La questione della contraccezione femminile non è affatto dibattuta nella società giapponese. Una domanda sorge all’istante: sono le donne giapponesi a scegliere di evitare la contraccezione e la normativa statale si adatta a questa tendenza; oppure le donne giapponesi non hanno una vera scelta perché non conoscono nemmeno l’esistenza di questa possibilità? La disinformazione e lo stigma sociale contribuiscono profondamente a non percepire la contraccezione stessa come un diritto.
Kazuko Fukuda e il progetto #Nandenaino: la contraccezione è un diritto
Abbiamo intervistato Kazuko Fukuda, fondatrice del progetto “#Nandenaino”, che letteralmente significa “perché non ce l’abbiamo?” nato nel 2018 per sensibilizzare le donne giapponesi sulla contraccezione e la sessualità.

Kazuko ci racconta la sua storia, come donna, lavoratrice e attivista. Ha studiato presso la International Christian University di Mitaka (Tokyo) e si è specializzata in Politiche pubbliche in Giappone, compresi gli studi di genere e l’educazione sessuale. Nel 2016 ha la possibilità di studiare in Svezia per un anno ed è in una clinica giovanile che tutto è cambiato. “L’unica opzione che conoscevo era la pillola contraccettiva. Quando il medico della clinica mi ha consegnato l’opuscolo informativo ed elencato tutte le opzioni contraccettive, sono rimasta sotto shock”.
Una studentessa che ha dedicato anni di studio sulle questioni di genere, compresa l’educazione sessuale, non era nemmeno a conoscenza di contraccettivi al di là della pillola.
L’intervista prosegue ed emerge chiaramente che la contraccezione femminile in Giappone non è nemmeno considerata un diritto. Le donne giapponesi non sanno di avere una scelta e di poter reclamare prezzi più economici e una copertura assicurativa sanitaria e non sanno nemmeno di quali tipi di contraccettivi chiedere l’approvazione per il loro commercio in Giappone, come anello, cerotto, iniezione contraccettiva, spermicida, diaframma e impianto ormonale sottocutaneo.
“Se si cercano informazioni in inglese si trovano migliaia di siti web. Ma se si ricerca in giapponese, i risultati sono pochi ed è raro trovare le immagini dei contraccettivi, a parte il classico pacchetto di pillole. Qualcosa sta accadendo dall’altra parte del mondo [in riferimento alla Svezia]. Tutta la selezione di contraccettivi in un unico posto, gratis, circondata da informazioni, non sapevo neanche che pensare”. La maggior parte dei siti web (abbiamo consultato i siti che compaiono nelle prime quattro pagine di ricerca di Google) fa riferimento principalmente alla contraccezione d’emergenza e unicamente ai dispositivi approvati e in commercio in Giappone.
Contraccezione non accessibile a tutte
Il costo della “pillola del giorno dopo” è di circa 10.000 yen (circa 100 euro). La pillola contraccettiva si aggira attorno ai 3.000 yen al mese(25 euro), a seconda della marca e della clinica che ne fissa il prezzo – senza considerare i costi non inclusi di eventuali esami del sangue (in alcuni casi anche il pap-test) che il medico potrebbe prescrivere per verificare la compatibilità con la pillola, che possono superare gli 80 euro, esclusi i costi della visita medica. Lo IUD (Dispositivi intrauterini, conosciuti anche come “spirale intrauterina”) costa più di 400 euro, inclusi i servizi medici.
L’assicurazione sanitaria non copre questi costi, che sono a carico delle donne nel caso in cui vogliano usare il contraccettivo per evitare possibili gravidanze. Solo in caso contrario, se la donna richiede il contraccettivo per regolare il ciclo mestruale o per ridurre i dolori, l’assicurazione sanitaria copre i costi. “In Svezia le persone reagiscono positivamente alla richiesta del contraccettivo, considerata un gesto di responsabilità. Sei semplicemente una donna che vuole proteggersi e che vuole decidere quando è il momento più adatto per avere un figlio”. Un gesto virtuoso, di consapevolezza del proprio corpo e della propria sessualità. Questo manca del tutto in Giappone.
“L’educazione sessuale non è considerata positivamente e la maggior parte degli insegnanti si limitano a spiegare la pubertà e le fasi della gravidanza, evitando di parlare di sesso e sessualità”. Kazuko ricorda il caso di un insegnante in una scuola per ragazzi con disabilità dello sviluppo (più vulnerabili a possibili abusi o molestie), trasferito in un’altra scuola per aver tenuto una lezione di prevenzione sulle violenze sessuali, indicando, tramite il supporto di pupazzi, le parti del corpo in cui è inappropriato essere toccati da altri.
