Lingua e seconde generazioni: difficoltà, empatia e identità multiculturale

Conoscere più di una lingua e far parte di due o più culture accresce la capacità di vedere le cose da una diversa prospettiva, dona una maggiore empatia e una migliore comprensione di ciò che l’altro intenda dire.

La lingua è molto più di un semplice mezzo di comunicazione.

Il crescente multiculturalismo in Italia ha prodotto una sempre maggiore presenza di ragazze e ragazzi di seconda generazione. Per questi ragazzi è fondamentale il rapporto con la lingua del loro Paese d’origine, così come con quella del Paese in cui sono cresciuti e in cui vivono. Quando emigrano, una volta arrivati in Italia devono affrontare una transizione, per cui la lingua madre non può più ricoprire il ruolo che aveva nel Paese d’origine e si trovano invece a dover imparare una lingua nuova. E anche per chi nasce e cresce nel nostro Paese il legame con la lingua dei genitori rimane altrettanto importante, influenzando le dinamiche familiari o il proprio rapporto col mondo.

Questo articolo tratterà il tema delle seconde generazioni e del loro rapporto con la lingua italiana, in particolar modo nelle scuole, raccontando la testimonianza di Navdeep e Kristel.

Il rapporto con le lingue dei giovani di seconda generazione

I giovani stranieri che vanno a scuola nel nostro Paese hanno storie diverse per quanto riguarda le loro origini. C’è chi ha vissuto in prima persona la migrazione dal Paese d’origine e c’è chi invece è nato in Italia, mentre sono stati i loro familiari ad aver vissuto l’esperienza della migrazione. Molto spesso questi ragazzi parlano bene entrambe le lingue, a volte anche più di due, a seconda del Paese d’origine. I ragazzi nati e cresciuti in Italia oppure arrivati in tenera età, in genere, non hanno problemi con l’italiano poiché iniziano a parlarlo fin da subito; invece, a fare più fatica sono i ragazzi e le ragazze che arrivano più tardi, soprattutto in età preadolescenziale e adolescenziale.

Secondo un’indagine Istat parlare più lingue rappresenta una caratteristica tipica dei ragazzi delle seconde generazioni e, in un contesto di multilinguismo come il nostro, la lingua utilizzata maggiormente per pensare e parlare dalle seconde generazioni è l’italiano; un dato che peraltro sale sia per i nati in Italia sia per chi è arrivato in età prescolare. Tuttavia, se si presta maggiore attenzione all’integrazione scolastica dei bambini e ragazzi immigrati, emergono alcuni ostacoli. Innanzitutto, il loro percorso scolastico tende a registrare ritardi, generalmente di qualche anno rispetto ai loro coetanei italiani. Questo ritardo interessa in larga misura i giovani nati all’estero e che hanno iniziato la loro carriera scolastica successivamente al loro arrivo in Italia.

Nelle scuole italiane, per dare una risposta efficace ai bisogni linguistici dei ragazzi che faticano con la lingua italiana, si affiancano a loro insegnanti di sostegno, i quali, generalmente, li aiutano durante le lezioni a svolgere i vari lavori scolastici. Inoltre, vengono messi a disposizione dei corsi intensivi pomeridiani di italiano in orario extrascolastico, tenuti da insegnati specializzati, rivolti soprattutto ai ragazzi in età preadolescenziale e adolescenziale arrivati da poco nel nostro Paese, con l’obiettivo di far loro apprendere la lingua per la comunicazione di base e il lessico in ambito scolastico e per favorire il pieno inserimento nel contesto sociale italiano.

Navdeep Kaur, studentessa al terzo anno delle superiori all’Istituto Tecnico-industriale racconta di sé a The Bottom Up: “Sono nata e cresciuta in India, ma mi sono trasferita in Italia nel 2018 all’età di 15 anni con mia mamma per raggiungere mio papà. Il problema più grande è stato, ed è in parte ancora, la lingua. I miei parenti che vivono qua e appena arrivata in Italia mi hanno consigliato di fare un corso di lingua per apprendere al meglio l’italiano. Dopo alcuni mesi ho trovato una scuola per stranieri. Il corso durava due mesi, ma invece di farne solo uno ne ho fatti due, per circa quattro mesi. Grazie al corso sono migliorata molto rispetto a prima, ma non ai livelli che speravo: riesco a scrivere abbastanza bene in italiano; invece, a parlarlo ho ancora qualche difficoltà”.

