Il nome stesso del progetto “Casiotone” è chiaramente un omaggio alla marca di tastierine e tastieroni che molti di noi, specie se hanno studiato musica in una scuola media italiana, hanno avuto in casa. Suoni poveri, suoni finti, ma che sono riusciti a crearsi un mondo di amanti del genere. Non per caso questo tipo di strumentazione cheap diffusa a livello di massa fra i bambini di tutto il mondo, in particolar modo fra anni ’80 e ’90, si presta al racconto intimo e dimesso di Ashworth, il cui universo di riferimento è quello degli affetti, delle avventure, delle storielle, delle cose quotidiane e semplici. Con una buona dose di nostalgia, si può dire. Come su quei tasti con meccaniche plasticose tanto quanto i suoni emessi, molti giovani musicisti hanno mosso i primi passi, così le melodie ricercate dal nostro eroe sembrano (e ai primi tempi sicuramente sono) gli sforzi ingenuamente scolastici (ma consapevolmente registrati e presentati dopo un bagno di “indie”) di qualcuno che mentre sta studiando musica, prova a mettersi lì e a buttare giù, alla vecchia, tre accordi e qualche riga di testo. Non è un caso che moltissimi dei pezzi di CftPA durino meno di 2′ e in ogni caso mai più di 4′.
L’immaginario di Owen è patetico e senza vergogna, nei sensi più positivi di questi termini che riusciate a concepire: ha veramente qualcosa della brutalità adolescenziale smaliziata di un Morrissey, vedi il testo di We Have Mice , che pone di fronte all’alternativa fra farsi improvvisamente stracciare il cuore e ridurre tutto a un “ma vergognati, non hai più quindicianni”. Lettere scambiate con l’amata, addii senza guardarsi negli occhi all’aeroporto, telefonate (un sacco di telefonate, cf. Don’t they have payphones wherever you were last night) attese, attenzione al limite dell’ossessivo-compulsivo rispetto a dettagli inerenti l’amata, viaggi in auto, viaggi in bici, traslochi, rapporti dove manca sempre qualcosa, a volte in maniera concretissima, altre volte più esistenziale. Una buona sintesi di questi due aspetti è la prima traccia di Etiquette, il primo disco dove lo spirito del lo-fi è rispettato, ma la qualità audio in quanto tale è migliore. Quella specie di scolasticità che tentavo di descrivere prima, trova espressione anche nelle rime, spesse baciate, di Casiotone, che ne è evidentemente consapevole, quando ad esempio titola Calloused fingers won’t make you strong, Edith Wong. E, mi cascassero pure i capelli se anche questa è una finzione scenica, ma mentre riscorrevo i testi, ho ripescato questo pezzo, dove l’omaggio ironico agli Smiths è evidentissimo.
@disorderlinesss
Dedico questo pezzo alla memoria di Flavio Vargiu, trovato morto nella propria casa di Genova 7 anni dopo un solitario decesso, a 76 anni, probabilmente con dolore, ma sicuramente senza una Casio che suonasse.