Mosul, nord dell’Iraq.
Da tempo questa città non è più un elemento topografico bensì un concetto geopolitico, strategico. Da qui, dopo averla conquistata nel giugno del 2014, al Baghdadi proclamò la nascita del suo califfato dalla grande moschea di al-Nouri.
Di fronte al nemico comune – l’ISIS – Arabi (sciiti e sunniti) e curdi hanno stretto una di quelle strane alleanze militari cui la War on terror ci ha oramai abituati. Un’alleanza però quanto mai fragile se si pensa che alle forze curde è stato chiesto di non entrare in città una volta liberata per evitare tensioni tra le diverse etnie presenti. E soprattutto se si pensa che mai prima di oggi i curdi sono stati in una posizione di forza tale. Controllano già stabilmente Kirkuk, Sinjar, Tal Afar e molte altre città a sud dei confini di quella Kurdistan Region venutasi a creare dopo le sollevazioni curde del 1991.

Ad ogni modo, dal 17 ottobre 2016 è cominciata l’offensiva delle forze della coalizione col supporto aereo degli USA, offensiva che oggi pare concludersi. La battaglia ricopre ancora più importanza se si pensa che il primo ministro del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, alla fine del 2016 ha dichiarato che il referendum sull’indipendenza della sua regione si sarebbe tenuto solo dopo la riconquista definitiva della città.
Ma le tensioni, i rancori e gli scontri che vedono in Mosul la principale causa scatenante non sono affare recente, bensì hanno radici antiche.
Seconda città del paese, posta al centro di una regione che ha vissuto importanti rimescolamenti di popolazione nel corso dei decenni e che oggi vede presente una maggioranza sunnita e diversi gruppi minoritari sia religiosi (armeni cattolici e ortodossi, sciiti, sufi, yazidi), sia etnici (curdi, turkmeni, assiri), Mosul ha sempre avuto una collocazione geopolitica difficile e precaria.
Già nel 1842, quando la ummah era sotto il controllo dell’Impero ottomano, una rivolta curda guidata da Bedir Khan, principe di Giazirah, unificò un vasto territorio che andava dal lago di Van al lago Urmia a nord e da Mosul a Rawanduz a sud. Ma l’aiuto di inglesi e francesi che cominciavano a affacciarsi nella regione, pose fine alle ambizioni di Bedir Khan.
L’interesse degli occidentali per quell’area si fece sempre più forte, soprattutto sulla spinta della crescente importanza del petrolio per l’economia mondiale, una materia di cui il territorio di Mosul era ricchissimo. Tanto che nel 1912 fu fondata a Londra la Turkish Petroleum Company (TPC) che aveva il preciso scopo di trovare ed estrarre il prezioso combustibile dai giacimenti della Sublime porta. La TPC era formata dalla Banca nazionale turca (che di turco aveva poco più del nome, dal momento che era controllata dagli inglesi), dalla Royal Dutch-Shell e dalla Deutsche Bank, poi sostituita dalla Anglo-Iranian Oil Company. Il consorzio ottenne ben presto importanti concessioni in due regioni: una era Baghdad, l’altra Mosul.
Durante la Prima guerra mondiale l’Impero ottomano si schierò con Germania e Austria e mise in atto un vasto piano di “turchizzazione” tramite la politica delle deportazioni di massa, una pratica che divenne ben presto nota in molti luoghi del Medio Oriente. Molti curdi della Turchia orientale furono sradicati dai loro territori di origine e dispersi, alcuni giunsero anche a Mosul che nel novembre del 1918 fu occupata dalle truppe britanniche.
Con la fine della guerra, il territorio dell’Impero ottomano oramai prossimo alla dipartita venne diviso tra due sfere di influenza, quella francese e quella inglese. Ovviamente anche la provincia di Mosul rientrò nella spartizione: la parte settentrionale (comprendente anche Mosul città) fu inizialmente assegnata alla Francia, quella meridionale alla Gran Bretagna, ricollegandosi così al resto dell’Iraq controllato da Londra.
Alcuni anni dopo la prima spartizione, i francesi cedettero Mosul agli inglesi in cambio di una quota della TPC corrispondente al 25% mentre l’accordo veniva allargato alle compagnie petrolifere statunitensi. La Turkish Petroleum Company divenne così la Iraq Petroleum Company.

Alle rivendicazioni e alle aspirazioni delle popolazioni locali non fu dato molto peso, tanto meno a quelle curde che tra l’altro non avevano trovato una sintesi comune ed efficace, bensì spaziavano da una maggiore autonomia all’interno del futuro stato turco ad una indipendenza totale, premessa necessaria per molti alla creazione di un vero e proprio stato curdo. Le potenze occidentali, incalzate dalla duplice necessità di indebolire la Turchia e di garantire l’integrità territoriale del nascituro Iraq, ignorarono tutte queste richieste. Molto dell’ondata di violenza centrifuga che oggi devasta l’Iraq trova le sue cause nelle scelte di allora.
Nel corso dei decenni, sia prima sia dopo la salita al potere di Saddam Hussein, la regione di Mosul, come molte altre province irachene, subì la politica di arabizzazione forzata voluta dal regime ba’thista al potere a Baghdad. Al contempo veniva attuata una massiccia campagna di dispersione delle popolazioni autoctone all’interno del territorio nazionale, soprattutto verso l’Iraq meridionale.
Le guerre che si succedono (quella contro l’Iran e quella in Kuwait) peggiorano la situazione e spinsero la comunità internazionale a creare no fly zone che includevano anche Mosul, benché la città si trovasse al di sotto del limite fissato nel 36° parallelo.
Ad oggi, mentre le truppe del califfato sembrano battere in ritirata, non è molto chiaro cosa succederà alla città dopo la vittoria della coalizione. Mosul sembra insomma il perfetto esempio di un paese – o forse di un’intera regione – che blocca dentro deboli confini un miscuglio di etnie e di confessioni diverse costantemente sul punto di esplodere.
Marco Colombo