La società JBS accusata di comprare bestiame dalla riserva estrattiva più deforestata dell’Amazzonia

Citati in giudizio altri tre macelli di Rondônia; i provvedimenti puntano a prezzare la distruzione della riserva di Jaci-Paraná.

Questo articolo è pubblicato originariamente su Agência Pública il 19 dicembre 2023.

Gli autori dell’articolo sono Rubens Valente e Fabiano Maisonnave.

Traduzione di Giada Saladanna.


JACI-PARANÁ, Amapá, Brasile — Il colosso della carne JBS S.A. e altri tre macelli stanno affrontando delle cause legali per danni ambientali da milioni di dollari per aver presumibilmente acquistato bestiame allevato in maniera illegale in un’area protetta dell’Amazzonia brasiliana.

Le cause legali, intentate dal 5 al 12 dicembre dallo Stato brasiliano occidentale di Rondônia, riguardano lo sfruttamento di una zona protetta nota come Jaci-Paraná, un tempo foresta pluviale e oggi in gran parte trasformata in pascolo dopo decenni di uso improprio da parte di land grabbers (ovvero usurpatori di terre), boscaioli e allevatori di bestiame. Nonostante una legge che vieta il bestiame per il commercio nella riserva, attualmente vi pascolano circa 216.000 esemplari, secondo la divisione animale dello Stato.

Le cause includono un tipo di prove che sta attirando l’attenzione degli esperti di deforestazione e dei veterani del commercio illegale di bestiame in Brasile: alcuni documenti di trasferimento mostrano lo spostamento diretto delle vacche dalle aree protette al macello, con informazioni apparentemente fornite dagli stessi allevatori illegali.

«In vent’anni di lotta contro l’allevamento illegale in Amazzonia, non mi ero mai imbattuto in un permesso di transito con il nome di un’area protetta», ha dichiarato Jair Schmitt, capo della protezione ambientale  Ibama, Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali.

Delle 17 cause legali, tre citano la JBS, insieme agli agricoltori, che avrebbero presumibilmente venduto 227 capi di bestiame allevati a Jaci-Paraná. Le azioni legali chiedono circa 3,4 milioni di dollari per aver «invaso, occupato, sfruttato, causato danni ambientali, impedito la rigenerazione naturale, e/o approfittato economicamente» dei terreni protetti.

La JBS ha rifiutato di rispondere alle domande dell’agenzia di stampa internazionale The Associated Press, affermando di «non essere stata convocata dal tribunale, il che rende ancora impossibile condurre qualsiasi tipo di analisi».

Anche tre piccole imprese di lavorazione della carne sono accusate di aver provocato danni ambientali acquistando bestiame dalla riserva. Frigon, Distriboi e Tangara non hanno risposto alle domande.

L’impresa Frigon ha legami con personalità influenti della politica di Rondônia ed è accusata di aver acquistato il numero più elevato di animali – quasi 1.400 da otto allevamenti illegali. Il procuratore federale chiede 17,2 milioni di dollari alla Frigon e a tali allevatori.

Sia la Frigon che i due stabilimenti della JBS presumibilmente coinvolti hanno esportato carne negli Stati Uniti, oltre che in Cina, il più grande acquirente di carne bovina brasiliana, Hong Kong, Russia, Egitto, Marocco, Spagna, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e altri, secondo i dati di Panjiva, una società che si serve dei registri doganali per tracciare il commercio internazionale.

Le cause legali puntano a prezzare la distruzione della foresta pluviale secolare, un compito difficile dato che è pressoché irriproducibile se non nell’arco di decenni. Un atto del tribunale stima i danni nella riserva a circa 1 miliardo di dollari. Non è chiaro se saranno citati in giudizio per risarcimento anche gli altri centinaia di invasori di Jaci-Paraná.

«Gli invasori e i loro principali partner commerciali, boscaioli e aziende di lavorazione della carne, si appropriano dei guadagni scaricando sulla società i costi dei danni ambientali», sostengono le cause legali.

A dimostrazione della potenziale gravità delle nuove azioni legali, un funzionario del tribunale che cercava di notificare un avviso di sfratto a uno dei contadini clandestini nella riserva ha dichiarato di essere stato minacciato di morte.

La deforestazione è una dei maggiori problemi nella foresta pluviale amazzonica, dalle cui vaste risorse molti cercano di trarre profitto attraverso l’estrazione mineraria, la raccolta del legname, l’agricoltura e altre attività. Oltre a danneggiare una biosfera essenziale, la pressione dello sviluppo minaccia anche un importante deposito di carbonio per un pianeta che si sta riscaldando pericolosamente a causa del cambiamento climatico. Secondo il governo, due terzi della deforestazione amazzonica derivano dalla sua trasformazione in pascolo.

Rondônia, al confine con la Bolivia, è lo Stato dell’Amazzonia brasiliana maggiormente colpito dalla deforestazione.

La creazione della Riserva di Jaci-Paraná e di altre aree di conservazione statali è stata finanziata dalla Banca Mondiale negli anni Novanta come una sorta di espiazione, dice la Banca. Anni prima aveva finanziato la costruzione dell’autostrada BR-364, una strada che portò nella foresta migliaia di coloni provenienti dal sud del Brasile. In cinquant’anni, secondo Mapbiomas, un consorzio brasiliano di organizzazioni no-profit, università e startup tecnologiche, circa il 40% della foresta è scomparso.

Anche altre aree protette sono state invase dai land grabbers, con poche obiezioni da parte delle autorità. Alcune amministrazioni brasiliane ne hanno persino incoraggiato l’invasione. Nel 2010, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva, al suo secondo mandato, ridusse di due terzi la foresta nazionale Bom Futuro, adiacente a Jaci-Paraná. Alla fine gli invasori entrarono in possesso di ciò che doveva essere una foresta protetta.

