Metallo strano: breve storia dei Mastodon

“Oh, no! Un’altra di quelle band strane che piacciono solo a Guglielmo!”
Ebbene sì, torna la rubrica più odiata dagli ascoltatori di Calcutta: “Vita e Opere di Madre T- ah, no, l’altro Calcutta.
“Band strane che piacciono solo a Guglielmo”!
Per questa puntata parliamo dei Mastodon, band di metal strano americana che tra le altre cose ha recitato in Game of Thrones e ha appena pubblicato un nuovo album, Emperor of Sand, uscito il 31 marzo.

I Mastodon si formano nel 2000 ad Atlanta, quando il batterista Brann Dailor (l’unico che, nella band, non sembra un mastodonte) e il chitarrista Bill Kelliher, recentemente trasferitisi lì dallo stato di New York, incontrano tra il pubblico di un concerto degli High on Fire il bassista e cantante Troy Sanders e il chitarrista e cantante Brent Hinds (che, per inciso, all’epoca viveva in un furgone). Sanders e Hinds avevano già suonato insieme per sette anni, e Dailor e Kelliher avevano avuto modo di sentirli suonare nel circuito locale, e poiché stavano proprio cercando un bassista e un chitarrista (avevano già un cantante) pensano di aver trovato i loro uomini. Dopo una prima prova alla quale Hinds si presenta ubriaco perso, i cinque ingranano alla perfezione: li unisce il loro amore per i Melvins, i Neurosis (al cantante dei quali, Scott Kelly, e a suo figlio di dieci anni, chiederanno l’approvazione per il nome della band, ottenendo un riscontro positivo) e i Thin Lizzy. Per fortuna, dopo poco tempo accade il miglior imprevisto che potesse capitare ai Mastodon: il cantante Eric Saner se ne va! Sia Sanders che Hinds sono ben felici di ricoprire, a turno e con l’aiuto sia di Dailor che di Kelliher (che ha un growl che sembra fatto di asfalto e purè di Batman) ai cori, il ruolo, e questo porta inevitabilmente ad arrangiamenti vocali originali e interessanti.
Con questa formazione a quattro, che resta ancor oggi immutata, pubblicano l’EP Lifesblood e, poco dopo, l’LP di debutto Remission, che già fa gridare al capolavoro i metallari di tutto il mondo, estasiati da questa band che sembra essere il pargolo partorito dall’unione tra Metallica, Queens of the Stone Age e Genesis. Il suo seguito, Leviathan, per tener fede alle loro radici progressive, è un concept album ispirato a Moby Dick di Herman Melville, e vira su territori ancora più coraggiosi, con Scott Kelly degli idolatrati Neurosis ospite sulla cattivissima Aqua Dementia. Dopo la pubblicazione di Call of the Mastodon, una raccolta che include tutti i pezzi di Lifesblood, i tre brani su un EP eponimo registrato poco prima dell’uscita di Remission, e la title track, precedentemente apparsa solo sul demo registrato ancora con Saner in formazione, esce il terzo LP della band, Blood Mountain, che contiene un’altra apparizione di Kelly (su “Crystal Skull”), una di Josh Homme dei QOTSA (su The Colony of Birchmen, nominata ai Grammy e omaggio a The Colony of Slippermen dei Genesis), e persino del tastierista e del cantante dei The Mars Volta. Blood Mountain è un altro concept, e racconta la storia di un uomo che – sorpresa, sorpresa – si arrampica su questa montagna e ci trova di tutto e di più. Su questo album, la band utilizza le voci pulite di Sanders e Hinds molto di più, diminuendo il growl presente sui dischi precedenti.

Mastodon recording CtS
I Mastodon in studio per registrare Crack the Skye: da sinistra, Hinds, Kelliher, Dailor e Sanders. Foto di Jimmy Hubbard, Warner Music Sweden

Crack the Skye è probabilmente il disco spartiacque della loro carriera: è la storia di un tetraplegico che si sposta tramite la sua forma astrale, ma con la sua proiezione vola troppo vicino al Sole e brucia il cordone ombelicale che lo teneva attaccato al plesso solare del suo corpo fisico, e viene portato nel passato da dei monaci russi che lo fanno entrare nel corpo di Rasputin, che, dopo essere stato ucciso, lo rimanderà in seguito nel suo tempo e nel suo corpo.
Sì, avete letto bene.
La canzone del titolo, inoltre, è un omaggio di Brann Dailor (che su questo album diventa il terzo cantante solista della band) alla sorella, che si è suicidata a 14 anni, e quel dolore è stato abbastanza da “spezzare il cielo”, come raccontato da Dailor in un’intervista. Ormai qui la band è nel pieno di un vortice prog metal, ed esplora il cosmo come non mai, specie nella traccia portante, la suite The Czar, divisa in quattro parti, e in quella conclusiva, l’epica di 13 minuti The Last Baron. Da un concerto del tour all’Aragon di Chicago la band trarrà Live at the Aragon, pubblicato nel 2011, con tutto Crack the Skye più alcuni brani più vecchi e una cover di The Bit dei Melvins: caratteristiche particolari, nessuno dei tre cantanti riesce ad azzeccare una nota giusta. Ma non importa, noi li amiamo lo stesso.
Con l’entrata di Dailor nella parte di cantante solista, le possibilità per arrangiamenti sempre più complessi e armonie vocali sono infinite, e questo diventa evidente nel quinto LP, The Hunter (dedicato al fratello di Hinds, morto durante una battuta di caccia), non più un concept, ma una specie di greatest hits: i brani non hanno un tema comune, ma sono tutti spettacolari. È anche il primo album pienamente collaborativo, mentre fino ad allora le idee principali per costruire i pezzi venivano dal solo Hinds (che continua a fornire il grosso del materiale di partenza). Il disco contiene il mio pezzo preferito dei Mastodon, la divertentissima Curl of the Burl (anch’essa nominata ai Grammy).

