EuroCorner 4: Dimitri Payet, la prima scelta

Un commesso come tanti, un giovane, diciotto anni compiuti da poco, che si affaccia per la prima volta nel mondo del lavoro. Questo giovane però non sogna né di fare il commesso, né di studiare. Lui vuole fare il calciatore. E’ lì, a Nantes, proprio per quel motivo. Ha lasciato casa, che è sempre in Francia, ma a ottomila chilometri di distanza, per inseguire quel sogno. E quel sogno, gli sta sfuggendo di mano. Non gioca, si allena con poca costanza, ha un carattere un po’ spigoloso e non accetta né i richiami né le panchine. Sembra ancora una volta un sogno tra i tanti, spezzato, costretto ad inseguire un pallone spelacchiato sui campi di periferia. E invece no.

Dimitri Payet ha diciotto anni, è a Nantes ed è già il suo secondo tentativo in Francia. Il primo non è andato bene. Fast Forward. Dimitri Payet ha ventinove anni, è a Parigi ed ha appena firmato il gol vittoria della sua Francia nella prima partita dell’Europeo, in casa, davanti ad 80mila spettatori, di cui buona parte francesi. Che acclamano il suo nome. E piange.

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Reunion e Mauritius sono le due isole più grandi dell’arcipelago delle Mascarene, al largo del Madagascar. Ma da più di 200 anni non appartengono allo stesso stato. Mauritius infatti è la capitale dell’omonimo stato, indipendente dall’Inghilterra negli anni ’60. Invece Reunion è Francia, e sta a 9mila chilometri da Parigi. Qui, a Saint Pierre, nasce Dimitri. A nove anni comincia a giocare nel Saint Pierroise, la squadra più titolata dell’isola. Le sue giornate sono divise tra un cielo infinito, un oceano intorno, la scuola, e il calcio, dove è il migliore e dove tutti fanno a gara per giocare con lui. La vita è meravigliosa.

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Ma la voce che ci sia un potenziale campione a quasi diecimila chilometri dalla Francia, ma sia francese, si sparge. E nel 1999, quando Dimitri ha dodici anni, arriva l’offerta al Saint Pierroise. E’ il Le Havre, solo un nome sulla mappa di Francia appesa alla parete della classe di Dimitri. In realtà il Le Havre è uno dei vivai più floridi della nazione, capace di far crescere i giovani campioni. Il Saint Pierroise accetta, esattamente come la famiglia, perchè in Francia potrà avere un futuro migliore. Pensano. E così il 12enne Dimitri parte per un viaggio intraoceanico ed extracontinentale. E quando arriva scopre che la Francia non è Reunion.

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12 anni eh

Una città portuale, affacciata sulla Senna, cresciuta nell’industria. Nessuna coltivazione di canna da zucchero, niente mare caldo ed azzurro, nessuno che abbia mai visto ciò che lui credeva l’unica cosa esistente. Il tracollo di Dimitri è assolutamente comprensibile. Si trova catapultato in una realtà da incubo, fatta di grigiore e di età post industriale. In più nell’età dei dubbi e delle incertezze, delle domande, dei se e dei ma. Il Le Havre ci investe tempo e risorse, ma le prestazioni di Dimitri non sono soddisfacenti. Più cresce, più mostra un carattere litigioso, scontroso, che non accetta l’autorità e le imposizioni. Ben presto non gli interessa più giocare, non gli piace. La carenza di motivazioni spinge il Le Havre a rescindergli il contratto. Payet torna a Reunion. Ha fallito. Non deve essere bello, a sedici anni, avere la consapevolezza di essersi giocato la propria occasione.

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Alcuni esempi di prodotti del vivaio del Le Havre. Dall’alto Lassana Diarra, Pogba, Mahrez, Mendy, Payet e Mandanda. Non è un caso che Dimitri sia l’unico senza la maglia del club normanno

Comincia a giocare all’Excelsior, in uno stadio da 2mila posti. Il mare, il sole, e pure il vulcano che sorge al centro dell’isola, gli ridanno la serenità perduta. L’Excelsior scala la classifica, e arriva al secondo posto per due anni consecutivi e a due coppe dell’isola. E Payet ne è il centro. Vuole dimostrare che ancora non è finita. In quanto squadre francesi, le formazioni di Reunion giocano in Coppa di Francia. E così Dimitri viene notato ancora una volta. E’ il 2005, e Payet ha la sua seconda chance. Arriva l’offerta del Nantes, e Dimitri accetta.

