Lavoratori campi caporalato

Agricoltura: regolarizzare, mandare chi ha il reddito di cittadinanza. L’analisi economica di tutte le proposte

(EDIT 14 maggio: nella giornata del 13 maggio è stato approvato dal consiglio dei ministri il cosiddetto DL Rilancio (potete trovare qui la bozza definitiva, in attesa della pubblicazione ufficiale). Gli articoli più strettamente collegati al presente articolo sono il 101 (Promozione del Lavoro Agricolo) e il 101.bis (Emersione dei Rapporti di Lavoro). 

La scarsità di manodopera rischia di mandare all’aria un’intera stagione di raccolta.
Mancano all’appello circa 300 mila lavoratori, in particolare provenienti dall’Europa dell’Est (Romania in primis). Questi lavoratori rappresentano un input produttivo strategico per il nostro settore primario, ma oggi non sembrano intenzionati a tornare. L’epidemia ha spopolato le nostre campagne e altri Stati, meno colpiti del nostro, hanno aperto le frontiere per gli stagionali est-europei (Germania e Regno Unito, tra gli altri).

Da settimane, esponenti di quasi tutti i partiti esprimono idee per risolvere la situazione. La maggior parte di queste proposte ha come minimo comun denominatore una qualche forma di coercizione verso alcune categorie di soggetti. Visto che non fanno niente e prendono soldi dallo Stato, allora mandiamoli a lavorare nei campi. Chi? I precettori del Reddito di Cittadinanza e gli studenti, i disoccupati e i pensionati.
Soltanto recentemente e su forti pressioni della società civile, la ministra Bellanova ha proposto una regolarizzazione dei lavoratori agricoli migranti, lavoratori che sono fermi proprio per la loro condizione di irregolarità (si parla di una platea potenziale di 600 mila persone che include anche circa 100.000 colf e badanti). In una recente bozza del decreto, è stato anche inserito un incentivo per i precettori di RdC, ai quali viene concessa la possibilità (non l’obbligo) di lavorare 30 giorni nel settore agricolo senza che ciò diventi incompatibile con il RdC.

In questo articolo affronteremo le varie proposte, spiegandone il contenuto dal punto di vista economico.

Il problema non è solamente nella “raccolta” di cibo, ma in tutte le fasi del processo, inclusa la distribuzione: non andremo a fare distinzioni di questo tipo, per semplicità, ma è un passaggio da tenere in considerazione quando si valutano dichiarazioni che spesso dimenticano le catene del valore, nazionali e globali.


Graficamente

I numeri nel grafico sono solo ad esempio, il salario medio per le mansioni di raccolta è di 7-9 €/ora lordi.

Nota tecnica: il modello è stilizzato e di equilibrio parziale. Ragionamenti di search e di bargain vengono affrontati nel testo. Effetti di equilibrio generale non sono considerati e.g. la traduzione dell’aumento dei salari in inflazione, e potenziali effetti distribuzionali di breve e lungo. Quando viene detto “infinito”, ci si riferisce domanda CES. Errata: al minuto 6.20 la differenza è di 20k, 10+10k.

Quindi ad uno shock di offerta, in assenza di frizioni (= fattori che impediscono agli stipendi di cambiare nel breve periodo), dovrebbe fare seguito un incremento dei salari, per attirare nuova forza lavoro nel settore e “soddisfare” la domanda di lavoro da parte delle imprese (equilibrio 2). In altre parole, questo è il momento in cui i lavoratori rimasti nel settore dovrebbero veder riconosciute alcune delle proprie istanze, in particolare legate alle condizioni salariali (pessime) e contrattuali (peggio).

Tenendo a riferimento il grafico, andiamo ad analizzare le quattro proposte principali.


I voucher agricoli

(Edit: non inserita nel DL Rilancio)

Proposta avanzata già nella prima metà di aprile dalle organizzazioni Agricole, tra cui Filiera Italia e Confagricoltura : introdurre i voucher.

Il voucher permette all’impresa di assumere e licenziare molto rapidamente i propri lavoratori rendendo il mercato del lavoro più “reattivo” o flessibile, trattandosi di una forma contrattuale iper-flessibile di lavoro subordinato. Quindi di per sé non si pone come un possibile freno a questo processo di auto-regolamentazione del mercato, anzi. Se fosse solo una questione contrattuale, lo potrebbe pure accelerare, portando dall’attuale situazione (punto A) al nuovo equilibrio (2). Tuttavia, il voucher non ha solamente una dimensione contrattuale (che è comunque importante), ne ha anche una salariale. Nello specifico, il tetto all’utilizzo rischia anche di porre dei limiti alla fluttuazione libera del salario. Togliere il tetto, al contrario, disincentiva forme contrattuali più stabili. In sostanza, si tratta di uno strumento utilizzato per contenere i costi, per limitare al minimo il tempo di lavoro remunerato e azzerare i costi di licenziamento, scaricando sui lavoratori il rischio di impresa (se le cose vanno male, le aziende si liberano dei lavoratori “assunti” con voucher, cosicché siano questi ultimi a pagare la crisi)

