Nella prima parte di questo progetto sull’acqua in Tanzania è emerso che a una buona fetta della popolazione manca l’acqua pulita. Le cause: cambiamento climatico che porta la siccità, combinati con una pessima gestione delle risorse idriche. In questa seconda parte abbiamo investigato come la mancanza di acqua influisca sulla la vita delle persone. Articolo in collaborazione con Africa Rivista.
DAR ES SALAAM – La salute e l’ambiente sono strettamente collegati, “è inevitabile, l’ambiente ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno, dall’acqua al cibo. Dipendiamo dalle piante e dalla natura, perciò è imperativo comprendere quanto l’impatto che i cambiamenti subiti dall’ambiente influenzino la nostra salute e il nostro benessere”. A dirlo è Aloyce Urassa, medico e promotore di diverse iniziative per il clima e la salute globale attraverso le cariche che ricopre[1].
L’acqua è vita. Ma quest’acqua nuoce.
Nonostante la sua multidimensionalità, il problema della mancanza di acqua in Tanzania è ciclico e semplice da comprendere: l’innalzamento delle temperature sta mettendo a repentaglio le già precarie forniture d’acqua del paese sia nelle maggiori città che nelle comunità rurali. L’acqua manca, e dove non manca è di qualità pessima. Aloyce spiega che l’aumento delle temperature influisce sulla velocità di proliferazione dei batteri e sullo sviluppo dei patogeni, causando malattie legate all’insicurezza dell’acqua, tra cui colera, tifo, dissenteria ed epatite. Ciò avviene perché la siccità rende disponibile una quantità d’acqua minore ma con più elevata concentrazione batterica. Parallelamente, la portata sempre minore dei corsi d’acqua porta al ristagno, condizione favorevole alla proliferazione di zanzare e alla propagazione di malattie trasmissibili per vettore, come la malaria, di cui in Tanzania “almeno il 90% dei casi è legato alle problematiche ambientali.” Il 4,1% di tutti i decessi globali per malaria avvengono in Tanzania, dove il 93% della popolazione vive in area ad alto rischio di trasmissione. Alla mancanza di acqua si aggiunge il rischio di sviluppare infezioni: secondo dati WHO, solo il 24% della popolazione ha accesso a adeguati servizi igienico-sanitari.

“Qui la gente è costretta a bere acqua con cui non sarebbe opportuno neppure lavarsi le gambe. Le persone non sono a conoscenza di come si sviluppano le malattie, e quando appaiono i sintomi la maggior parte della gente non può permettersi le cure.” Lo Stato offre un’assicurazione sanitaria (NHIF) a un costo relativamente accessibile, che aumenta con l’anzianità: l’assicurazione base per i ragazzi tra i 18 e i 35 anni costa 192.000 TZS per anno[2], equivalente a uno o due stipendi mensili, ma non copre tutto e non tutti se la possono permettere. La copertura più comprensiva è comunque soggetta a limitazioni, tra cui un limite massimo di 60 giorni al ricovero ospedaliero, e costa più del doppio della prima, raddoppiando ulteriormente per gli adulti sopra i 60 anni. Voci raccolte dai cittadini concordano: “è per i ricchi!”

Alla luce di questo, è meglio prevenire che curare. Come? Educando. Aloyce sostiene che le persone sono ben disposte a imparare: “noi, personale sanitario, ci siamo resi conto di una cosa. All’inizio della pandemia, quando il governo imitava il resto del mondo ed era attivo nel promuovere le pratiche igieniche, il numero di ospedalizzazioni legato alla scarsa igiene è diminuito di molto. I cittadini hanno recepito il messaggio in fretta, imparando e implementando le norme igieniche volte a ridurre la diffusione del virus! In questo senso, questa esperienza ci ha mostrato che basterebbe poco a far avere alle persone uno stile di vita più sano”. La chiave sta nell’educazione, che deve essere inclusiva: “Non possiamo educare le persone con le brochure, molte persone non sanno leggere” e anche se l’alfabetizzazione è migliorata molto nell’ultimo decennio, raggiungendo quasi l’80% della popolazione “siamo un paese di giovani e giovanissimi; perciò, bisogna essere creativi nel comunicare questi concetti affinché arrivino”, aggiunge Aloyce.
“Maisha na maji salama”: gli sforzi bottom-up danno speranza per “vita e acqua sicura”
Le persone sono effettivamente desiderose di imparare, lo si vede dal luccichio negli occhi dei bambini e dei ragazzi nelle scuole, quando Anicet insegna loro le pratiche igieniche. Anicet Theobald è un giovane tanzaniano che nel 2018 è entrato in contatto con un’associazione di volontariato europea con cui si è formato sulle pratiche igieniche. Quando l’associazione ha fermato le sue attività perché a causa della pandemia i volontari non hanno più potuto raggiungere la Tanzania dall’Europa, Anicet ha fondato la sua di associazione, la Youth&WASH (Water And Santitation Hygene), per sostenere l’implementazione del 6º Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (Sustainable Development Goal – SDG).

