La risposta alla violenza di genere arriva dalla rete transfemminista

A seguito dell’omicidio di Giulia Cecchettin, 22enne uccisa nella notte tra l’11 e il 12 novembre dall’ex ragazzo Filippo Turetta, e in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne del 25 novembre, le piazze italiane sono state inondate da cortei transfemministi. Tutte le manifestazioni sono state apartitiche, e gli unici simboli riconoscibili sono stati i pañuelo fucsia, di lotta, liberazione e sorellanza di Non Una Di Meno ( Organizzate dalle varie sezioni locali di NUDM, le manifestazioni di Treviso, Torino, Bologna, tra le altre, e i cortei nazionali di Roma e Messina, sono state giornate di lotta e rivendicazione del corpo femminile e della vita delle donne. Solo nella capitale sono confluite più di 500mila persone. oltre 100 femminicidi, reato che non è riconosciuto dal codice penale italiano: l’uccisione di donne da parte degli uomini rientra così nel più generico reato di omicidio. È importante sottolineare che il femminicidio è la manifestazione più estrema della violenza contro le donne, dietro al quale spesso si celano episodi di discriminazione, molestie, abusi sessuali e violenze domestiche. «La rabbia sale contro la violenza che evidentemente non è un fenomeno emergenziale ma strutturale e in continuo aumento», si Contrastare un fenomeno così intrinseco nella società come la violenza di genere richiede sicuramente un cambiamento culturale e istituzionale. Ma la risposta dello Stato italiano non sembra essere sufficiente. Manifestazione organizzata da Non Una Di Meno a Roma, 25 novembre 2023. Foto di Francesca Capoccia/The Bottom Up Una delle tematiche su cui da tempo stanno puntando movimenti e transfemministi e non solo, insieme a studentesse e studenti, è l’introduzione dell’ nelle scuole, materia obbligatoria nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea a eccezione di alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Un’educazione sessuale e all’affettività insegnata sin dalla prima infanzia un’attitudine all’inclusione, al rispetto delle differenze e a contrastare stereotipi di genere precostruiti. Attualmente il parlamento italiano sta lavorando a una legge che introduca l’educazione sessuale nelle scuole, ma il percorso verso l’introduzione della materia dallo scorso ottobre a causa delle divisioni tra i partiti. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha invece proposto il programma “Educare alle relazioni”, che prevede 30 ore complessive di gruppi di discussione mediati da un docente referente o da un professionista sui temi del rispetto di genere. Ma la , si tratta di attività pensate per la scuola secondaria, sottoposte al controllo delle associazioni dei genitori e lasciate nelle mani dei singoli insegnanti. Il coordinatore dei lavori è Alessandro Amadori, che oltre a non avere competenze sull’educazione, ha pubblicato teorie sulla guerra tra i sessi. La direttiva non sembra quindi distaccarsi da quella che è la situazione attuale. Nei vari istituti scolastici italiani esistono infatti programmi di educazione alla sessualità e all’affettività, ma sono a discrezione delle singole regioni, che li finanziano. Se l’Italia non lavora a favore della prevenzione della violenza, lo stesso vale per le azioni a tutela delle vittime. recante disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, che prevede tempi più celeri per l’applicazione delle misure cautelari e preventive, incluso il braccialetto elettronico. Allo stesso tempo, il governo guidato da Giorgia Meloni ha il 70 per cento dei fondi per la prevenzione della violenza rispetto al 2022. Dai 17 milioni stanziati dal governo Draghi, si è passati ora a 5 milioni. Il taglio è stato messo in luce dal La miopia della politica italiana nella lotta alla violenza maschile contro le donne di ActionAid, che ha sottolineato come il governo tralasci anche gli obiettivi di educazione, concentrandosi principalmente sulle misure punitive. A causa della stessa politica, la casa delle donne Lucha y Siesta a Roma rischia di essere chiusa. Il 17 ottobre è stata infatti approvata la delibera regionale che la ristrutturazione e l’assegnazione dell’immobile di proprietà della regione