In agricoltura esiste già una forma di voucher che regola il lavoro occasionale e saltuario. Ha molti vincoli e, per esempio, non si applica a imprese che abbiano più di cinque dipendenti o a lavoratori che siano già stati assunti con altre forme contrattuali dalla stessa azienda (ci sono più condizioni di così). Questi voucher sono utilizzabili per arruolare le categorie di lavoratori non standard identificate sotto (studenti, stranieri in vacanza, pensionati) , per brevi periodi e con limiti massimi di utilizzo. Allargare questa platea e normalizzarla significa pompare offerta forzatamente, ossia creare dal nulla nuovi lavoratori tra coloro che non sono ancora entrati nel mercato del lavoro e coloro che si sono già ritirati.

Studenti e disoccupati

(Edit: non inserita nel DL Rilancio)

Proposta arrivata, tra gli altri, da Salvini e Meloni: mandare a lavorare studenti, pensionati e disoccupati con sussidio.

L’obiettivo, tornando al grafico, è passare dal punto A, per ritornare direttamente all’equilibrio iniziale. Sostituendo quindi i lavoratori che mancano con altri lavoratori, agendo direttamente sul lato dell’offerta.  L’implicito di questa proposta è quella di allargare la platea di lavoratori, facendo uscire dallo “straordinario” categorie che dal mercato del lavoro sono escluse, in alcuni casi per ragioni anagrafiche (studenti) o perché ritirati (pensionati). Tutto questo in mancanza di un incentivo economico per attrarre queste persone.
Come attuare la proposta in pratica? Con la forza, un’idea estremamente pericolosa e difficilmente implementabile. Oppure creando, com’è successo in Francia o come ha provato a fare Coldiretti con “Job in Country”, piattaforme online per fare incontrare domanda e offerta, e quindi un aumento dei salari (passando all’equilibrio 2). Nulla di tutto questo: l’intenzione è quella di ridurre la scarsità di lavoratori sul mercato e le conseguenti pressioni salariali in rialzo. Spesso, questa proposta è stata declinata in combinato con la prima, ossia “mandiamo pensionati, studenti e precettori di sussidi a raccogliere la frutta e la verdura utilizzando i voucher”. Troppo gentili, verrebbe da dire.

Reddito di Cittadinanza

(Edit: Art. 101 DL Rilancio, Promozione del Lavoro Agricolo – il reddito da lavoro agricolo per un massimo di 30 giorni e 2000€ complessivi nell’anno 2020 non conta per i requisiti di accesso al RdC)

Viene anche e soprattutto da esponenti della maggioranza e della sinistra parlamentare: mandiamo i precettori del Reddito di Cittadinanza a lavorare in agricoltura (Bonaccini, tra gli altri). La proposta è simile alla seconda, ossia si cerca di ritornare dal punto A all’equilibrio iniziale, non tramite un aggiustamento dei salari, ma sostituendo manodopera. Con un aggravante, che la rende forse la proposta peggiore: hai diritto al reddito di cittadinanza sulla base dei criteri fissati per legge? Allora “restituisci qualcosa alla collettività” andando a raccogliere pomodori. L’aspetto più grave è proprio il giudizio morale sulla condizione di povertà, di necessità di assistenza che è sì garantita, ma va restituita.

Lo Stato cioè, in cambio del sussidio, si arroga il potere di imporre una scelta (quella di lavorare come raccoglitore) ai cittadini che versano in stato di difficoltà. Questo va molto oltre le condizionalità già previste dal reddito di cittadinanza (come quella di destinare parte del proprio tempo in lavori socialmente utili per il proprio Comune) e trasformano i precettori del sussidio in meri input produttivi di emergenza che lo Stato distribuisce alle imprese. Più precisamente, ad imprese che sono rimaste attive durante il lockdown e a cui basterebbe proporre condizioni più favorevoli per attrarre più lavoratori.