Nel 2019, l’ultra-conservatore Jair Bolsonaro fu eletto presidente, come anche il suo alleato Marcos Rocha per il governo di Rondônia, attraverso campagne che promettevano di legittimare i proprietari terrieri clandestini. I land grabbers invasero i terreni protetti.

Per le promesse politiche, 778 invasori furono indotti a farsi avanti e registrare le proprietà che stavano occupando e il loro bestiame per ispezioni sanitarie.

«Questo rivela la contraddizione tra gli enti pubblici, con la convalida dell’allevamento illegale di bestiame da parte dell’ente della sanità animale», ha detto Paulo Barreto, ricercatore senior di Imazon, un’organizzazione no profit che monitora il bestiame nella regione. «Rivela anche la fragilità del sistema di controllo della JBS».

Il potenziale guadagno era irresistibile. La privatizzazione di Jaci-Paraná avrebbe significato un’aggiunta di distese di terreni pubblici al mercato immobiliare. I 151.000 ettari (583 metri quadrati) trasformati in pascolo varrebbero circa 453 milioni di dollari, secondo la geografa Amanda Michalski, ricercatrice dell’università federale di Rondônia. E i nuovi proprietari avrebbero ricevuto quel terreno gratuitamente.

Nella sua dichiarazione, la JBS ha rifiutato di pronunciarsi sulle sue attività a Rondônia, ma ha detto che in tutta l’Amazzonia il 94% degli acquisti sono di bestiame legale, citando una revisione contabile pubblicata a ottobre dalla procura federale brasiliana, che esamina le vendite di bestiame per contrastare la deforestazione dovuta al commercio di carne.

Eppure la stessa revisione contabile ha dimostrato che il 12% del bestiame acquistato dalla JBS a Rondônia proveniva da aree deforestate illegalmente.

E quelle revisioni esaminano soltanto gli acquisti diretti. Non monitorano il vasto commercio indiretto del bestiame in Brasile, che consiste nello spostamento delle vacche da un’area illegale a una fattoria legale prima di venderle ai macelli, nascondendo deliberatamente la tracciabilità.

A novembre, un rapporto di Imazon ha definito la JBS la società più propensa ad acquistare bestiame da aree deforestate illegalmente in base a una serie di fattori, tra cui la posizione dei macelli e le loro aree di acquisto.

«Le società devono boicottare le aree di bestiame ad alto rischio di attività illegale e mancata attuazione delle norme», ha affermato Barreto, co-autore dello studio. «Acquistando il bestiame da queste aree, le aziende avallano comportamenti predatori e illegali e rafforzano il potere politico di tali soggetti».

Lo scorso luglio, i giornalisti di The Associated Press hanno visitato Jaci-Paraná e hanno visto sul campo quello che le immagini satellitari avevano rilevato dallo spazio: le uniche aree boschive rimaste si trovavano lungo due fiumi. Con quasi l’80% di aree distrutte, è l’area protetta più devastata dell’Amazzonia brasiliana.

Jaci-Paraná è designata come riserva estrattiva, una forma di tutela che permette alle comunità forestali di vivere secondo le loro abitudini, libere da attività di disboscamento e protette dall’usurpazione di terre e dall’allevamento di bestiame.  

Ma è successo l’opposto. Decine di famiglie che si erano guadagnate da vivere coltivando gli alberi della gomma della riserva e raccogliendo noci del Brasile sono state espulse con la forza.

Lincoln Fernandes de Lima denuncia i conflitti con i land grabbers. Foto: Joao Canizares/Agencia Publica
Lincoln Fernandes de Lima denuncia i conflitti con i land grabbers. Foto: Joao Canizares/Agencia Publica

La famiglia di Lincoln Fernandes de Lima, 45 anni, ha vissuto nella zona per tre generazioni. Lui ha spiegato che i land-grabbers «rimuovono tutto il legno e gli alberi di noci del Brasile». Non solo, «arrivano alla fonte d’acqua, dopo aver già abbattuto gli alberi che la circondano e continuano a tagliare e tagliare», ha affermato in un’intervista a luglio. «Quando i residenti lasciano le loro case per fare qualcosa nella foresta, sparano a pentole e padelle. E tante, tante volte le case vengono abbattute con una motosega».

A settembre, due uomini armati di pistola hanno fatto visita a de Lima, sostenendo che il loro capo avesse acquisito l’area. Gli hanno dato 24 ore per andarsene. Lui l’ha presa come una minaccia di morte e ha esaudito la richiesta: era la terza volta che veniva costretto a lasciare la riserva.

Cinque giorni dopo, al suo vicino, il raccoglitore di gomma Efigenio Mota da Silva, è stata bruciata la casa.

Efigênio Mota da Silva ha dovuto lasciare la sua casa. Foto: Joao Canizares/Agencia Publica
Efigênio Mota da Silva ha dovuto lasciare la sua casa. Foto: Joao Canizares/Agencia Publica

Sono fuggiti nel villaggio di Jaci-Paraná, dove avevano cercato rifugio altre famiglie di raccoglitori di sussistenza espulsi. Il villaggio è stato anche la casa di Rosa Maria Lopes, nata nel 1952 in una piantagione di gomma all’interno della riserva. La sua famiglia visse nella stessa zona per oltre un secolo, ma fu cacciata dagli allevatori di bestiame. Il luogo in cui è cresciuta è ora un pascolo.

«Non è rimasto più nulla lì», disse a The Associated Press sul portico della casa di sua figlia. «Nessuno parla più delle noci del Brasile, degli alberi di olio di copaiba o di gomma. Non si parla di mais, di zucche, o di qualunque cosa venga servita in tavola. Si parla solo di allevamenti, fattorie e pascoli. Mangeremo solo erba?»