Rifugiati ambientali: migranti del domani che potremmo sostenere in tempo

Rifugiati ambientali: migranti del domani che potremmo sostenere in tempo

Sui giornali, in famiglia, nell’arena politica: oggi si parla quotidianamente di Proprio per questa ragione, è importante dedicare più tempo ad approfondire quali sono le che portano una persona a diventare, e ad essere definita, un “migrante”. , composta da milioni di persone (32,4 solo nel 2012) che sono costrette a spostarsi e abbandonare la propria casa in seguito a . Più nello specifico quando si parla di “disastri ambientali” ci si riferisce anche a (ad esempio quelli di aziende chimiche o nucleari, ai progetti di sviluppo che impongono spostamenti di massa forzati come dighe, grandi progetti d’irrigazione) e di Per l’uomo è sempre stato naturale cercare e stabilirsi in ambienti che consentissero di , non è normale, invece, che sempre più zone della terra non siano più in grado di garantire queste condizioni. Ciò avviene principalmente a causa dei cambiamenti climatici a cui il nostro pianeta è soggetto da anni. Mutamenti profondi che provocano una quantità sempre crescente di disagi da alluvioni, a siccità totale, all’insufficiente quantità di risorse indispensabili come l’acqua. Questa tabella, tratta dal report Nel 2015, il numero di persone che hanno dovuto lasciare il proprio Paese a causa di disastri ambientali ammonta a Questi spostamenti in massa sono meno sentiti rispetto agli altri tipi di migrazioni per via del loro carattere: nella gran parte dei casi, infatti, il trasferimento avviene , mezzo milione tra agricoltori e pescatori ha perso la possibilità di coltivare le terre e di avere i mezzi indispensabili per condurre le proprie attività a causa di una serie di : terre incoltivabili, cifre irrisorie di denaro, postazioni senz’acqua. Altri non hanno ricevuto nemmeno quelli, e ora la maggior parte di loro è finita in baraccopoli a Questo è solo un esempio per rendere concretamente l’idea del fenomeno che colpisce un numero sempre maggiore di persone. Le cifre crescono perché, oltre ai fenomeni incontrollabili e purtroppo incontrastabili di cui abbiamo fatto largamente esperienza in Italia come i che si traduce in siccità estreme, alluvioni, innalzamenti del livello dei mari, erosioni delle coste. La connessione tra la crescita delle migrazioni forzate determinate dal cambiamento climatico e le azioni dell’uomo è confermato anche nel rapporto dell’ONU e slegate da fattori terzi scatenanti come i terremoti, le inondazioni e i cicloni sembrerebbero essere stati che in alcuni paesi strutturalmente svantaggiati scarseggiavano già, come ad esempio in alcuni villaggi africani, ma anche in Siria e non è ancora riconosciuto giuridicamente, ma sembra che l’Europa si sia già attivata per far sì che questo avvenga, dato che i numeri non lasciano scampo: nel 2015, . In questo contesto il Presidente degli Stati Uniti insiste nel definire il riscaldamento climatico “una sciocchezza molto costosa con cui bisogna farla finita” e sui giornali fioccano già le critiche e i titoli in cui si parla di “Follia europea: accoglieremo pure i profughi climatici”. La speranza è che prevalgano il buon senso e la consapevolezza: oggi esistono gli strumenti e le opportunità per , per arrivare in tempo, senza trascurare i segnali, senza nascondere la testa sotto la sabbia, lasciando perdere l’atteggiamento che in molti si ostinano ad assumere, senza risultati se non i soliti odio e insofferenza che si riveleranno probabilmente poco utili quando le conseguenze del cambiamento climatico busseranno di nuovo e anche alla nostra porta. [La fotografia di copertina è stata scattata in Birmania. Fonte: Foreign Policy] Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)