Poca contraccezione, tanti aborti
Una questione fortemente connessa alla mancanza di contraccettivi è l’alto numero di aborti, circa 168.015 all’anno. Secondo il Japan Times questa pratica è comunemente usata in sostituzione del contraccettivo.
“L’aborto non è coperto dall’assicurazione sanitaria ed è necessaria la firma dei genitori nel caso la donna sia minorenne, e quella del partner se adulta”. L’aborto è legale fino alle 24 settimane di gestazione e può essere praticato solo se vengono rispettati determinati criteri, tra cui: preservare la vita della donna, la sua salute fisica e mentale, per ragioni economiche o sociali, in caso di stupro o incesto. I criteri non sono stringenti e teoricamente non precludono alla donna la possibilità di abortire, ma non è consentito l’uso della pillola abortiva (RU-486) e tutti gli aborti sono praticati tramite intervento chirurgico, di cui l’80% tramite dilazione e raschiamento (dilation and curettage), riconosciuta come obsoleta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Poiché si tratta di una vera e propria operazione chirurgica, nella pratica i prezzi sono molto alti – attorno ai 1000 euro – senza copertura sanitaria e rispetto per la privacy.
Kazuko riporta alcune testimonianze di giovani donne che “non vanno in clinica per paura di essere scoperte dai genitori o dal partner e per questo motivo mantengono segreta la gravidanza, fino alla nascita del bambino” e sottolinea che in molti casi i neonati non superano il primo giorno di vita, abbandonati o uccisi dalle stesse madri.
Sebbene alcune cliniche inizino ad offrire sconti sui contraccettivi (solo per le studentesse), non c’è un prezzo fissato a livello nazionale e questo viene stabilito dalla clinica, non garantendo a tutte le donne un equo accesso. Per le donne che vivono nelle zone rurali o in piccoli paesi è ancora più difficile accedere alla contraccezione.

Qualcosa sta cambiando
Il governo ha recentemente permesso alle donne di richiedere consulenza di medici online, un grande passo avanti in fatto di privacy. “In teoria dovrebbe essere riservato solo alle donne con difficoltà geografiche a raggiungere un medico e alle vittime di abusi, ma viene usato sempre più spesso anche da altre donne con problematiche diverse”. Kazuko sottolinea poiché “quando la donna assume la contraccezione d’emergenza, deve farlo in presenza del farmacista o del medico, con lo scopo di prevenire che i contraccettivi vengano venduti al mercato nero, fatto che non garantisce affatto la loro privacy”.
Un esempio virtuoso è rappresentato da una clinica di Osaka in cui l’intervento chirurgico dell’aborto viene eseguito sotto anestesia e la donna viene seguita anche successivamente, con un supporto psicologico e riabilitativo. Molte delle donne che prendono questa decisione non hanno infatti l’appoggio della propria famiglia o del partner e tengono il segreto per paura della disapprovazione sociale; in questo caso, il supporto della clinica diventa fondamentale.
Scegliere di abortire non è una mera e semplice scelta, comporta un trauma fisico e mentale. Per questo motivo, esempi di questo tipo dovrebbero essere utilizzati per articolare politiche pubbliche che aumentino, prima di ogni altra cosa, la consapevolezza dell’intera società sul tema e che siano di supporto per i diritti di donne vulnerabili.
“Il concetto di diritti umani così come inteso nei Paesi occidentali non esiste qui in Giappone. La società viene sempre prima, mai l’individuo”. Questo si riferisce non solo alla mancanza di adeguate politiche pubbliche, ma alla società stessa, donne comprese, che non percepiscono la contraccezione come un diritto, ma come una vergogna. Come sottolinea, infine, Kazuko “il nostro obiettivo non è quello di avere la contraccezione a tutti i costi. Qui si tratta di iniziare a mettere in chiaro che si tratta di un diritto, che dovremmo cominciare a percepire come nostro e iniziare a reclamare. È giusto voler essere responsabili e volersi proteggere. Non c’è niente di sbagliato nell’essere consapevoli della propria sessualità. È un nostro diritto e vogliamo che ci sia riconosciuto”.
Cristina Piga
Tutte le foto dell’articolo sono state fornite dall’intervistata.
Immagine di copertina: VectorStock
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