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Una delle tribune dello stadio Raphael Babet di Saint Joseph, casa dell’Excelsior

Nantes e Le Havre non sono così lontane geograficamente. Ma è come se fossero ai due poli opposti per il giovane Payet. Qui viene inserito nella squadra riserve, che milita nella quarta serie francese. Per pagarsi gli studi e le attrezzature, lavora all’interno del club, nello store ufficiale, o in altri negozi della città. Ed ecco qui che lo troviamo nel video. Qui è felice, non ha tempo per distrarsi. Qui gioca per divertirsi.

Il 19 dicembre fa il suo esordio in prima squadra. E’ dicembre, e si gioca a Bordeaux. Una brutta partita, 0 a 0 con tanti ammoniti. Dimitri gioca otto minuti più recupero, sostituendo l’attaccante burkinabè (gli abitanti del Burkina Faso si chiamano così) Bamogo. Ha 18 anni, ed è un esordio come tanti. Nessuno immagina che quel giocatore con il monosopracciglio diventerà il salvatore di Francia.

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La stagione successiva firma il suo primo contatto da professionista, e gioca in prima squadra con continuità. Segna quattro reti (cosa che ne fanno il miglior marcatore della squadra, insieme ad altri due giocatori. Non stupiamoci se poi il Nantes è retrocesso), contro Lille, Marsiglia (entrambe sue future squadre), Sedan e Sochaux. Nonostante la retrocessione però riesce a rimanere in Ligue 1, perchè viene acquistato dal Saint Etienne.

Saint Etienne è la periferia meridionale di Lione. Boschi e prati a non finire, e una tranquilla cittadina distesa tra questi. Niente più mare a disposizione, nemmeno un fiume. Payet del resto ha ancora 19 anni, è la sua vera grande prova da quando è tornato in Francia. La sua esperienza si può dividere in due parti, quasi scisse tra loro se non fossero vissute dalla stessa persona. Sul campo le cose vanno bene. E’ un titolare di una squadra di buon livello del campionato di vertice francese, e le buone prestazioni gli fanno anche guadagnare la maglia della nazionale. Gioca in totale trenta minuti contro Romania, a Saint Denis, e Lussemburgo, Dall’altro lato però le cose all’interno dello spogliatoio vanno male. Discute spesso con l’allenatore, che lo giudica svogliato e privo di ambizione, e finisce per venire alle mani con Blaise Matuidi, ora suo compagno di Nazionale.

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L’ultima stagione di Payet al St.Etienne è folgorante. Trentatre presenze, 13 gol e sette assist. E’ di gran lunga il miglior giocatore dei Vert in quella stagione, è un giovane prospetto per il futuro, ed approda nella squadra più brava a far crescere i giovani trequartisti. Il Lille, neo campione di Francia, lo vuole. Rudi Garcia lo vuole.

L’arrivo, ancora una volta, non è facile. Il 4-3-3 lascia spazio solo a due giocatori con le sue caratteristiche, ed in rosa insieme a lui ci sono Eden Hazard, Ludovic Obraniak e Joe Cole. Gioca comunque spesso, magari subentrando, e segna sei reti. Ma l’anno dopo tutti e tre i giocatori sopra citati partono, e la trequarti è sua. 12 gol e tredici assist, gioca trentotto partite su trentotto in campionato. Il suo prezzo continua a salire, ma anche stavolta non riesce a mettere radici. E’ la volta dell’Olimpique Marsiglia.

