Gli Stati Uniti stanno andando a fuoco: le proteste spiegate in breve

Negli ultimi giorni, tutti i canali di informazione e i social media sono stati invasi dalle immagini terribili provenienti dalle più importanti città americane, dove si sono verificate scene da guerriglia urbana: scontri tra manifestanti e polizia, giornalisti arrestati, negozi e centri commerciali saccheggiati, commissariati in fiamme, elicotteri militari per le strade della capitale. Le proteste per la morte di George Floyd, il quarantaseienne afroamericano ucciso lo scorso 25 maggio per mano dell’ex agente Dereck Chauvin, hanno messo sottosopra l’America e sembrano non volersi ancora placare. Nonostante la notizia dei capi d’accusa contro l’ex poliziotto — omicidio di terzo grado e omicidio colposo —  l’arresto dei suoi colleghi e l’apertura di un’indagine portata avanti dall’FBI, la storia di Floyd continua a gridare giustizia, e si aggiunge a quella di moltissimi altri afroamericani uccisi per mano delle forze dell’ordine negli ultimi anni. Accanto alle proteste pacifiche di migliaia di persone, al grido di #BlackLivesMatter e #Icantbreathe, si è scatenata anche la violenza, che va avanti ormai da nove giorni.  Lo scorso weekend i manifestanti hanno cinto d’assedio la Casa Bianca, costringendo le forze dell’ordine a mettere in lockdown l’edificio e a difenderlo con l’utilizzo di fumogeni e granate stordenti per allontanare i rivoltosi. Le violenze sono proseguite tutta la notte, con la devastazione di attività commerciali e auto parcheggiate, a poche centinaia di metri dalla residenza di Donald Trump, che aveva definito i manifestanti “teppisti” in un tweet di alcuni giorni fa. 

Il giorno seguente alla morte di Floyd, l’indignazione si è trasformata in rabbia incontrollabile dopo la diffusione di un video, girato da un passante, che raccontava una storia ben diversa da quella presente nel verbale dell’arresto, dove non c’era traccia della violenza perpetrata contro Floyd, ma solo un riassunto sommario delle vicende, e dove la sua morte veniva giustificata dalle precarie condizioni di salute dell’uomo. In realtà, dei quattro agenti sul posto nessuno si è posto il problema che Floyd potesse morire, né ha tentato di fermare Chauvin mentre gli premeva il ginocchio sul collo per quasi nove minuti, incurante delle implorazioni dell’uomo, che diceva di non riuscire a respirare. Un arresto banale, per l’utilizzo di una banconota da 20$ falsa in un negozio, è finito in tragedia e ha scatenato una serie di eventi difficili da controllare.

Il giorno dopo la morte di Floyd, centinaia di persone si sono scontrate con la polizia, che ha sparato proiettili di gomma contro la folla. I manifestanti hanno dato fuoco ad un commissariato di polizia e hanno tentato di fare la stessa cosa pochi giorni dopo in un altro distretto, prima di essere dispersi dalla polizia. Nel corso della settimana le manifestazioni si sono moltiplicate in tutto il paese: da Atlanta a San Francisco, da New York a Los Angeles, dove è stato bloccato un tratto dell’autostrada 101 e sono stati presi d’assalto alcuni centri commerciali. Nella Grande Mela le proteste si sono concentrate a Brooklyn e nella parte sud di Manhattan: alcune auto della polizia sono state distrutte e diversi agenti sono rimasti feriti. Ad Atlanta, la folla ha vandalizzato la sede della CNN e la zona del Centennial Olympic Park. A Detroit, un ragazzo di diciannove anni è morto dopo che qualcuno aveva aperto il fuoco sulla folla, mentre a Jacksonville un poliziotto è stato pugnalato ed è finito all’ospedale

Un’auto della polizia in fiamme a Brooklyn, New York. Fonte: Chang W. Lee/The New York Times

Davanti alle tensioni crescenti, il presidente Trump ha risposto con durezza, annunciando di essere pronto ad inviare l’esercito per le strade del paese per ristabilire l’ordine. Cosa che è successa veramente a Washington, dove un elicottero militare è stato ripreso mentre volava basso sulle strade della città nel tentativo di spaventare e disperdere i manifestanti. Il presidente ha inoltre disposto il trasferimento di 1600 soldati dalla base di Fort Bragg, in North Carolina, verso la capitale. Il tutto dopo aver fatto sgomberare dalla polizia centinaia di manifestanti pacifici, con l’uso di lacrimogeni e granate stordenti, per fare visita alla St.John’s Episcopal Church di Washington, che era stata oggetto di vandalismo. All’appuntamento con i giornalisti, il POTUS si è presentato brandendo una Bibbia, e ha scatenato l’indignazione dei cattolici.

