sentito di poter respirare, parlare di politica e dei miei diritti», dice AD. Dopo 18 giorni di protesta, il presidente Mubarak si dimette: è la fine di una dittatura che dura da 30 anni. è un luogo cosmopolita che attira migliaia di persone anche dall’estero. Tutti volevano partecipare a questo momento storico. Gli egiziani e le egiziane finalmente potevano dire ciò che pensavano senza finire in carcere. A giugno 2012 si tengono le prime elezioni democratiche nell’Egitto moderno con la vittoria di , leader dei Fratelli Musulmani, il gruppo politico più organizzato in Egitto. Da questo momento A.D. inizia a essere attivo a livello sociale: partecipa a diverse iniziative del suo quartiere e fa volontariato con Salmeya (dall’arabo, “pace”), un gruppo di networking con attivisti, avvocati, politici e artisti per realizzare progetti di cambiamento sociale in Egitto. Con loro parla del diritto di voto, del diritto di scelta, del valore dell’essere umano e crea uno spazio per capire le differenze e le divergenze di ognuno e ognuna e accettare la diversità che, durante Mubarak, non esisteva. A.D. si unisce poi anche a un gruppo teatrale dove partecipa a laboratori che gli permettono di fare ciò che desidera: condividere ciò che è, ciò che pensa e scrive, in un momento in cui in Egitto c’è ancora la libertà di pensare e criticare.Pochi mesi dopo A. D. sale sul palco per la prima volta come ballerino e attore. Ciò che fa è generalmente conosciuto come teatro di strada, ma è propriamente detto teatro sociale perché tratta dei problemi specifici della società. Questo momento di libertà, però, non dura a lungo. A poco a poco, il governo democraticamente eletto viene sovvertito e si instaura un nuovo regime con a capo un generale poco conosciuto che tanto somiglia a Mubarak: Il primo spettacolo di A. D, che si svolge a Al Menya, città nel sud dell’Egitto conosciuta per gli scontri violenti tra cristiani e musulmani, viene interrotto dopo 30 minuti da alcuni organi della polizia con l’accusa di “disprezzare la religione”. Lo spettacolo trattava di religione e stereotipi e attori e attrici cristiane usavano il sarcasmo per far comprendere al pubblico la complessità dell’argomento. «Con ironia e scontro dipingevamo ciò che avviene in quei luoghi», spiega A.D., ovvero che i cristiani sono una minoranza e non riconosciuta come avente eguali diritti al resto della popolazione musulmana. Oltre al teatro sociale, A.D. si occupa anche di “arte terapia for social change”, laboratori che lavorano su gruppi di persone, dai bambini agli adulti, per migliorarne la vita e parlare di argomenti sociali e politici. Funziona in questo modo: delle associazioni per i diritti civili individuano problemi in segmenti della popolazione e regioni del territorio, per esempio una violenza smisurata nei confronti delle donne, contattano poi la compagnia teatrale per fare un workshop con i perpetratori di tale violenze. «Noi trattiamo con le persone con cui nessuno voleva trattare», spiega A.D. «Ma anche loro subiscono violenza, in una maniera orribile. Non bisogna vederli come esseri disumani che non hanno diritto al diritto». Ma la situazione politica inizia a cambiare, la dittatura si è intensificata e la polizia ha iniziato a reprimere ogni forma di dissenso pacifico e a soffocare lo spazio civico, il diritto di libertà di espressione, associazione e assembramento pacifico, riducendo gli spazi dove A. D. e i suoi compagni e compagne possono lavorare. Come si legge su un di Amnesty International, migliaia di critici e oppositori del governo, reali o presunti, sono rimasti detenuti arbitrariamente e/o perseguiti ingiustamente. La polizia egiziana e gli agenti dell’agenzia per la sicurezza nazionale e le detengono in condizioni disumane, le sottopongono sistematicamente a maltrattamenti, le torturano e incitano i compagni di detenzione ad abusare di loro. Un’amica di A. D., , è stata arrestata e torturata per aver alzato una bandiera arcobaleno a un concerto punk a Il Cairo: era la prima volta che qualcuno mostrava la bandiera della comunità LGBTQIA+. Una volta rilasciata è emigrata in Canada, dove si è suicidata pochi mesi dopo: Nel 2014 la compagnia teatrale di A. D. finisce nel mirino del governo e quattro anni dopo mette in scena quello che sarà uno dei suoi ultimi spettacoli: fare teatro è diventato troppo pericoloso. Nel 2018 un attore della sua compagnia viene arrestato non appena atterra all’areoporto del Cairo, dopo essere stato per mesi in Europa. Prima di essere rilasciato, è scomparso per 11 giorni, dove è stato torturato e pestato. Assieme a lui anche Shady Habashy, un regista, e Gal A Bheiry, un poeta, vengono arrestati per dissenso politico: hanno scritto una canzone e girato un video musicale che parlava di rivoluzione. Shady è morto in prigione nel 2020 per mancanza di cure e problemi di salute, mentre Gal Al è ancora in carcere.