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Ormai lo schema della sua carriera è abbastanza chiaro. La prima stagione in chiaroscuro è causata dall’affollamento sulla trequarti, che lo costringe a giocare sull’esterno, limitandone la pericolosità offensiva. Comunque è un chiaroscuro su alti livelli. Non è più il giocatore che giocava sui campetti sabbiosi di Reunion. Non è più nemmeno quello che si lasciava spaventare da un cielo grigio o dalla pioggia della Normandia. Ma la consacrazione, non solo al Marsiglia, ma di tutta la sua carriera, il punto di svolta arriva nel secondo anno sul Mediterraneo. All’Olimpique arriva Marcelo Bielsa.

E’ il salto di qualità. Nel 3-3-3-1 del Loco gioca dietro a Gignac, tra Ayew e Batshuayi, ma diventa capace di giocare in qualsiasi ruolo dell’attacco. Dietro la punta è bravissimo ad inserirsi tra le linee e duettare con l’attaccante, mentre da esterno riesce a driblare l’avversario diretto e crossare al centro. Acquisisce la capacità di sprintare nello stretto, di saltare il difensore anche solo con lo stop e di tirare da ogni dove. Immarcabile.

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Deschamps intanto subentra a Blanc come ct della Nazionale, e non può prescindere da Dimitri. E’ ormai pronto a spiccare il volo. Ma, ancora una volta, gli si mette in mezzo il destino. Bielsa viene cacciato, ed il presidente dell’OM lo mette in vendita. C’è il monte ingaggi da abbassare, e lui è uno dei più pagati. Che fare? Al Paris Saint Germain sarebbe uno dei tanti, senza possibilità di sbocco. Le altre squadre non possono permetterselo. Tutti i grandi club d’Europa però lo tengono d’occhio, ma al suo procuratore arriva un’offerta diversa dalle altre. E’ firmata da Slaven Bilic, allenatore croato di un club inglese dalla grande storia ma un po’ decaduto. L’offerta è allettante, ed il messaggio implicito è chiaro: vieni da noi, sarai il centro. Ti sceglieremo per primo.

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Londra è una grande città. Molto più grande di qualsiasi città in cui Dimitri abbia mai vissuto. E’ tremendamente affascinante, ma Newham è un distretto diverso dagli altri. Lì tutti sembrano conoscersi. Lì tutti quelli che vanno allo stadio, al Boleyn Ground, all’Upton Park, si salutano con una pacca sulla spalla, con un abbraccio, come se frequentassero quelle vie da tutta la vita. Gli sembra di essere ancora al Saint Pierroise, con le sue tribunette, o all’Excelsior, dove tutti sì si conoscevano realmente. Ora lui è l’unione perfetta del ragazzino che giocava sulla sabbia, del calciatore plasmato dagli allenatori, Bielsa in primis, e dell’uomo, accresciuto ed arricchito dalle difficoltà. Esordisce e sigla l’assist per la vittoria sull’Arsenal, nelle successive 11 partite segna sei gol e marca altri due passaggi decisivi. A fine stagione i gol saranno nove, con dodici assist. Una percentuale di passaggi riusciti superiore all’80%.

Esordio all’Europeo casalingo. La Francia non riesce ad andare oltre all’1 a 1 con la Romania, in cui comunque lui ha già siglato l’assist per Giroud. Altri magari riterrebbero di aver già fatto il loro dovere. Ma Dimitri Payet no. E’ un deja vu, lui ci è già stato lì, ha già giocato questa partita, ha già giocato contro i rumeni in quello stadio. Ed aveva giocato tre minuti. Dimitri ha imparato sulla propria pelle che essere scelto per primo è più una responsabilità che un premio, è più un dovere che un piacere. Sa che deve meritarsi di essere lì, lo ha capito, lui non è lì per diritto, lui è lì perchè se l’è guadagnato, e sa che se smetterà di guadagnarselo smetterà di essere lì. Sa tutto questo, quando tira in porta, quando mancano tre minuti, i tre minuti che aveva giocato sei anni prima. Ma capisce realmente tutto questo, quando sente il suo nome acclamato da ottantamila persone, di più, sessantasette milioni di abitanti. Capisce di non essere più sul campetto di sabbia, ma di essere ancora scelto per primo. E piange.

Marco Pasquariello

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