Once More ‘Round the Sun, uscito nel 2014, continua sulla strada più “pop” aperta da The Hunter, pur mantenendo gli elementi psichedelici e progressivi acquisiti negli anni: questo ovviamente fa sì che tra i fan ci sia del rumoreggiare sul fatto che “si sono venduti”. La band ha anche il tempo di un cameo in Game of Thrones, con Dailor, Hinds e Kelliher nel ruolo di tre Bruti, e di contribuire con un brano – White Walker a un mixtape per promuovere la quinta stagione della serie.

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Brann e Brent (al centro) nei panni di due Bruti. Foto di Metalinjection.net

Ed eccoci arrivati, all’alba del 2017, al settimo LP dei Mastodon: Emperor of Sand.
Musicalmente, Emperor of Sand prosegue il percorso verso uno stile più semplice cominciato con The Hunter e proseguito su Once More ‘Round the Sun, ma più maturo e concentrato che mai. Infatti, sebbene ci sia ancora molta complessità prog metal, le canzoni sono mediamente più accessibili, senza perdere il dinamismo e la fantasia che caratterizzano la band e consentono loro di sfornare un pezzo divertente dopo l’altro, che ci fa inevitabilmente accompagnare con air guitar, air bass e air drumming tutto il disco, lasciandoci alla fine esausti ma estremamente divertiti.
Dopo un paio di album di pausa, la band torna con questo disco ai concept album: è la storia di un viaggiatore perso nel deserto con una condanna a morte sulla testa, simboleggiante la lotta contro il cancro di alcuni amici e familiari della band, che viene simultaneamente vinta e persa dal protagonista, che allo stesso tempo muore e si salva (metaforicamente?).

Si parte con la cavalcata di Sultan’s Curse, abbastanza esemplificativa di cosa troveremo sull’album: riffoni (e questa non è una sorpresa), ruggiti gutturali, ma anche armonie vocali a due e a tre, e parecchia melodia. Segue il turbosingolo Show Yourself, cantato in larga parte dal batterista (con Sanders), ovviamente accusato di essere troppo pop, ed è davvero difficile controbattere a quest’accusa, ma secondo me è proprio la sua forza, e dunque lo eleggo mio secondo brano preferito della band. Quando riuscirò a togliermelo dalla testa forse cambierò idea.
Ha anche un video abbastanza esilarante, nel quale un Cupo Mietitore deve uccidere la band per vincere il premio di produzione aziendale, ovvero un carro funebre di lusso, che gli consentirà di ritrovare la stima della moglie.
(di nuovo: sì, avete letto bene. Guardare per credere)

Nel terzo brano, Precious Stones, torna il metal tra il doom e lo stoner, che ricorda i più volte menzionati Queens of the Stone Age, unito a riff melodici più maideniani e vede Hinds alla voce principale, sempre assieme a Sanders. Steambreather è uno dei brani migliori del disco, con un assolo al fulmicotone di Hinds e un ritornello memorabile:

“I wonder who I am
Reflections offer nothing
I wonder where I stand
I’m afraid of myself”

Roots Remain è, qui lo dico, il miglior pezzo del disco, con un Dailor come una fucilata che tira fuori un giro di batteria semplice semplice, che sembra uscito dritto da Nevermind dei Nirvana (e a me ricorda un po’ proprio quello di Smells Like Teen Spirit), perfetta ossatura per un pezzo cattivo al punto giusto, catarsi in memoria dei cari che ci hanno lasciato. Word to the Wise rimanda piuttosto ai Metallica, è un brano guidato dai ruggiti di Sanders e molto diretto rispetto al resto del disco, mentre Ancient Kingdom è più prog, con Sanders scatenato nel ritornello e tutti impazziti nel bridge con assolo strappabudella. Clandestiny è un altro pezzo cattivo, con un altro ritornello memorabile:

“Give your life
So I can breathe
Save our life
It’s all we need”

Andromeda, con ospite Kevin Sharp dei Brutal Truth, ingrana la quarta e ritorna in territorio doom/stoner, ma è con Scorpion Breath che anche gli scettici estremi trovano pane per i loro denti su Emperor of Sand: ci troviamo infatti Scott Kelly, che anche qui fa la sua comparsata e presta il suo feroce growl per l’ennesima cannonata, un pezzo molto aggressivo ma con bridge prog con chitarre psichedelicissime e Kelly rabbiosissimo, quasi in chiusura di album. Chiusura che arriva poi con la successiva, epica, Jaguar God, degna conclusione di LP, con nientemeno che Mike Keneally (musicista di Zappa, tra le altre cose) alle tastiere per un brano camaleontico e mutevole fino all’immenso climax definitivo.

Emperor of Sand è, per stessa ammissione della band, il coronamento della loro carriera finora, e, seppur relativo neofita alla loro musica, non posso che confermarlo. È un disco versatile, che pur semplificando il sound normalmente – appunto – mastodontico della band non scende a compromessi e diverte tutti gli ascoltatori nello spettro che va dal metallaro duro e puro all’ascoltatore più casuale, e sebbene sia facile ritenere questo un problema per i puristi, io credo invece che sia una prova di grande maturità artistica, grazie alla stessa idea di arte che hanno sempre avuto i Mastodon, che la antepongono a qualunque giudizio di critica o di pubblico.

Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus

Fonte immagine in evidenza: Youtube.com

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