L’Agenda 2030 ambisce a raggiungere tutti e 17 gli SDGs, tra cui il numero 6: ‘fornire accesso all’acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari a tutti’. Per dare più visibilità e accelerare le iniziative verso la realizzazione di questo obiettivo – che altrimenti sarebbe irrealizzabile, data la prevista diminuzione del 40% di acqua pulita nei prossimi 10 anni – nel 2018 le Nazioni Unite hanno avviato la Water Action Decade (2018-2028). Infatti, l’impatto delle previsioni sarebbe devastante se consideriamo anche l’aumento costante della popolazione mondiale.
In Africa, gli sforzi individuali e ‘Bottom-up’ hanno un valore esponenziale, soprattutto quando coinvolgono i giovani, che rappresentano la maggior parte della popolazione del continente: circa il 60% degli Africani ha un’età compresa tra 0 e 25 anni. Per questo Anicet insegna nelle scuole, per rendere le pratiche igieniche trasmissibili e sostenibili “i bambini tornano a casa e insegnano alle loro mamme cosa hanno imparato.” Anicet mostra ai bambini delle elementari come si trasmettono i germi sporcando loro le mani con la farina e dando via ai giochi per dimostrare che anche il bambino seduto al banco più lontano da quello inizialmente ‘contagiato’ da Anicet avrà della farina sulle proprie mani alla fine dei giochi in gruppo.

“Quando l’acqua manca ed è sporca è importante saperla gestire al meglio così che non si debba dover scegliere tra il bere e lo svolgere pratiche igieniche. I bambini imparano a non sprecarla, a bollirla prima di berla, a filtrarla con i tessuti. Sono azioni quotidiane che salvano la vita”.
Anicet e i suoi compagni hanno capito che ci sono villaggi, come Msanga, in cui l’acqua è insufficiente anche se gestita al meglio. Per questo la Youth&WASH nel 2022 lancerà una nuova campagna “Maisha na Maji Salama”, che significa “vita e acqua sicura”. Il progetto ambisce a fornire ai villaggi serbatoi d’acqua pulita, installare condutture e macchine di filtrazione e far giungere le ‘cliniche mobili’ nei villaggi affinché dei medici specializzati visitino gli abitanti. È un progetto ambizioso, per il quale servono fondi che non sono facili da reperire, come afferma Anicet: “al massimo della nostra capacità possiamo riuscire a realizzare il progetto in quattro villaggi nel corso del prossimo anno”.
Per quanto le azioni di associazioni come la Youth&WASH siano di rilievo, i limiti di un approccio basato sugli sforzi della società civile emergono chiaramente: su un problema di così larga scala le soluzioni devono essere strutturali, altrimenti troppa gente viene lasciata indietro. Tuttavia, fa notare Careen Joel Mwakitalu, Rappresentante della Tanzania allo Youth4Climate pre-COP26 e responsabile comunicazione UNOPS, il governo indirizza i fondi e concentra le energie nei punti nevralgici del turismo e degli investimenti esteri. Di conseguenza, le zone costiere, già avvantaggiate dalla conformazione del territorio, dalla fertilità del terreno e dalla pescosità del mare, sono fortemente più sviluppate delle regioni dell’entroterra. La corruzione, inoltre, è forte, radicata, e taglia le gambe a tutti quei giovani tanzaniani con pochi mezzi e tante idee pronti a urlare a gran voce per gli strumenti di cui hanno bisogno per non rinunciare alle proprie ambizioni.
Lucrezia Ducci
Tutte le fotografie © Lucrezia Ducci
[1] Presidente del Consiglio consultivo dei giovani dell’African Leaders Malaria Alliance (ALMA), membro del Consiglio di amministrazione di Rotarians Against Malaria Global, coordinatore nazionale di NextGeneration Global Health Security e World Youth Summit, e co-presidente del SADC Youth Forum nel comitato per l’ambiente e il cambiamento climatico.
[2] Fonte: depliant cartaceo dell’assicurazione.
3 pensieri su “La Tanzania ha sete: ambiente e salute, due facce della stessa medaglia”