Il Cile ha un problema con le violenze della polizia

Il Cile ha un problema con le violenze della polizia

«Sono stata insultata, pedinata, e mi hanno offerto “giri in elicottero” alludendo al modo in cui gettavano in mare i detenuti scomparsi durante la dittatura cilena». Maria Rivera, avvocata e attivista cilena, ha descritto così il clima che si respirava in Cile durante l’ le manifestazioni sociali scoppiate nel 2019 e proseguite anche durante la pandemia di Covid-19. In questo periodo le persecuzioni della polizia ai manifestanti e ad attivisti e Rivera, che si occupa di difendere coloro che subiscono violenze dallo Stato e dalla polizia, era un bersaglio facile. Iniziata il 18 ottobre 2019 come una protesta degli studenti contro l’innalzamento del prezzo dei biglietti della metro, alla manifestazione si unirono milioni di cittadini, e si protestava per la privatizzazione del sistema pensionistico, il miglioramento dell’istruzione pubblica e del sistema sanitario pubblico, nonché per l’accesso ad alloggi dignitosi. A queste richieste il governo rispose con la guerra. . Nel 1980, a 32 anni, venne rapita e portata nelle baracche di Borgoño, uno dei più grandi centri di tortura e detenzione del paese. Ci rimase per tre anni per poi essere esiliata in Argentina. La dittatura di Pinochet per 17 anni anni, dal 1972 fino agli anni inizi degli anni ‘90, grazie allo sterminio dell’opposizione a opera della giunta militare. Rivera poté ritornare in Cile solo 7 anni dopo, nel 1990, quando finì la dittatura. furono le stesse della dittatura: torture fisiche, denudamento forzato, umiliazioni verbali, minacce, stupri. I recenti fatti quotidiani, così come durante la dittatura, erano fatti di pestaggi, persecuzioni, sequestri fatti da poliziotti in abiti civili. Allo stesso modo, era comune «trattenere le persone per ore, senza dare informazioni né agli interessati né alle famiglie, e senza permettere agli avvocati di entrare nelle stazioni di polizia». ) per fermare le manifestazioni del 2019, l’uso improprio della forza è stato sproporzionato, costante e quotidiano. , un’organizzazione no profit che difende legalmente chiunque si rivolga a loro. In genere, si tratta di persone che hanno subito violenza dagli agenti delle forze dell’ordine. Durante l’” Defensa Popular ha difeso molti imputati che hanno subito diversi tipi di violenza e che sono stati imprigionati. Tra questi, Rivera ricorda bene i casi di Mauricio Cheuque e di Claudio Villagra Silva. Forze dell’ordine durante l’Estallido Social in Cile. Foto di Vicente Rodriguez Cheuque è un operaio di 36 anni di origine mapuche che vive a Santiago. Nel 2019, quando le proteste avevano già infiammato la capitale, due auto della polizia lo investirono mentre stava tornando a casa, rompendogli l’anca. Non si è trattato di un incidente, Rivera ha visto la polizia utilizzare lo stesso metodo in durante le proteste. Alla stazione di polizia, Cheuqueè stato molestato sia fisicamente che verbalmente a causa delle sue origini: in Cile il razzismo contro gli indigeni è comune tra gli esponenti di destra e i gendarmi. L’accusa rivolta all’operaio era quella di avere delle bombe molotov nella borsa ma, dopo aver trascorso 13 mesi in carcere, Cheuqueè stato assolto per mancanza di prove. Claudio Villagra Silva, invece, è uomo di 60 anni che ha trascorso 330 giorni in detenzione preventiva. Si era recato alla stazione di polizia insieme alla moglie per organizzare una visita al figlio, arrestato nel bel mezzo dei disordini sociali. A causa della sua malattia, che non gli permette di stare in piedi correttamente, Claudio Villagra Silva ha perso l’equilibrio ed è caduto a terra. Le guardie della stazione di polizia gli sono saltate addosso, lo hanno preso a calci e lo hanno preso in custodia con l’accusa di aver aggredito un e di aver cercato di rubargli un fucile. In carcere i detenuti più giovani lo chiamavano “El tata”, il nonno, e lo aiutavano a muoversi perché era instabile e vertiginoso. Nessuno poteva credere alle accuse che gli venivano mosse, nemmeno il pubblico ministero, che ha deciso di non assolverlo per mancanza di prove. necessariamente la violenza, da sempre» commenta Rivera. Lacrimogeni e acqua non sono utilizzati da parte delle forze dell’ordine per disperdere i manifestanti, ma come vere e proprie armi. Nel 2019, però, la violenza Non appena ci fu la notizia della protesta di massa nelle metropolitane, l’allora presidente Sebastián Piñera lo stato d’emergenza che comportò un coprifuoco all’ingresso dell’esercito nelle strade. Da lì a pochi giorni, gli agenti furono dotati di fucili antisommossa caricati