Lazio, ma in concessione di comodato d’uso gratuito dal 2021 a Lucha y Siesta per tutelare le attività contro la violenza di genere svolte dal 2008. L’attuale giunta regionale guidata da Francesco Rocca vuole sgomberare l’edificio occupato, ora sede, come si legge sul di Lucha, di «uno spazio di relazione femminista e transfemminista in cui si elaborano, sperimentano e praticano politiche di genere e di commoning intersezionali». Mara Bevilacqua, attivista di Lucha, ha o che il problema è che la casa per le donne lavora politicamente, cercando di costruire una città femminista, che si opponga alla realtà attuale, quella «di città costruite per gli uomini». A colmare le lacune culturali e istituzionali ci pensano movimenti, organizzazioni, associazioni, rete e progetti volti a tutelare i diritti e l’incolumità delle donne. «Insieme siamo più forti e solo unitə possiamo organizzarci e immaginare insieme come distruggere la violenza patriarcale», recita il manifesto di NUDM, che negli ultimi 8 anni ha lavorato per creare una coscienza collettiva in tema di uguaglianza di genere. “Non mi protegge la polizia. Mi proteggono le mie sorelle”. Manifestazione organizzata da Non Una Di Meno a Roma, 25 novembre 2023. Foto di Francesca Capoccia/The Bottom Up Puntando sul mutuo aiuto, e sfruttando la tecnologia, il progetto “ ” dell’associazione Donne x strada, offre un servizio di sicurezza alle persone. Chi è a piedi e ha paura di tornare a casa da sola può prenotare una videochiamata di accompagnamento, e una persona volontaria dell’associazione avvierà la videochiamata al momento richiesto e accompagnerà la persone per tutto il tragitto, finché non arriverà al sicuro alla meta. Strade e luoghi pubblici non sono luoghi sicuri per le donne, come dimostrano Istat sulle dinamiche della violenza di genere. In questi luoghi avvengono la maggior parte delle molestie perpetrate da uomini “non partner”, e nella metà di questi casi era presente qualcun altro, che però spesso o non se ne è accorto o non è intervenuto. Secondo i dati raccolti da Save The Children il 70% delle adolescenti, tra i 14 e i 18 anni, intervistate ” dell’associazione Road to 50% si inserisce proprio in questo contesto: contrastare le molestie e le aggressioni sessuali sui trasporti pubblici. «Non è possibile che si debba avere paura di prendere un autobus o un treno per muoversi. Dovremmo essere libere e sicure», ha spiegato in un’intervista a la presidente dell’associazione Arianna Vignetti. Un aspetto fondamentale della campagna è il lavoro di sensibilizzazione sui tipi di molestia che possono capitare sui mezzi pubblici, come riconoscerle quando le si stanno subendo e anche come intervenire in maniera sicura se si sta assistendo a un episodio simile. «Ci siamo rese conto che spesso, quando facciamo gli eventi, le persone acquisiscono consapevolezza di aver subito una molestia e una violenza». Questo succede perché spesso, ha spiegato la presidente, «queste forme di violenze sono considerate inferiori e meno importanti rispetto ad altre tipologie», come stupri o violenze domestiche. La campagna di Mezzipertuttə consiste anche in un sondaggio che ha una doppia finalità. Da una parte serve a mappare il fenomeno delle violenze sui mezzi pubblici per presentare i dati raccolti che spiegano le dimensioni del fenomeno alle amministrazioni locali, così che possano prenderne coscienza e agire per contrastarlo. Durante le tavole rotonde istituzionali l’associazione presenta anche una serie di proposte volte a rendere più sicuri i mezzi e gli spazi pubblici. Tutte proposte che in un primo momento le istituzioni sembrano propense ad accogliere, anche se fino ad oggi non si sono viste azioni concrete in tal senso in nessuna delle amministrazioni coinvolte nel progetto. Dall’altro lato, invece, il sondaggio è uno strumento diretto per fornire aiuto a chi ha subito o ha assistito a una qualsiasi forma di violenza sui mezzi pubblici. Una volta compilate le domande, infatti, ogni persona viene indirizzata al centro anti violenza più vicino a cui rivolgersi. «È un modo per comunicare che non sottovalutiamo le molestie subite e che si può ricevere supporto da un centro anti violenza», ha concluso Vignetti.