Questo non vuol dire che gli enti pubblici non possano pensare a forme di sostegno alle imprese agricole a determinate condizioni, ma questa proposta ha falle sia economiche sia logiche. Portato all’estremo: se volessimo perseguire il concetto di restituzione, allora dovremmo definire cosa voglia dire “aver ricevuto dalla collettività”. Secondo la definizione cruda della proposta, una persona che riceve il RdC è un parassita della società, mentre il figlio di un notaio (di Firenze) che eredita lo studio “si è fatto da solo”.
Questo non vuol dire che non ci siano usi distorti e problemi legati al RdC, ma mescolare i vari argomenti è solamente indice di mancanza di professionalità.

La proposta è stata riadattata dal Governo (fortunatamente) in chiave meno autoritaria. Nell’articolo 34 dell’ ultima versione-bozza del decreto maggio, il Governo ha introdotto la possibilità per i precettori RdC di lavorare un mese come lavoratori agricoli, senza che il reddito generato da questa attività conti come reddito ai fini dei requisiti del sussidio. Insomma, niente coercizione, ma un semplice incentivo, categoriale, che ha comunque come scopo quello di muovere una parte di popolazione, i precettori di RdC, temporaneamente, in attesa che la tempesta si plachi e tornino gli stranieri come pecore all’ovile. Anche questa variante soft, in altre parole, prova a limitare (ed eventualmente disinnescare) una crescita salariale che avrebbe conseguenze strutturali sul settore.

Regolarizzare i migranti

(Edit: Art. 110.bis DL Rilancio: i lavoratori stranieri con permesso scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altra forma, possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di sei mesi e valido esclusivamente sul territorio nazionale. Tali lavoratori devono aver svolto attività di lavoro nei settori agricolo, domestico e di assistenza alla persona nel periodo precedente al 31 ottobre 2019)

Nessuna delle proposte qui sopra porta, quindi, ad una condizione salariale o contrattuale soddisfacente. E i lavoratori italiani non sembrano essere particolarmente entusiasti delle condizioni di lavoro nel settore agricolo. La Ministra Teresa Bellanova ha quindi proposto (mettendo sul piatto anche le sue dimissioni) la regolarizzazione di tutti quei lavoratori agricoli migranti irregolari, che oggi sono fermi proprio in virtù della loro condizione legale e che in tempi normali costituiscono l’esercito di riserva del caporalato mafioso. Ad oggi, sembra che un’intesa nel governo sia  in via di definizione (il M5S si era dimostrato inizialmente contrario). Regolarizzare i migranti occupati nel lavoro agricolo significherebbe risolvere un problema immediato di manodopera, migliorando – stavolta sì – le condizioni di lavoro della categoria identificata (solo quella, ma è già qualcosa), e ridurre, almeno in parte, la forza lavoro in nero. Non è una misura risolutiva, per tanti motivi non solamente economici.

Parliamo di un gran numero di persone (potenzialmente 600 mila secondo le stime della ministra Bellanova che, appunto, includono anche persone occupate in altri settori) che prima dell’epidemia già in parte lavoravano come braccia da lavoro del caporalato italiano. Lavoratori e lavoratrici in nero costretti ad una paga misera attraverso con il ricatto che, se sanati, ricomincerebbero a lavorare – e a muoversi da un’area di raccolta all’altra lungo la penisola – ma non rappresenterebbero necessariamente lavoratori in più. Da un punto di vista economico, va detto, una sanatoria migliorerebbe sì la condizione delle persone interessate (e di molto), ma non necessariamente quelle del settore. È una modalità alternativa di aumentare l’offerta di lavoro facendo partecipare al mercato alcune persone che ne erano escluse per motivi giuridico-legali. In sintesi, la regolarizzazione pomperebbe l’offerta, con effetti non scontati sui salari. In assenza di altre misure complementari rivolte a tutto il settore, come un generale miglioramento delle condizioni contrattuali e salariali per i lavoratori stagionali e gli operai agricoli, la regolarizzazione dei lavoratori migranti rischierebbe di non avere l’efficacia desiderata.

In conclusione

Il problema di settori come l’agricoltura (specialmente nelle mansioni di raccolta), lavoro domestico, food delivery e via discorrendo, non sta nella riluttanza di una parte di lavoratori che “sono troppo esigenti”, ma nelle cause di questa riluttanza. Vale a dire che il problema sono le condizioni economiche applicate che rendono insopportabile tale lavoro. Alcuni commentatori si stupiscono del fatto che la domanda in aumento in questi settori non verrà soddisfatta dall’offerta di lavoro, senza specificare che spesso il lavoro in questi casi non è regolato affatto (nero o piattaforme) o è pagato una miseria (agricoltura, delivery) ed è, nella stragrande maggioranza dei casi, precario.

Luca Sandrini
Giacomo Romanini

3 pensieri su “Agricoltura: regolarizzare, mandare chi ha il reddito di cittadinanza. L’analisi economica di tutte le proposte

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