con munizioni a impatto cinetico multiplo. Le pallottole, viene spiegato a pagina 20 del report di Amnesty, sono in lega di gomma e metallo e causano un alto grado di danno perché penetrano nella pelle e si disperdono quando vengono sparati. Non soddisfano gli standard internazionali sull’uso della forza e sono considerati letali. Tali munizioni venivano sparate dagli agenti direttamente sul petto e sui volti dei manifestanti, si legge ancora nel report. Le persone che morirono per l’impatto delle pallottole furono 31, mentre se ne contano 347 che hanno avuto traumi oculari, anche a causa dell’abuso di lacrimogeni. Oltre all’abuso delle armi, secondo il diritto internazionale, le forze dell’ordine hanno abusato sessualmente dei manifestanti. «La violenza sessuale è uno dei metodi di tortura residui dalla dittatura», ha raccontato Maria Riviera, «è uno dei più dannosi, degradanti e terribili che esistano». Per superare questo tipo di trauma, che mira ad annientare completamente ogni possibilità e coscienza di affrontare il potere, ci vogliono anni. Secondo il rapporto di Amnesty International, le vittime di violenza sessuale sono 246. Josué Maureira Ramírez è una di loro. Maureira Ramírez, studente di medicina di 24 anni, è stato fermato dalla polizia in un supermercato di Santiago. Nel veicolo, gli agenti lo hanno molestato verbalmente alludendo al suo orientamento sessuale, poi gli hanno abbassato i pantaloni e hanno fatto commenti sulle dimensioni dei suoi genitali. Josué è stato anche preso a calci in faccia. Questi maltrattamenti sono continuati anche una volta arrivati in commissariato: gli agenti hanno approfittato di un punto cieco in cui le telecamere di sicurezza non potevano catturare le immagini per abusarne sessualmente. In seguito, altri due funzionari, in compagnia dei due agenti che lo avevano trattenuto, lo avrebbero trasferito in una sezione dell’unità di polizia, dove lo hanno costretto a piegarsi mentre lo tenevano per le braccia, gli hanno abbassato i pantaloni e gli hanno infilato un manganello retrattile nell’ano. Mentre avveniva lo stupro, i due agenti che lo avevano aggredito in precedenza hanno imprecato e usato espressioni degradanti come «guarda quel bastardo frocio, ti piace nel buco?». Gli stupri avvenivano all’interno dei commissariati, delle camionette della polizia e, se venisse confermato, all’interno di metro Baquetano, in Santiago, usata come centro di intelligence e tortura. Proteste in Cile durante l’Estallido Social. Foto di Vicente Rodriguez/The Bottom Up L’uso ripetuto e sproporzionato della forza è stato una politica della polizia sostenuta dal governo, non si è trattato di azioni isolate di singoli agenti. Questa politica vedeva il danno all’integrità fisica come un male necessario per ristabilire “l’ordine pubblico”, punire i manifestanti e porre fine alle proteste ad ogni costo. La retorica secondo cui i Carabineros sono in guerra con i sovversivi è una di destra e delle istituzioni di polizia fin dalla dittatura di Pinochet e serve a giustificare la violenza degli agenti. Nel contesto dell’ pubblicamente di «essere in guerra contro il disordine e la distruzione». Stando al rapporto di Amnesty, questa visione , richiamata soprattutto durante il regime del generale Augusto Pinochet. Questa legge viola il principio di legalità e prevede un uso sproporzionato e ingiustificato della giustizia penale per punire comportamenti nel contesto delle proteste. L’istituzione poliziesca e il governo che se ne serviva hanno applicato principi che vengono usati in guerra, ad esempio quello del “danno collaterale”. Le persone morte e quelle che hanno perso la vista, per il governo, sono danni collaterali. Come mostra il rapporto di Amnesty International, le violazioni non solo erano consentite, ma anche avallate dal Direttore generale, Mario Rozas, autorità massima delle forze di polizia. Ciò era evidente, si legge nel rapporto, sia in una registrazione trapelata in cui affermava che nessun funzionario sarebbe stato licenziato, indipendentemente dalla sua condotta, sia nel numero minimo di sanzioni che sono state imposte rispetto al numero di denunce ricevute. Tali sanzioni non figurano nemmeno nei casi in cui il funzionario ha ammesso la propria responsabilità o nei casi di possibile insabbiamento. Il Capo dello Stato e altri funzionari del governo sono accusati di aver violato l’articolo 5 della Legge 20357, che riguarda i crimini contro l’umanità, il genocidio e i crimini di guerra. Tre denunce contro i suddetti sono state presentate e accettate dai tribunali cileni per possibili crimini di diritto penale internazionale.