Al grido di dolore della popolazione afroamericana, l’amministrazione sta rispondendo con la violenza. Il presidente non ha mai riconosciuto il diritto legittimo della popolazione a protestare, non ha mostrato empatia, ma si è concentrato sulla percentuale – comunque bassa – di persone che hanno approfittato della situazione per compiere atti vandalici di ogni tipo, scatenando le forze dell’ordine anche contro chi manifestava pacificamente. La violenza delle proteste degli ultimi giorni non può, né deve essere giustificata ma, come ha scritto Kareem Abdul-Jabbar  in questo editoriale per il quotidiano LA Times : “[…] Quello che vedi, quando guardi degli afroamericani che protestano, dipende dal fatto se tu vivi immerso in quel problema – un edificio in fiamme –  o se lo guardi in tv con una ciotola di patatine in grembo mentre stai aspettando che cominci NCIS. Quello che voglio vedere io non è una corsa a puntare il dito per giudicare, bensì una corsa verso la giustizia“. 

L’invito è a non giudicare gli atti di una fascia di popolazione ormai stanca della discriminazione sistemica presente nella società americana. Stanca di subire vessazioni, stanca portare il peso di uno svantaggio economico reale sin dalla nascita, solo per il colore della sua pelle. Anche stanca di protestare, considerando che questo genere di avvenimenti è ciclico, e non è mai stato seguito da un vero cambiamento, da atti che potessero cambiare la situazione nel concreto. Nemmeno durante l’amministrazione Obama, che nei giorni scorsi ha scritto in un articolo su Medium  sostenendo che i cambiamenti si ottengono dal lato politico oltre che da quello dell’attivismo, e invitando la comunità nera a  partire dalle elezioni degli enti locali per attuare il cambiamento. Ma se non è bastata l’elezione del primo Presidente afroamericano della storia a cambiare le cose, come si fa a chiedere ad una minoranza che ha perso quasi completamente la fiducia nelle istituzioni, di partire proprio da lì? È triste vedere come, in un paese fondato su ideali di uguaglianza e libertà, la cui Costituzione ha fatto da esempio per le istituzioni democratiche di tutto il mondo, ancora si debba scendere in piazza per chiedere pari diritti, per indignarsi per la morte di un innocente ucciso solo per il colore della sua pelle. Il razzismo presente ancora oggi nella società americana impedisce alla più grande minoranza del paese di mettersi al passo con la maggioranza bianca. Il patrimonio netto di una famiglia bianca è in media di 171,000 dollari, quello di una famiglia nera di 17,600. In media, un afroamericano adulto ha 5 volte maggiori probabilità di un bianco di essere arrestato e finire in prigione. Il 41% delle famiglie afroamericane possiede la casa in cui vive, contro il 72% delle famiglie bianche. Nel 2019, la polizia in america ha ucciso 1099 persone: il 24% di esse erano di colore. Un cittadino afroamericano rischia tre volte in più di un bianco di essere ucciso durante l’arresto. 

Cattura
Fonte: New York Times

La disuguaglianza di oggi è il frutto delle politiche sbagliate di ieri: della segregazione razziale, del redlining, della scarsa rappresentanza ai vertici delle istituzioni, del razzismo, dell’insensibilità del popolo americano e della sua classe politica verso  una fascia di popolazione che ha il diritto di essere ascoltata e di avere pari possibilità.  Le proteste di questi giorni non devono essere viste come la semplice reazione ad un singolo episodio di abuso di potere, ma come un grido di disperazione davanti a decenni di soprusi, da parte di una comunità che è stanca di piangere i propri fratelli, figli, mariti e di non trovare giustizia. 

Ilaria Palmas

Immagine di copertina: Associated Press

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