Per quanto riguarda la scuola, Navdeep racconta: “Con l’aiuto della maestra che mi ha insegnato italiano, ho trovato la scuola superiore da frequentare più adatta per me. Al momento sto frequentando il terzo anno delle superiori all’Istituto Tecnico-industriale e come indirizzo ho scelto tessile-moda. Sto andando bene nelle materie tecniche e in quelle d’indirizzo, ma il problema è l’italiano. Non sapendo tanto bene la lingua, durante lo studio devo fare il doppio del lavoro perché ci sono tante parole e verbi che non conosco e molto spesso devo tradurli per capire il loro significato. La paura di sbagliare davanti alle altre persone resta sempre nella mia mente e a causa di questo sono diventata molto timida e introversa, mentre prima non lo ero, e non riesco a parlare con persone nuove neanche a scuola per paura di essere criticata. L’arrivo della pandemia ha peggiorato le cose: rimanere chiusi in casa per alcuni mesi a causa del Covid-19 non ha certo aiutato, ma sono convinta che col passare del tempo migliorerò ancora facendo più pratica possibile”.

Kristel

Kristel ai tempi delle scuole elementari

Kristel Toci, studentessa di statistica presso l’Università di Padova, racconta: ” Sono nata nel 1997 in Italia. Mia madre e mio padre sono albanesi, ma non sono diventata subito bilingue perché i miei genitori, inizialmente, mi parlavano in albanese.” Il motivo che ha spinto i suoi genitori ad agire in questo modo secondo Kristel è che “Imparare (in questo caso) l’albanese quando fossi già cresciuta sarebbe stato molto più difficile che assorbirlo da piccola. È stato solo quando mi mandarono all’asilo, all’età di tre anni, che imparai l’italiano. Essendo all’epoca molto piccola, non la ricordo come un’esperienza difficoltosa, ma da un punto di vista culturale si trattò di un cambiamento molto difficile e non riuscii mai davvero a diventare totalmente monoculturale così come gli altri volevano che diventassi.”

Prosegue raccontando: “Molte persone attorno a me mi ripetono costantemente quanto fortunata io sia a poter parlare due lingue fluentemente. Mi sento davvero grata di aver avuto questa opportunità che sinceramente considero un privilegio. Allo stesso tempo però mi ricordo di quanto non sia stato affatto facile. Mi ricordo della fatica che facevo alle elementari studiando la grammatica e a casa nessuno ovviamente poteva aiutarmi, quindi dovevo sempre arrangiarmi al contrario dei miei compagni. Per non parlare della facilità con cui finisco per mischiare le due lingue: molto spesso inizio una frase in italiano per poi finirla in albanese o viceversa, quando sono a casa. Sento come lingua dominante l’italiano e come secondaria l’albanese: questo è naturale, dato che essendo nata e cresciuta in Italia sono esposta maggiormente all’italiano e in casa preferisco parlare quest’ultima.” Riguardo alla difficoltà, aggiunge: ” Non so scrivere in albanese, soltanto parlare e leggere anche se non perfettamente.”

Kristel conclude dicendo: ”Secondo me conoscere più di una lingua e far parte di due o più culture accresce la capacità di vedere le cose da una diversa prospettiva, dona una maggiore empatia e una migliore comprensione di ciò che l’altro intenda dire. Le lingue ci aiutano in qualche modo a dare un senso al mondo e possono anche influenzare il modo in cui lo vediamo e lo descriviamo. Il bilinguismo rende le persone bi-culturali, un vantaggio significativo in un mondo senza barriere come quello di oggi: possedere più di una lingua permette di conoscere meglio più di una cultura, e abitua anche a considerare qualsiasi problema da diversi punti di vista.” Continua Kristel: “Ho notato che crescere conoscendo più di una lingua fornisce una maggiore abilità di distinguere tra forma e significato delle parole, un più veloce sviluppo delle capacità di lettura e scrittura, un più facile apprendimento di una terza o di una quarta lingua.”

Aditideep Prakash

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