Le parole contano: Benoît Hamon e il reddito universale

Come Bottonomics ci siamo occupati molto di politiche di sostegno al reddito (da qui potete risalire a tutti gli articoli), un tema che sta cominciando ad apparire più di frequente sulla superficie del dibattito pubblico e non solo nelle profondità del mondo accademico. Alla vigilia delle elezioni francesi, uno sguardo ai nostri vicini transalpini non poteva quindi mancare. In generale le proposte dei candidati sono state abbastanza piatte sul tema, anche perché lo stato francese è evoluto sotto questo profilo: si contano dieci strumenti, detti minima sociaux, che aiutano in un modo o nell’altro il reddito individuale, cui si aggiunge il prime d’activité. Di conseguenza, Mélenchon ha parlato di un generico Piano Personalizzato contro la Povertà e dell’aumento dei sussidi, Le Pen risolverebbe dando la priorità ai francesi, Macron ha puntato sulla semplificazione amministrativa, trovando Fillon sostanzialmente d’accordo. L’unico che si è staccato dal coro è stato il candidato socialista Benoît Hamon, con la sua proposta di istituire il RUE (Revenu Universel d’Existence).

Hamon non ha possibilità di accedere al secondo turno, i sondaggi lo danno in quinta posizione con meno del 10 % dei voti. La sua era già dall’inizio una missione impossibile: sollevare il PS dopo il quinquennato di Hollande, partendo per di più da una posizione di outsider all’interno del partito, inviso al primo ministro Valls che ha sconfitto alle primarie. In più, il PS stesso sta vivendo una crisi di identità, pressato a sinistra da un Mélenchon mai così in alto nei sondaggi e al centro da Macron. La proposta di un reddito incondizionato universale è stato uno dei pochi fuochi della campagna di Hamon. L’idea iniziale prevedeva 750 euro al mese per tutti i francesi, ed effettivamente ha attirato l’attenzione di molti, perché era la prima volta che si parlava concretamente di un piano di reddito universale esteso a livello nazionale.

Peccato che la proposta si sia progressivamente snaturata fino a perdere il senso del proprio nome, parallelamente allo sgonfiarsi della candidatura socialista. Per definizione, un reddito universale “d’esistenza”, e dunque incondizionato, dovrebbe essere una elargizione di denaro per tutti i cittadini, senza distinzioni di età o di condizione economico-sociale. Il piano di Hamon nella sua forma definitiva è invece una imposta negativa e decrescente per un massimo di 600 euro su una certa fascia di reddito per tutti gli adulti tra i 18 anni e l’età pensionabile, non certo il massimo dell’universalità. Hamon ha cercato piuttosto di integrare nel sistema di welfare francese l’idea dell’imposta negativa sul reddito (spiegata qui).

In Francia esiste un salario minimo (SMIC), attualmente fissato a 9,76 euro lordi all’ora, ossia circa 1600 euro lordi al mese. Secondo il piano, tutte le persone tra i 18 anni e l’età pensionabile che guadagnano fino a 1,9 volte il salario minimo (quindi fino a 2812 euro lordi), avrebbero diritto a ricevere il trasferimento dallo stato. Attenzione però: non si tratterebbe di un versamento diretto, ma appunto di un’imposta decrescente sul reddito che si sostituirebbe all’attuale. Di conseguenza, il trasferimento verrebbe calcolato sottraendo ai famosi 600 euro una quota corrispondente al 27,4 % del salario lordo. In pratica solo chi dichiara di non avere nessun reddito riceverebbe il trasferimento per intero. Infine sono d’obbligo due precisazioni. Innanzitutto tutti gli altri sussidi sono considerati forme di reddito, per cui costituirebbero la base imponibile per la deduzione del 27,4 % di cui sopra; ciò equivale a dire che pochissimi riceverebbero effettivamente 600 euro. Per le persone che guadagnano da 1,4 a 1,9 volte il salario minimo, la deduzione sarebbe maggiore di 600 euro, per cui l’imposta diventerebbe per loro positiva. Il trade-off consisterebbe nel fatto che la nuova imposta sul reddito sarebbe minore dell’attuale, quindi beneficerebbero di una sorta di sgravio fiscale piuttosto che di un reddito universale.

Il vero vantaggio della proposta consisterebbe nel fatto che il trasferimento sarebbe relativamente facile da implementare: la deduzione verrebbe calcolata in automatico in busta paga, permettendo al cittadino di evitare le pastoie burocratiche per accedere ai sussidi (attualmente molte persone non fanno nemmeno domanda pur avendone diritto perché intimoriti dalle scartoffie e/o infastiditi dall’invadenza dei controlli statali).

Il problema è che l’impianto della riforma è troppo complicato. Per cominciare, il nome scelto è “ingannevole”: quello proposto non è un reddito incondizionato universale. Ha delle condizioni di reddito e di età per accedervi (i pensionati non ne avrebbero diritto) e per un’ampia fascia sarebbe piuttosto un’imposta (più leggera, ma sempre un’imposta) sul reddito. In seconda battuta, l’imposta negativa non è stata teorizzata per integrarsi in un sistema di welfare evoluto come quello francese, ma per sostituirlo: l’idea originaria di Milton Friedman prevedeva che questo fosse uno strumento unico, grazie al quale tutte le spese amministrative di gestione dei sussidi sarebbero state eliminate; la versione di Hamon esclude questo drastico taglio di posti di lavoro. Come per tutte le politiche pro-reddito, è poi il problema dei costi a pesare. Hamon ha menzionato un conto di 30 – 35 miliardi di euro, ma è stato vago sul finanziamento della misura: sono state citate una revisione del credito di imposta alle imprese e della tassa patrimoniale, una fantomatica tassa sui robot industriali e la spesa in deficit. La ricetta perfetta per spaventare l’ala moderata del PS e gli elettori indecisi.

Hamon ha avuto coraggio a presentare in campagna elettorale un’innovazione così grande, combinandola con teorie interessanti come quella sulla rarefazione del lavoro, ma ha pasticciato troppo. La retromarcia iniziale ha minato la sua credibilità, l’utilizzo di un nome semplice per una riforma complessa ha solo aumentato la confusione e i timori della classe media di essere “fregata”, e l’incertezza sulla sostenibilità del progetto ha fatto il resto. Il fatto è che gli strumenti integrali di sostegno al reddito, anche nella loro versione liberista come appunto l’imposta negativa sul reddito, non sono ancora sufficientemente consolidate né a livello teorico né in seno all’opinione pubblica per essere presentate sul palcoscenico di un’elezione nazionale.

Roberto Mantero

Fonte immagine di copertina: le24heures.fr

 

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